Gli studiosi di questioni organizzative - da sempre interessati al tema del lavoro, della sua evoluzione e del suo rapporto con la tecnologia - si interrogano da qualche tempo sul significato di una etichetta quale è Smart Working (SW), espressione che indica modalità di svolgimento della prestazione lavorativa volte ad allentare i vincoli tradizionali di tempo e luogo e indirizzate a logiche di discrezionalità e di responsabilizzazione verso obiettivi lavorativi, in un contesto nel quale le potenzialità della tecnologia svolgono un significativo ruolo abilitante. La prassi aziendale - a sua volta alla costante ricerca di soluzioni appropriate ai cambiamenti che le dinamiche di mercato e la competizione richiedono - ha iniziato da poco più di un decennio a sperimentare questa modalità con progetti pilota, che di norma coinvolgevano numeri limitati di lavoratori e che, quando consolidati, continuavano a riguardare una parte esigua della popolazione aziendale per pochi giorni di effettiva utilizzabilità. Sino al 2019, i dati Eurostat indicavano infatti in meno del 4% del totale dei lavoratori dipendenti coloro che in Italia lavoravano da remoto, percentuale inferiore di quasi un punto e mezzo rispetto alla media europea. Valori modesti. È a partire dal mese di febbraio del 2020 con l’allarme per la diffusione del Covid-19, che l’attenzione verso lo SW ha assunto un’intensità senza precedenti, tanto che l’ultima settimana di quel mese ha segnato un momento di svolta nella storia dello SW in Italia, inaugurando la fase “massiccia” di questo modo di lavorare. Lo SW - così come la letteratura internazionale, a partire dal Chartered Institute of Personnel and Development-CIPD che ne aveva descritto la natura oltre un decennio fa, ce lo propone - si segnala come qualcosa di nuovo e di diverso. Complice l’evoluzione del contesto tecnologico ed i suoi più recenti sviluppi sia mobile che wireless, il cui ruolo abilitante è tutt’altro che neutro, questa modalità di erogazione della prestazione lavorativa si connota per un cambiamento profondo (e profondamente assimilato) nella cultura della gestione, che tocca persone, processi e spazi, tutti aspetti che occorre mettere a fuoco. Lo SW è infatti il frutto di una attenta progettazione organizzativa che combina in maniera coerente le caratteristiche del lavoro con le competenze manageriali. E che prende atto che lo SW può non adattarsi a tutti i tipi di lavoro - ci sono job necessariamente (ancora?) agganciati alle variabili spazio-temporali; ma neppure a tutti i lavoratori – che, per caratteristiche di personalità, per bisogni di socializzazione e di affiliazione, sono più a loro agio in contesti di prossimità fisica; e men che meno a tutte le imprese – per le specificità del business (almeno sino a quando non cambiano le condizioni tecnologiche e di mercato), per cultura o perché si continua ad utilizzare una strumentazione non adeguata. Ora che del tema si continua a parlare in una prospettiva di “nuova” normalità, è sicuramente utile esaminarlo provando ad accantonare gli atteggiamenti partigiani – quelli dei sostenitori (che lo giudicano sempre e comunque come la via maestra per un lavoro che diventa così “migliore”, più conciliabile e vivibile) e quelli dei suoi critici (che guardano con uno scetticismo di fondo ad ogni iniziativa che viene collocata sotto questo cappello, sottolineando il rischio di una vita lavorativa senza confini, a stress crescente). E partire dall’idea che lo SW costituisca la via verso il futuro del lavoro, che il “nuovo” normale non potrà non fare i conti con esso. L’intento di questo paper è quello di offrire un contributo al consolidamento di una riflessione su cosa lo SW sia e possa essere, quali sfide ponga sia sul versante individuale che su quello organizzativo e quali opportunità possa offrire una sua precisa comprensione. E per sottolineare per quali ragioni a questo tema occorra guardare con attenzione, consapevoli che dietro l’etichetta (questa o altra che si preferisca,) c’è la questione del lavoro, come dimensione della persona, e lo spazio ed il ruolo che questo assume nella vita. Inoltre, alla luce della “Relazione del gruppo di studio sul lavoro agile”, resa pubblica nei primi giorni dello scorso febbraio e che ben approfondisce le molte questioni giuridiche, la prospettiva tipicamente organizzativa usata in questa sede appare utilmente complementare. La struttura del paper prevede quattro parti. Una prima offre spunti di inquadramento del tema. Le tre successive si concentrano sui passaggi che vanno affrontati sulla strada dell’utilizzo dello SW: questo va infatti progettato, per poi essere gestito, ma va anche vissuto (in prima persona, da chi lo pratica e da chi con gli smart workers si interfaccia). Completano il paper alcune considerazioni di sintesi, che si pongono sul piano delle policy e delle indicazioni su cui riflettere perché lo SW – ormai riconosciuta ineludibile traiettoria per il lavoro oggi, perché questo ci pare di poter affermare – diventi un’opportunità, per organizzazioni, persone e contesto, così che questa triplice sfida diventi realtà.

