Nel presente contributo vogliamo presentare e discutere un’esperienza di accompagnamento allo sviluppo di un servizio di Mediazione Penale Minorile, dispiegatasi nel corso di quasi tre anni e articolata in tre fasi distinte: una fase di ricerca valutativa sul processo e sugli esiti dell’attività realizzata; una fase di supervisione della pratica mediativa; una fase di formazione sulle modalità di funzionamento del gruppo di lavoro. Illustreremo, in particolare, quest’ultima fase del lavoro che ha impegnato l’intera équipe per circa dieci mesi, soffermandoci soprattutto su alcuni elementi di metodo e di tecnica che hanno contraddistinto l’intervento di formazione e che hanno permesso di attivare la funzione riflessiva del gruppo di lavoro e, conseguentemente, di avviare un importante processo trasformativo delle modalità attraverso le quali realizzare l’intervento di mediazione. L’intervento di formazione è stato impostato secondo un approccio clinico/psicosociologico1 e, a partire dalla lettura clinica della domanda espressa dal gruppo e da quanto emerso nelle due precedenti fasi di lavoro, ha riguardato essenzialmente due aspetti: la promozione di una maggiore consapevolezza circa la forma di convivenza organizzativa che contraddistingue il gruppo di lavoro e l’incremento delle capacità del gruppo di assumere in modo esplicito e dichiarato la funzione di “governo” del gruppo di lavoro, all’interno di possibili trasformazioni e sviluppi delle procedure e delle modalità operative. L’ipotesi di fondo, a cui questi obiettivi si ancorano e da cui derivano le scelte dei contenuti e delle modalità di formazione, risiede nella convinzione che le criticità riscontrate nella realizzazione dell’attività di mediazione (l’oggetto di lavoro) siano direttamente connesse alle dimensioni relazionali che attraversano il funzionamento del gruppo di lavoro e, più precisamente, alla difficoltà di ricomporre i differenti significati che gli operatori attribuiscono alla propria funzione ed i differenti sentimenti che segnano la loro appartenenza al servizio, nell’intreccio latente tra identità e alterità, tra valori e poteri, tra pratiche comportamentali e ideali.
Tamanza, G., Gennari, M. L., Gozzoli, C., Processi trasformativi nei gruppi di lavoro. Un’analisi clinica di un percorso di formazione in un Servizio di Mediazione Penale Minorile, Abstract de <<Congresso Nazionale Associazione Italiana di Psicologia, Sezione Clinica e Dinamica.>>, (Pisa, 19-21 September 2014 ), Pisa University Press, Pisa 2014: 138-139 [http://hdl.handle.net/10807/64273]
Processi trasformativi nei gruppi di lavoro. Un’analisi clinica di un percorso di formazione in un Servizio di Mediazione Penale Minorile
Tamanza, Giancarlo;Gennari, Maria Luisa;Gozzoli, Caterina
2014
Abstract
Nel presente contributo vogliamo presentare e discutere un’esperienza di accompagnamento allo sviluppo di un servizio di Mediazione Penale Minorile, dispiegatasi nel corso di quasi tre anni e articolata in tre fasi distinte: una fase di ricerca valutativa sul processo e sugli esiti dell’attività realizzata; una fase di supervisione della pratica mediativa; una fase di formazione sulle modalità di funzionamento del gruppo di lavoro. Illustreremo, in particolare, quest’ultima fase del lavoro che ha impegnato l’intera équipe per circa dieci mesi, soffermandoci soprattutto su alcuni elementi di metodo e di tecnica che hanno contraddistinto l’intervento di formazione e che hanno permesso di attivare la funzione riflessiva del gruppo di lavoro e, conseguentemente, di avviare un importante processo trasformativo delle modalità attraverso le quali realizzare l’intervento di mediazione. L’intervento di formazione è stato impostato secondo un approccio clinico/psicosociologico1 e, a partire dalla lettura clinica della domanda espressa dal gruppo e da quanto emerso nelle due precedenti fasi di lavoro, ha riguardato essenzialmente due aspetti: la promozione di una maggiore consapevolezza circa la forma di convivenza organizzativa che contraddistingue il gruppo di lavoro e l’incremento delle capacità del gruppo di assumere in modo esplicito e dichiarato la funzione di “governo” del gruppo di lavoro, all’interno di possibili trasformazioni e sviluppi delle procedure e delle modalità operative. L’ipotesi di fondo, a cui questi obiettivi si ancorano e da cui derivano le scelte dei contenuti e delle modalità di formazione, risiede nella convinzione che le criticità riscontrate nella realizzazione dell’attività di mediazione (l’oggetto di lavoro) siano direttamente connesse alle dimensioni relazionali che attraversano il funzionamento del gruppo di lavoro e, più precisamente, alla difficoltà di ricomporre i differenti significati che gli operatori attribuiscono alla propria funzione ed i differenti sentimenti che segnano la loro appartenenza al servizio, nell’intreccio latente tra identità e alterità, tra valori e poteri, tra pratiche comportamentali e ideali.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.