Ho alcune premesse da fare. 1) Sono una persona che tende a non ostentare le proprie conoscenze, soprattutto nell’ambito delle tecnologie alimentare, il mio cavallo di battaglia, e soprattutto quando sono con persone che non hanno analoghe competenze. 2) Non accetto incarichi su temi sui quali non mi senta competente e anche per comunicazioni divulgative nel mio settore, mi documento il più possibile per ogni minimo dubbio. 3) Correlato al punto precedente emerge il problema del reperimento delle informazioni. Per questioni prettamente tecnico-scientifiche sono avvantaggiata dal potere accedere a fonti scientifiche che dovrebbero essere affidabili. Ho usato il condizionale perché anche nell’ambito della letteratura scientifica purtroppo possono esserci ricercatori e riviste che non operano eticamente nella ricerca e nella revisione e pubblicazione degli articoli scientifici. Nemmeno qui esiste il rischio zero di trovare informazioni non corrette. 4) Nel comunicare al pubblico certi concetti è necessario un linguaggio appropriato per veicolarli in maniera semplice, corretta ed efficace. 5) Il giornalismo ha suoi linguaggi e stili con diversi tempi e livelli in funzione del mezzo di comunicazione (del canale televisivo o radiofonico, piuttosto che del tipo di stampa). 6) Il mondo dei social ha delle regole di linguaggio completamente diverse che io, ammetto, ignoro quasi completamente (con delle figlie quasi adolescenti e per lavoro in continuo contatto con i giovani dovrei correre ai ripari quanto prima). 7) Il tema cibo è uno di quelli su cui molti (troppi) si sentono titolati per commentare, sentenziare e dispensare suggerimenti. A conclusione di queste premesse, escludendo i social, mi ritrovo spesso a leggere o ascoltare informazioni non del tutto corrette in relazione alle tecnologie alimentari. Ho sentito spiegare i trattamenti con alte pressioni portando ad esempio l’effetto conservante della pressione mantenuta nelle bottiglie di spumante; ho ascoltato accusare le zuppe industriali adducendo a chissà quali cose oscure fatte in quei grossi pentoloni industriali e dicendo di come sarebbe più semplice e veloce prepararsi una pasta e ceci in casa (partendo dai ceci secchi…). In campo alimentare sembra che gli unici esperti che valga la pena interpellare siano quasi sempre solo nutrizionisti o chef. Sicuramente il pubblico è più interessato a cucina e nutrizione, ma sarebbe importante comunicare più spesso sugli aspetti igienici e tecnologici. Certo è necessario farlo con il giusto linguaggio e tramite le giuste persone. I giornalisti, figure professionali iscritte all’Ordine dei giornalisti, sono tenuti a rispettare un codice deontologico prestabilito, che prevede, tra le altre cose, la verifica di ogni contenuto pubblicato. Come da premessa 2) ho trovato che i giornalisti pubblicisti sono esperti in un determinato settore, che hanno intrapreso anche l’attività giornalistica e sono iscritti in un elenco dell’albo dei giornalisti senza dovere superare l’esame di stato. Gli articolisti, invece, non sono tenuti all’iscrizione all’ordine. Esistono anche i giornalisti enogastronomici, con una formazione più focalizzata sulle tecniche di cucina, la ristorazione e la qualità sensoriale dei cibi, ma mi aspetto che dovendo parlare di aspetti più tecnici si rivolgano ad altri professionisti o sappiano individuare le fonti corrette. Mi piacerebbe che almeno le più importanti testate giornalistiche e reti televisivi avessero delle figure professionali competenti per controllare la correttezza delle informazioni date in ambito alimentare dai loro giornalisti. E io (premessa 1), devo impegnarmi di più nel diffondere le mie conoscenze fuori dal mio ambiente.