Antonelli, G., Agrifoglio, R., Bissola, R., Buonocore, F., Cuel, R., Curzi, Y., De Molli, F., Di Lauro, S., Di Virgilio, F., Fabbri, T., Flamini, G., Imperatori, B., Metallo, C., Mochi, F., Montanari, F., Neri, M., Palumbo, R., Paolino, C., Pompa, L., Ravarini, A., Sarti, D., Scapolan Anna, C., Torre, T., Tursunbayeva, A., Varriale, L., Zifaro, M., IL FUTURO DEL LAVORO SI CHIAMA “SMART WORKING”?RIFLESSIONI E PROSPETTIVE, <<PROSPETTIVE IN ORGANIZZAZIONE>>, 2023; 2023 (Gennaio): 1-45 [https://hdl.handle.net/10807/230322]

IL FUTURO DEL LAVORO SI CHIAMA “SMART WORKING”? RIFLESSIONI E PROSPETTIVE

Bissola, Rita;Imperatori, Barbara;Mochi, Francesca;Paolino, Chiara;
2023

Abstract

Gli studiosi di questioni organizzative - da sempre interessati al tema del lavoro, della sua evoluzione e del suo rapporto con la tecnologia - si interrogano da qualche tempo sul significato di una etichetta quale è Smart Working (SW), espressione che indica modalità di svolgimento della prestazione lavorativa volte ad allentare i vincoli tradizionali di tempo e luogo e indirizzate a logiche di discrezionalità e di responsabilizzazione verso obiettivi lavorativi, in un contesto nel quale le potenzialità della tecnologia svolgono un significativo ruolo abilitante. La prassi aziendale - a sua volta alla costante ricerca di soluzioni appropriate ai cambiamenti che le dinamiche di mercato e la competizione richiedono - ha iniziato da poco più di un decennio a sperimentare questa modalità con progetti pilota, che di norma coinvolgevano numeri limitati di lavoratori e che, quando consolidati, continuavano a riguardare una parte esigua della popolazione aziendale per pochi giorni di effettiva utilizzabilità. Sino al 2019, i dati Eurostat indicavano infatti in meno del 4% del totale dei lavoratori dipendenti coloro che in Italia lavoravano da remoto, percentuale inferiore di quasi un punto e mezzo rispetto alla media europea. Valori modesti. È a partire dal mese di febbraio del 2020 con l’allarme per la diffusione del Covid-19, che l’attenzione verso lo SW ha assunto un’intensità senza precedenti, tanto che l’ultima settimana di quel mese ha segnato un momento di svolta nella storia dello SW in Italia, inaugurando la fase “massiccia” di questo modo di lavorare. Lo SW - così come la letteratura internazionale, a partire dal Chartered Institute of Personnel and Development-CIPD che ne aveva descritto la natura oltre un decennio fa, ce lo propone - si segnala come qualcosa di nuovo e di diverso. Complice l’evoluzione del contesto tecnologico ed i suoi più recenti sviluppi sia mobile che wireless, il cui ruolo abilitante è tutt’altro che neutro, questa modalità di erogazione della prestazione lavorativa si connota per un cambiamento profondo (e profondamente assimilato) nella cultura della gestione, che tocca persone, processi e spazi, tutti aspetti che occorre mettere a fuoco. Lo SW è infatti il frutto di una attenta progettazione organizzativa che combina in maniera coerente le caratteristiche del lavoro con le competenze manageriali. E che prende atto che lo SW può non adattarsi a tutti i tipi di lavoro - ci sono job necessariamente (ancora?) agganciati alle variabili spazio-temporali; ma