La proposta della Commissione europea di aggiungere nell’etichetta alimentare alla dicitura “da consumarsi preferibilmente entro” l’espressione “spesso buono oltre” sembra avere scatenato una pletora di reazioni mediamente scandalizzate e contrarie a un tale provvedimento. Vorrei però cercare di riflettere sulle ragioni sia dietro questa proposta, sia dietro ai suoi oppositori, per salvare il salvabile o per lo meno capire quali strade si potrebbero intraprendere. La principale motivazione che ha portato alla proposta pare essere la lotta allo spreco, in quanto tanti prodotti oggi sono buttati via solo per avere oltrepassato il termine minimo di conservazione (TMC) pur essendo di fatto ancora buoni da consumare. Il TMC indica infatti un periodo di tempo, in determinate condizioni di conservazione, durante il quale il prodotto mantiene le proprie caratteristiche qualitative e richiede l’indicazione in etichetta di una data preceduta dalla dicitura “da consumarsi preferibilmente entro”. Si applica a prodotti non deperibili dal punto di vista microbiologico che non rappresentano per tanto un rischio per la salute del consumatore anche se consumati dopo tale data. Non si può negare che molti consumatori trattino il TMC esattamente come se fosse una data di scadenza. Allo stesso tempo però sfido chiunque a dire che sia semplice stabilire il TMC. Le variabili in gioco per calcolare, stimare e validare un TMC sono talmente tante che diventa impossibile definire dei protocolli semplici da seguire per l’industria. È vero che con un TMC non è in gioco la sicurezza del consumatore, ma rimane vera una certa “nebulosità” normativa e una valutazione del TMC che richiederebbe una notevole mole di dati e specifiche competenze tecnico-scientifiche da mettere in campo. E comunque, per quanto si impostino al meglio la raccolta di dati, l’applicazione di modelli matematici e la realizzazione di campagne sperimentali, la TMC finale avrà sempre un certo grado di incertezza. Allora mi chiedo, perché dovrebbe apparire così insidiosa per i consumatori la possibilità di indicare che il prodotto probabilmente è ancora buono oltre il TMC? Certo indicare semplicemente “buono spesso oltre” non parrebbe il massimo nemmeno a me, in quanto non direbbe molto al consumatore e non rappresenterebbe nessuno sforzo aggiuntivo per il produttore, anzi potrebbe indurre il produttore a preoccuparsi meno dell’accuratezza del TMC scelto. Cosa significa “buono”? Che lasso temporale indica “oltre”? L’indicazione aggiuntiva dovrebbe invece spiegare che oltre quella data il prodotto potrebbe iniziare a presentare dei difetti qualitativi, ma spiegando anche quali. Una merendina potrebbe perdere in sofficità, una patatina potrebbe sviluppare un sapore e odore di rancido, un biscotto perdere in fragranza? Per quanto tempo il consumatore potrebbe valutare se il prodotto sia ancora consumabile? Ecco, vista sotto questa prospettiva la proposta acquisisce senso e importanza ma presuppone ancora tanto lavoro da fare. Le possibili frasi esplicative dovrebbero essere un minimo regolamentate per non lasciare troppa libertà e rischiare di creare ancora più confusione nel consumatore. Quest’ultimo, dal canto suo, deve responsabilizzarsi sempre di più ma deve essere fornito degli strumenti per poterlo fare. La scuola rimane un canale prioritario per l’educazione del consumatore. Oggi a scuola è oramai consolidato trattare le modalità corrette di gestione dei rifiuti, dovrebbe esserlo anche spiegare la lettura delle etichette alimentari. Gli innumerevoli programmi e contest di cucina dovrebbero diventare un serio canale di disseminazione di corrette prassi igienico-sanitarie.
Spigno, G., Spesso buono oltre, <<MACCHINE ALIMENTARI>>, 2023; 2023 (Maggio): 5-5 [https://hdl.handle.net/10807/258146]
Spesso buono oltre
Spigno, Giorgia
2023
Abstract
La proposta della Commissione europea di aggiungere nell’etichetta alimentare alla dicitura “da consumarsi preferibilmente entro” l’espressione “spesso buono oltre” sembra avere scatenato una pletora di reazioni mediamente scandalizzate e contrarie a un tale provvedimento. Vorrei però cercare di riflettere sulle ragioni sia dietro questa proposta, sia dietro ai suoi oppositori, per salvare il salvabile o per lo meno capire quali strade si potrebbero intraprendere. La principale motivazione che ha portato alla proposta pare essere la lotta allo spreco, in quanto tanti prodotti oggi sono buttati via solo per avere oltrepassato il termine minimo di conservazione (TMC) pur essendo di fatto ancora buoni da consumare. Il TMC indica infatti un periodo di tempo, in determinate condizioni di conservazione, durante il quale il prodotto mantiene le proprie caratteristiche qualitative e richiede l’indicazione in etichetta di una data preceduta dalla dicitura “da consumarsi preferibilmente entro”. Si applica a prodotti non deperibili dal punto di vista microbiologico che non rappresentano per tanto un rischio per la salute del consumatore anche se consumati dopo tale data. Non si può negare che molti consumatori trattino il TMC esattamente come se fosse una data di scadenza. Allo stesso tempo però sfido chiunque a dire che sia semplice stabilire il TMC. Le variabili in gioco per calcolare, stimare e validare un TMC sono talmente tante che diventa impossibile definire dei protocolli semplici da seguire per l’industria. È vero che con un TMC non è in gioco la sicurezza del consumatore, ma rimane vera una certa “nebulosità” normativa e una valutazione del TMC che richiederebbe una notevole mole di dati e specifiche competenze tecnico-scientifiche da mettere in campo. E comunque, per quanto si impostino al meglio la raccolta di dati, l’applicazione di modelli matematici e la realizzazione di campagne sperimentali, la TMC finale avrà sempre un certo grado di incertezza. Allora mi chiedo, perché dovrebbe apparire così insidiosa per i consumatori la possibilità di indicare che il prodotto probabilmente è ancora buono oltre il TMC? Certo indicare semplicemente “buono spesso oltre” non parrebbe il massimo nemmeno a me, in quanto non direbbe molto al consumatore e non rappresenterebbe nessuno sforzo aggiuntivo per il produttore, anzi potrebbe indurre il produttore a preoccuparsi meno dell’accuratezza del TMC scelto. Cosa significa “buono”? Che lasso temporale indica “oltre”? L’indicazione aggiuntiva dovrebbe invece spiegare che oltre quella data il prodotto potrebbe iniziare a presentare dei difetti qualitativi, ma spiegando anche quali. Una merendina potrebbe perdere in sofficità, una patatina potrebbe sviluppare un sapore e odore di rancido, un biscotto perdere in fragranza? Per quanto tempo il consumatore potrebbe valutare se il prodotto sia ancora consumabile? Ecco, vista sotto questa prospettiva la proposta acquisisce senso e importanza ma presuppone ancora tanto lavoro da fare. Le possibili frasi esplicative dovrebbero essere un minimo regolamentate per non lasciare troppa libertà e rischiare di creare ancora più confusione nel consumatore. Quest’ultimo, dal canto suo, deve responsabilizzarsi sempre di più ma deve essere fornito degli strumenti per poterlo fare. La scuola rimane un canale prioritario per l’educazione del consumatore. Oggi a scuola è oramai consolidato trattare le modalità corrette di gestione dei rifiuti, dovrebbe esserlo anche spiegare la lettura delle etichette alimentari. Gli innumerevoli programmi e contest di cucina dovrebbero diventare un serio canale di disseminazione di corrette prassi igienico-sanitarie.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.