A partire dagli anni Sessanta del Novecento, il divario di genere in istruzione si è progressivamente ridotto per poi assistere a un rovesciamento; attualmente in Italia le donne non solo tendono ad essere più scolarizzate degli uomini, ma hanno anche tassi più elevati di istruzione universitaria e hanno meno probabilità di incorrere in una ripetenza e di abbandonare precocemente gli studi. I dati Istat per il 2019 mettono in luce che le donne laureate sono il 22,4% contro il 16,8% degli uomini e quelle con almeno il diploma sono il 64,5% rispetto al 59,8% della situazione maschile (Istat, 2020). Questo dato si dimostra in linea con la media Ue, anche se più marcato; infatti, in ambito europeo il “vantaggio femminile” è più modesto rispetto al caso italiano sia per quanto riguarda la quota di diplomati che di laureati. Inoltre, secondo i dati del Miur (2019), anche il fenomeno della dispersione scolastica sembra incidere in modo differente tra studenti e studentesse: l’abbandono complessivo per i soli alunni maschi è stato, nell’anno scolastico 2016/17, dello 0,8% mentre per le femmine allo 0,6% nella Scuola Secondaria di I grado e, rispettivamente, del 4,6% e del 3% nella Secondaria di II grado. Tuttavia, in Italia si riscontrano svantaggi e disuguaglianze legate al genere più ampie rispetto alla media Ue e ai Pesi dell’Ocse per quanto riguarda il tasso di occupazione, il salario e le possibilità di carriera, sebbene tale svantaggio si riduca all’aumentare del livello di istruzione (Charles, 2011; Schwab et al., 2015). Il fatto che le donne conseguano mediamente titoli di studio più elevati non deve però facilmente far credere che il gender gap in istruzione sia stato risolto per potersi così concentrare unicamente nel garantire opportunità più eque a livello salariale e professionale. Infatti, i dati Invalsi – a livello nazionale – e quelli Ocse-Pisa – a livello internazionale – mettono in luce ormai da circa vent’anni che i maschi conseguono risultati più brillanti in matematica mentre le ragazze in italiano/lettura; inoltre, il divario di genere risulta essere più ampio in matematica rispetto a quanto si verifica per italiano/lettura. “Le ragazze sono più brave in italiano mentre i ragazzi sono maggiormente portati per la matematica”. Sentiamo e leggiamo spesso questa affermazione ma meno di sovente capita di provare a capire se sia realmente così e, in caso affermativo, quali ne possano essere le cause: solo genetiche oppure anche frutto di un processo di educazione/socializzazione precoce che inizia già nella primissima infanzia? Il modo migliore per trovare una risposta è partire dai dati delle rilevazioni nazionali e internazionali. Infatti, le prove standardizzate, tra i vari vantaggi, permettono di monitorare l’apprendimento della matematica (e di altre discipline), analizzando le differenti performance di maschi e femmine tra Paesi con culture e sistemi di istruzione molto diversi. Cercare di indagare questo fenomeno riveste una grande importanza non solo per una mera questione conoscitiva, ma anche per le sue implicazioni in termini di equità e inclusione, di pari opportunità, di processi educativi all’insegna di condizionamenti stereotipanti – che hanno ricadute e implicazioni sulla scelta dell’orientamento scolastico e universitario – così come di scelte decisionali dei policy maker.
Barabanti, P., Il divario di genere in matematica, <<ESSERE A SCUOLA>>, 2021; 2021 (3): 20-31 [http://hdl.handle.net/10807/205205]
Il divario di genere in matematica
Barabanti, Paolo
Primo
2022
Abstract
A partire dagli anni Sessanta del Novecento, il divario di genere in istruzione si è progressivamente ridotto per poi assistere a un rovesciamento; attualmente in Italia le donne non solo tendono ad essere più scolarizzate degli uomini, ma hanno anche tassi più elevati di istruzione universitaria e hanno meno probabilità di incorrere in una ripetenza e di abbandonare precocemente gli studi. I dati Istat per il 2019 mettono in luce che le donne laureate sono il 22,4% contro il 16,8% degli uomini e quelle con almeno il diploma sono il 64,5% rispetto al 59,8% della situazione maschile (Istat, 2020). Questo dato si dimostra in linea con la media Ue, anche se più marcato; infatti, in ambito europeo il “vantaggio femminile” è più modesto rispetto al caso italiano sia per quanto riguarda la quota di diplomati che di laureati. Inoltre, secondo i dati del Miur (2019), anche il fenomeno della dispersione scolastica sembra incidere in modo differente tra studenti e studentesse: l’abbandono complessivo per i soli alunni maschi è stato, nell’anno scolastico 2016/17, dello 0,8% mentre per le femmine allo 0,6% nella Scuola Secondaria di I grado e, rispettivamente, del 4,6% e del 3% nella Secondaria di II grado. Tuttavia, in Italia si riscontrano svantaggi e disuguaglianze legate al genere più ampie rispetto alla media Ue e ai Pesi dell’Ocse per quanto riguarda il tasso di occupazione, il salario e le possibilità di carriera, sebbene tale svantaggio si riduca all’aumentare del livello di istruzione (Charles, 2011; Schwab et al., 2015). Il fatto che le donne conseguano mediamente titoli di studio più elevati non deve però facilmente far credere che il gender gap in istruzione sia stato risolto per potersi così concentrare unicamente nel garantire opportunità più eque a livello salariale e professionale. Infatti, i dati Invalsi – a livello nazionale – e quelli Ocse-Pisa – a livello internazionale – mettono in luce ormai da circa vent’anni che i maschi conseguono risultati più brillanti in matematica mentre le ragazze in italiano/lettura; inoltre, il divario di genere risulta essere più ampio in matematica rispetto a quanto si verifica per italiano/lettura. “Le ragazze sono più brave in italiano mentre i ragazzi sono maggiormente portati per la matematica”. Sentiamo e leggiamo spesso questa affermazione ma meno di sovente capita di provare a capire se sia realmente così e, in caso affermativo, quali ne possano essere le cause: solo genetiche oppure anche frutto di un processo di educazione/socializzazione precoce che inizia già nella primissima infanzia? Il modo migliore per trovare una risposta è partire dai dati delle rilevazioni nazionali e internazionali. Infatti, le prove standardizzate, tra i vari vantaggi, permettono di monitorare l’apprendimento della matematica (e di altre discipline), analizzando le differenti performance di maschi e femmine tra Paesi con culture e sistemi di istruzione molto diversi. Cercare di indagare questo fenomeno riveste una grande importanza non solo per una mera questione conoscitiva, ma anche per le sue implicazioni in termini di equità e inclusione, di pari opportunità, di processi educativi all’insegna di condizionamenti stereotipanti – che hanno ricadute e implicazioni sulla scelta dell’orientamento scolastico e universitario – così come di scelte decisionali dei policy maker.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.