neppure a tutti i lavoratori – che, per caratteristiche di personalità, per bisogni di socializzazione e di affiliazione, sono più a loro agio in contesti di prossimità fisica; e men che meno a tutte le imprese – per le specificità del business (almeno sino a quando non cambiano le condizioni tecnologiche e di mercato), per cultura o perché si continua ad utilizzare una strumentazione non adeguata. Ora che del tema si continua a parlare in una prospettiva di “nuova” normalità, è sicuramente utile esaminarlo provando ad accantonare gli atteggiamenti partigiani – quelli dei sostenitori (che lo giudicano sempre e comunque come la via maestra per un lavoro che diventa così “migliore”, più conciliabile e vivibile) e quelli dei suoi critici (che guardano con uno scetticismo di fondo ad ogni iniziativa che viene collocata sotto questo cappello, sottolineando il rischio di una vita lavorativa senza confini, a stress crescente). E partire dall’idea che lo SW costituisca la via verso il futuro del lavoro, che il “nuovo” normale non potrà non fare i conti con esso. L’intento di questo paper è quello di offrire un contributo al consolidamento di una riflessione su cosa lo SW sia e possa essere, quali sfide ponga sia sul versante individuale che su quello organizzativo e quali opportunità possa offrire una sua precisa comprensione. E per sottolineare per quali ragioni a questo tema occorra guardare con attenzione, consapevoli che dietro l’etichetta (questa o altra che si preferisca,) c’è la questione del lavoro, come dimensione della persona, e lo spazio ed il ruolo che questo assume nella vita. Inoltre, alla luce della “Relazione del gruppo di studio sul lavoro agile”, resa pubblica nei primi giorni dello scorso febbraio e che ben approfondisce le molte questioni giuridiche, la prospettiva tipicamente organizzativa usata in questa sede appare utilmente complementare. La struttura del paper prevede quattro parti. Una prima offre spunti di inquadramento del tema. Le tre successive si concentrano sui passaggi che vanno affrontati sulla strada dell’utilizzo dello SW: questo va infatti progettato, per poi essere gestito, ma va anche vissuto (in prima persona, da chi lo pratica e da chi con gli smart workers si interfaccia). Completano il paper alcune considerazioni di sintesi, che si pongono sul piano delle policy e delle indicazioni su cui riflettere perché lo SW – ormai riconosciuta ineludibile traiettoria per il lavoro oggi, perché questo ci pare di poter affermare – diventi un’opportunità, per organizzazioni, persone e contesto, così che questa triplice sfida diventi realtà.
2023
Italiano
Antonelli, G., Agrifoglio, R., Bissola, R., Buonocore, F., Cuel, R., Curzi, Y., De Molli, F., Di Lauro, S., Di Virgilio, F., Fabbri, T., Flamini, G., Imperatori, B., Metallo, C., Mochi, F., Montanari, F., Neri, M., Palumbo, R., Paolino, C., Pompa, L., Ravarini, A., Sarti, D., Scapolan Anna, C., Torre, T., Tursunbayeva, A., Varriale, L., Zifaro, M., IL FUTURO DEL LAVORO SI CHIAMA “SMART WORKING”?RIFLESSIONI E PROSPETTIVE, <<PROSPETTIVE IN ORGANIZZAZIONE>>, 2023; 2023 (Gennaio): 1-45 [https://hdl.handle.net/10807/230322]
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