Spigno, G., La corretta informazione, <<MACCHINE ALIMENTARI>>, 2023; 2023 (Giugno): 4-4 [https://hdl.handle.net/10807/258145]

La corretta informazione

Spigno, Giorgia
2023

Abstract

Ho alcune premesse da fare. 1) Sono una persona che tende a non ostentare le proprie conoscenze, soprattutto nell’ambito delle tecnologie alimentare, il mio cavallo di battaglia, e soprattutto quando sono con persone che non hanno analoghe competenze. 2) Non accetto incarichi su temi sui quali non mi senta competente e anche per comunicazioni divulgative nel mio settore, mi documento il più possibile per ogni minimo dubbio. 3) Correlato al punto precedente emerge il problema del reperimento delle informazioni. Per questioni prettamente tecnico-scientifiche sono avvantaggiata dal potere accedere a fonti scientifiche che dovrebbero essere affidabili. Ho usato il condizionale perché anche nell’ambito della letteratura scientifica purtroppo possono esserci ricercatori e riviste che non operano eticamente nella ricerca e nella revisione e pubblicazione degli articoli scientifici. Nemmeno qui esiste il rischio zero di trovare informazioni non corrette. 4) Nel comunicare al pubblico certi concetti è necessario un linguaggio appropriato per veicolarli in maniera semplice, corretta ed efficace. 5) Il giornalismo ha suoi linguaggi e stili con diversi tempi e livelli in funzione del mezzo di comunicazione (del canale televisivo o radiofonico, piuttosto che del tipo di stampa). 6) Il mondo dei social ha delle regole di linguaggio completamente diverse che io, ammetto, ignoro quasi completamente (con delle figlie quasi adolescenti e per lavoro in continuo contatto con i giovani dovrei correre ai ripari quanto prima). 7) Il tema cibo è uno di quelli su cui molti (troppi) si sentono titolati per commentare, sentenziare e dispensare suggerimenti. A conclusione di queste premesse, escludendo i social, mi ritrovo spesso a leggere o ascoltare informazioni non del tutto corrette in relazione alle tecnologie alimentari. Ho sentito spiegare i trattamenti con alte pressioni portando ad esempio l’effetto conservante della pressione mantenuta nelle bottiglie di spumante; ho ascoltato accusare le zuppe industriali adducendo a chissà quali cose oscure fatte in quei grossi pentoloni industriali e dicendo di come sarebbe più semplice e veloce prepararsi una pasta e ceci in casa (partendo dai ceci secchi…). In campo alimentare sembra che gli unici esperti che valga la pena interpellare siano quasi sempre solo nutrizionisti o chef. Sicuramente il pubblico è più interessato a cucina e nutrizione, ma sarebbe importante comunicare più spesso sugli aspetti igienici e tecnologici. Certo è necessario farlo con il giusto linguaggio e tramite le giuste persone. I giornalisti, figure professionali iscritte all’Ordine dei giornalisti, sono tenuti a rispettare un codice deontologico prestabilito, che prevede, tra le altre cose, la verifica di ogni contenuto pubblicato. Come da premessa 2) ho trovato che i giornalisti pubblicisti sono esperti in un determinato settore, che hanno intrapreso anche l’attività giornalistica e sono iscritti in un elenco dell’albo dei giornalisti senza dovere superare l’esame di stato. Gli articolisti, invece, non sono tenuti all’iscrizione all’ordine. Esistono anche i giornalisti enogastronomici, con una formazione più focalizzata sulle tecniche di cucina, la ristorazione e la qualità sensoriale dei cibi, ma mi aspetto che dovendo parlare di aspetti più tecnici si rivolgano ad altri professionisti o sappiano individuare le fonti corrette. Mi piacerebbe che almeno le più importanti testate giornalistiche e reti televisivi avessero delle figure professionali competenti per controllare la correttezza delle informazioni date in ambito alimentare dai loro giornalisti. E io (premessa 1), devo impegnarmi di più nel diffondere le mie conoscenze fuori dal mio ambiente.
2023
Italiano
Spigno, G., La corretta informazione, <<MACCHINE ALIMENTARI>>, 2023; 2023 (Giugno): 4-4 [https://hdl.handle.net/10807/258145]
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