Le poesie di Michelangelo, notoriamente escluse nel Cinquecento da edizioni a stampa, sopravvivono (anche per quella ragione) in grande quantità attraverso materiali autografi, da sempre oggetto delle attenzioni di lettori, studiosi e collezionisti. Il filologo, d’altronde, sa che quegli autografi non possono costituire una guida univoca per l’edizione dei testi, e ciò (mancando le stampe) per la presenza significativa di copie coeve per lo più autorizzate e allestite in ambienti assai vicini all’artista e col suo appoggio e collaborazione. Il caso eclatante è individuabile nell’allestimento (1546) di una silloge di 89 rime dell’artista, che ancora rappresenta un nucleo controverso del corpus sotto il profilo ecdotico. In quella occasione Michelangelo aveva affidato l’allestimento e l’organizzazione di quel consistente gruppo di rime a Luigi del Riccio e Donato Giannotti, a loro volta coadiuvati da altri scribi non meglio conosciuti. Esito ne fu una serie di ri-scritture apografe, due delle quali riviste e approvate dal poeta e dunque valutabili come idiografi. Nel presente come nel passato gli editori si sono trovati nella necessità di valutare la maggiore o minore “autorevolezza” di quelle copie, il che significava chiarire la natura specifica di un lavoro ‘collettivo’ per molti aspetti fondato su una vera e propria delega autoriale. Questo contributo intende proporre altri materiali di analisi e qualche riflessione ecdotica sulla materia: in primo luogo intorno alla estensione, caratura e autorevolezza del lavoro correttorio operato dai collaboratori sulle poesie michelangiolesche; secondariamente su alcuni problemi di restituzione grafica dei testi. Al suo fondamento è, a nostro parere, la peculiarità, e assieme il limite, del sistema di scrittura michelangiolesco, un sistema essenzialmente ‘anti-umanistico’ nel quale, a dispetto del fascino indiscutibile e di attrattive talora feticistica, è evidente proprio la cifra dilettantesca. Tutto ciò col corollario, meno conclamato, della consapevolezza di ciò da parte di Michelangelo, e del suo bisogno di continui conforti e aiuti nei momenti più impegnativi della sua attività di poeta
Corsaro, A., Tarsi, M. C., Riflessioni ecdotiche sugli autografi di Michelangelo, <<MEDIOEVO E RINASCIMENTO>>, 2012; (23): 197-219 [http://hdl.handle.net/10807/66662]
Riflessioni ecdotiche sugli autografi di Michelangelo
Tarsi, Maria Chiara
2012
Abstract
Le poesie di Michelangelo, notoriamente escluse nel Cinquecento da edizioni a stampa, sopravvivono (anche per quella ragione) in grande quantità attraverso materiali autografi, da sempre oggetto delle attenzioni di lettori, studiosi e collezionisti. Il filologo, d’altronde, sa che quegli autografi non possono costituire una guida univoca per l’edizione dei testi, e ciò (mancando le stampe) per la presenza significativa di copie coeve per lo più autorizzate e allestite in ambienti assai vicini all’artista e col suo appoggio e collaborazione. Il caso eclatante è individuabile nell’allestimento (1546) di una silloge di 89 rime dell’artista, che ancora rappresenta un nucleo controverso del corpus sotto il profilo ecdotico. In quella occasione Michelangelo aveva affidato l’allestimento e l’organizzazione di quel consistente gruppo di rime a Luigi del Riccio e Donato Giannotti, a loro volta coadiuvati da altri scribi non meglio conosciuti. Esito ne fu una serie di ri-scritture apografe, due delle quali riviste e approvate dal poeta e dunque valutabili come idiografi. Nel presente come nel passato gli editori si sono trovati nella necessità di valutare la maggiore o minore “autorevolezza” di quelle copie, il che significava chiarire la natura specifica di un lavoro ‘collettivo’ per molti aspetti fondato su una vera e propria delega autoriale. Questo contributo intende proporre altri materiali di analisi e qualche riflessione ecdotica sulla materia: in primo luogo intorno alla estensione, caratura e autorevolezza del lavoro correttorio operato dai collaboratori sulle poesie michelangiolesche; secondariamente su alcuni problemi di restituzione grafica dei testi. Al suo fondamento è, a nostro parere, la peculiarità, e assieme il limite, del sistema di scrittura michelangiolesco, un sistema essenzialmente ‘anti-umanistico’ nel quale, a dispetto del fascino indiscutibile e di attrattive talora feticistica, è evidente proprio la cifra dilettantesca. Tutto ciò col corollario, meno conclamato, della consapevolezza di ciò da parte di Michelangelo, e del suo bisogno di continui conforti e aiuti nei momenti più impegnativi della sua attività di poetaI documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.