La relazione comunemente riconosciuta tra l’intervento sull’ambiente e lo sviluppo non risulta sufficiente ad indicare un percorso per il futuro dell’uomo. In altre parole non basta considerare le sole dimensioni tecnica ed economica. Alla relazione citata si deve aggiungere una componente decisiva, quella antropologica. In base a quale visione dell’uomo dobbiamo indirizzare lo sviluppo e l’intervento sull’ambiente naturale? A seconda di come si risponde alla domanda antropologica si danno indicazioni diverse anche sulla mentalità con cui approssimarsi all’ambiente naturale. Possiamo scorgere tre principali visioni della natura. a. La natura come realtà sacra. Questa visione riconosce un ordine intrinseco alla natura, retta da leggi che la caratterizzano come un sistema complesso di interrelazioni multiple. L’ecocentrismo e il biocentrismo rientrano in questa visione. Essa non distingue le differenze ontologiche tra l’essere umano e il resto dei viventi, affermando un egualitarismo ridotto all’ambito biologico, assieme ad una certa divinizzazione della natura. b. La natura come prodotto del caso. In questo caso la natura non è intesa come creazione con un senso, bensì come una realtà che esiste in una certa maniera, ma che potrebbe esistere anche in un’altra. La maniera attuale di esistere della natura è un risultato dovuto alla casualità, con la conseguenza che l’uomo, nella misura in cui ne conosce le strutture intime, le potrà manipolare a suo arbitrio. Si tratta di una posizione utilitaristica, in cui il giudizio etico sulle attività ambientali o biotecnologiche consiste nel calcolare i possibili rischi e benefici nel tempo. c. La natura come creazione. Questa visione riconosce che la natura è ordinata ed è intesa come realtà creata da Dio per amore. In tale ottica, la persona percepisce il mondo della natura come un bene che la precede, che può conoscere e che deve rispettare. L’essere umano, non essendo l’autore del mondo della natura, si riconosce solo suo amministratore e non suo sfruttatore, ed ammette nello stesso tempo la sua grandezza e la sua contingenza e interdipendenza1. L’espressione più chiara, ancorché sintetica, di questa esigenza antropologica è stata esposta da Papa Benedetto XVI nell’enciclica sociale Caritas in veritate (CV), del giugno 2009: “Oggi la questione sociale è diventata radicalmente questione antropologica” (CV 75). E ancora: “Chiave dello sviluppo è un’intelligenza in grado di pensare la tecnica e di cogliere il senso pienamente umano del fare dell’uomo, nell’orizzonte di senso della persona presa nella globalità del suo essere” (CV 70).
Trevisi, E., Bianchi, M., Bertoni, G., Marocco, A., Moro, D., Tirelli Palummeri, L., Tabaglio, V., Orizzonti per lo sviluppo dell’agricoltura sulla Terra: come conciliare la sicurezza alimentareper l’uomo e la custodia del Creato, Contributed paper, in Iniziativa Culturale di Ateneo 2013-2015 - Nuove generazioni e integrazioni dei saperi: quale umanesimo?, (Firenze, 09-13 November 2015), Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano 2015: 1-12 [http://hdl.handle.net/10807/68389]
Orizzonti per lo sviluppo dell’agricoltura sulla Terra: come conciliare la sicurezza alimentare per l’uomo e la custodia del Creato
Trevisi, Erminio;Bianchi, Mauro;Bertoni, Giuseppe;Marocco, Adriano;Moro, Daniele;Tirelli Palummeri, Lucia;Tabaglio, Vincenzo
2015
Abstract
La relazione comunemente riconosciuta tra l’intervento sull’ambiente e lo sviluppo non risulta sufficiente ad indicare un percorso per il futuro dell’uomo. In altre parole non basta considerare le sole dimensioni tecnica ed economica. Alla relazione citata si deve aggiungere una componente decisiva, quella antropologica. In base a quale visione dell’uomo dobbiamo indirizzare lo sviluppo e l’intervento sull’ambiente naturale? A seconda di come si risponde alla domanda antropologica si danno indicazioni diverse anche sulla mentalità con cui approssimarsi all’ambiente naturale. Possiamo scorgere tre principali visioni della natura. a. La natura come realtà sacra. Questa visione riconosce un ordine intrinseco alla natura, retta da leggi che la caratterizzano come un sistema complesso di interrelazioni multiple. L’ecocentrismo e il biocentrismo rientrano in questa visione. Essa non distingue le differenze ontologiche tra l’essere umano e il resto dei viventi, affermando un egualitarismo ridotto all’ambito biologico, assieme ad una certa divinizzazione della natura. b. La natura come prodotto del caso. In questo caso la natura non è intesa come creazione con un senso, bensì come una realtà che esiste in una certa maniera, ma che potrebbe esistere anche in un’altra. La maniera attuale di esistere della natura è un risultato dovuto alla casualità, con la conseguenza che l’uomo, nella misura in cui ne conosce le strutture intime, le potrà manipolare a suo arbitrio. Si tratta di una posizione utilitaristica, in cui il giudizio etico sulle attività ambientali o biotecnologiche consiste nel calcolare i possibili rischi e benefici nel tempo. c. La natura come creazione. Questa visione riconosce che la natura è ordinata ed è intesa come realtà creata da Dio per amore. In tale ottica, la persona percepisce il mondo della natura come un bene che la precede, che può conoscere e che deve rispettare. L’essere umano, non essendo l’autore del mondo della natura, si riconosce solo suo amministratore e non suo sfruttatore, ed ammette nello stesso tempo la sua grandezza e la sua contingenza e interdipendenza1. L’espressione più chiara, ancorché sintetica, di questa esigenza antropologica è stata esposta da Papa Benedetto XVI nell’enciclica sociale Caritas in veritate (CV), del giugno 2009: “Oggi la questione sociale è diventata radicalmente questione antropologica” (CV 75). E ancora: “Chiave dello sviluppo è un’intelligenza in grado di pensare la tecnica e di cogliere il senso pienamente umano del fare dell’uomo, nell’orizzonte di senso della persona presa nella globalità del suo essere” (CV 70).I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.