Nel mese di marzo 2009 i medici competenti di tutt’Italia hanno vissuto un’esperienza culturale irripetibile, alla quale molti forse non erano preparati, ma che non può cadere nell’oblio. I medici competenti sapevano già di essere l’unica categoria al mondo sanzionabile penalmente per comportamenti professionali omissivi, indipendentemente dal verificarsi di un danno. Sapevano di essere vincolati per legge al rispetto di un Codice Etico, principio che nessuno Stato etico aveva mai osato proporre. Ma non immaginavano di essere chiamati ad un impegno che supera i confini della realtà empirica, per addentrarsi nell’epistemologia e nella semiotica. Ebbene, la trasmissione dei dati aggregati in ossequio all’Art. 40 del D. Lgs. 81/08 e alle indicazioni del Coordinamento tecnico interregionale della Conferenza Regioni e Province Autonome (2) li ha forgiati anche a tale esperienza. All’entrata in vigore del Decreto pochi si erano accorti che esso rendeva cogente un lavoro epidemiologico retroattivo, violando così al tempo stesso i principi del diritto e quelli dell’epidemiologia. I più erano rimasti sconcertati dal fatto che la griglia per la registrazione dei dati (2) fosse ispirata a criteri per lo meno bizzarri, quali quello di distinguere i lavoratori esposti a ultrasuoni o infrasuoni dagli esposti a rumore e a vibrazioni, per conteggiare tutti insieme in un’unica categoria di rischio, l’ultima, gli esposti a silice e ad asbesto, a polveri organiche e inerti, a lavoro in altezza e posture scorrette e a quant’altro possa assumere il carattere di rischio professionale. Ma è appunto la meditazione sul concetto di rischio la chiave dell’esperienza filosofica. Il rischio, per definizione, è la probabilità di accadimento di un evento dannoso per effetto di una fonte (pericolo o fattore di rischio). Esso è, dunque, una variabile continua, i cui valori sono compresi tra zero ed uno. La richiesta che il legislatore fa, e che gli organi di vigilanza o la magistratura applicano, è di definire il rischio in termini binari, come “presente” o “assente”. La trasformazione di una variabile continua in una categoriale richiede, evidentemente, la definizione di una “soglia” o, in alternativa, il ricorso a metodi statistici di “cut-off ”, quali la scelta di un determinato (e arbitrario) percentile. Un compito, mi si perdoni il gioco di parole, non privo di rischi, e che in ogni caso spetta al datore di lavoro, non al medico competente. All’imprevista difficoltà, alcuni hanno reagito tentando di inserire comunque i numeri nella griglia come avrebbero fatto con le caselle del Sudoku, ma è stato subito chiaro che la sanzione per una dichiarazione mendace sarebbe stata assai più grave di quella, amministrativa, per l’omessa trasmissione dei dati aggregati. Come nel dilemma del viaggiatore della teoria dei giochi (3), i medici competenti hanno optato individualmente per il male minore, sottoponendosi allo sforzo improbo di razionalizzare documenti di valutazione dei rischi mal scritti, quando erano scritti, o di raccogliere dati amministrativi, di nessun interesse per la prevenzione dei rischi, e trasmetterli diligentemente. Secondo quello che viene definito l’equilibrio di Nash (4, 5), così facendo hanno ottenuto, in termini collettivi, il risultato peggiore possibile, rinunciando a un’occasione per il chiarimento sui compiti e significati della medicina del lavoro. Al di là dell’ironia, la questione su cosa si debba intendere per “lavoratore a rischio”, rimane centrale. Superato il fatidico 31 marzo, e avendo appreso che il Consiglio dei Ministri ha approvato uno schema di decreto che dovrebbe abolire l’Art. 40 (1), dedichiamo una serena e attenta riflessione alla differenza di significato del termine “rischio” in medicina e in giurisprudenza, e alle conseguenze che tale differenza può e deve avere nella pratica della sorveglianza sanitaria e nell’applicazione del rigido sistema sanzionatorio che l’Italia, unico tra i paesi europei, ha ritenuto indispensabile per l’applicazione delle norme sulla salute e sicurezza sul lavoro.

Magnavita, N., I dati aggregati e la teoria dei giochi., <<LA MEDICINA DEL LAVORO>>, 2009; 100 (4): 314-314 [http://hdl.handle.net/10807/111524]

I dati aggregati e la teoria dei giochi.

Magnavita, Nicola
Primo
2009

Abstract

Nel mese di marzo 2009 i medici competenti di tutt’Italia hanno vissuto un’esperienza culturale irripetibile, alla quale molti forse non erano preparati, ma che non può cadere nell’oblio. I medici competenti sapevano già di essere l’unica categoria al mondo sanzionabile penalmente per comportamenti professionali omissivi, indipendentemente dal verificarsi di un danno. Sapevano di essere vincolati per legge al rispetto di un Codice Etico, principio che nessuno Stato etico aveva mai osato proporre. Ma non immaginavano di essere chiamati ad un impegno che supera i confini della realtà empirica, per addentrarsi nell’epistemologia e nella semiotica. Ebbene, la trasmissione dei dati aggregati in ossequio all’Art. 40 del D. Lgs. 81/08 e alle indicazioni del Coordinamento tecnico interregionale della Conferenza Regioni e Province Autonome (2) li ha forgiati anche a tale esperienza. All’entrata in vigore del Decreto pochi si erano accorti che esso rendeva cogente un lavoro epidemiologico retroattivo, violando così al tempo stesso i principi del diritto e quelli dell’epidemiologia. I più erano rimasti sconcertati dal fatto che la griglia per la registrazione dei dati (2) fosse ispirata a criteri per lo meno bizzarri, quali quello di distinguere i lavoratori esposti a ultrasuoni o infrasuoni dagli esposti a rumore e a vibrazioni, per conteggiare tutti insieme in un’unica categoria di rischio, l’ultima, gli esposti a silice e ad asbesto, a polveri organiche e inerti, a lavoro in altezza e posture scorrette e a quant’altro possa assumere il carattere di rischio professionale. Ma è appunto la meditazione sul concetto di rischio la chiave dell’esperienza filosofica. Il rischio, per definizione, è la probabilità di accadimento di un evento dannoso per effetto di una fonte (pericolo o fattore di rischio). Esso è, dunque, una variabile continua, i cui valori sono compresi tra zero ed uno. La richiesta che il legislatore fa, e che gli organi di vigilanza o la magistratura applicano, è di definire il rischio in termini binari, come “presente” o “assente”. La trasformazione di una variabile continua in una categoriale richiede, evidentemente, la definizione di una “soglia” o, in alternativa, il ricorso a metodi statistici di “cut-off ”, quali la scelta di un determinato (e arbitrario) percentile. Un compito, mi si perdoni il gioco di parole, non privo di rischi, e che in ogni caso spetta al datore di lavoro, non al medico competente. All’imprevista difficoltà, alcuni hanno reagito tentando di inserire comunque i numeri nella griglia come avrebbero fatto con le caselle del Sudoku, ma è stato subito chiaro che la sanzione per una dichiarazione mendace sarebbe stata assai più grave di quella, amministrativa, per l’omessa trasmissione dei dati aggregati. Come nel dilemma del viaggiatore della teoria dei giochi (3), i medici competenti hanno optato individualmente per il male minore, sottoponendosi allo sforzo improbo di razionalizzare documenti di valutazione dei rischi mal scritti, quando erano scritti, o di raccogliere dati amministrativi, di nessun interesse per la prevenzione dei rischi, e trasmetterli diligentemente. Secondo quello che viene definito l’equilibrio di Nash (4, 5), così facendo hanno ottenuto, in termini collettivi, il risultato peggiore possibile, rinunciando a un’occasione per il chiarimento sui compiti e significati della medicina del lavoro. Al di là dell’ironia, la questione su cosa si debba intendere per “lavoratore a rischio”, rimane centrale. Superato il fatidico 31 marzo, e avendo appreso che il Consiglio dei Ministri ha approvato uno schema di decreto che dovrebbe abolire l’Art. 40 (1), dedichiamo una serena e attenta riflessione alla differenza di significato del termine “rischio” in medicina e in giurisprudenza, e alle conseguenze che tale differenza può e deve avere nella pratica della sorveglianza sanitaria e nell’applicazione del rigido sistema sanzionatorio che l’Italia, unico tra i paesi europei, ha ritenuto indispensabile per l’applicazione delle norme sulla salute e sicurezza sul lavoro.
2009
Italiano
Magnavita, N., I dati aggregati e la teoria dei giochi., <<LA MEDICINA DEL LAVORO>>, 2009; 100 (4): 314-314 [http://hdl.handle.net/10807/111524]
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