L’adozione internazionale presuppone l’incontro tra due culture: questo compito - ormai evidente dal momento che i bambini oggi vengono adottati ad un’età media di più di 5 anni, e quindi conservano ricordi di volti e di ambienti legati alla loro origine - è fondamentale anche nel caso venga adottato un bimbo molto piccolo. Maggiormente idoneo a comprendere questa sfida sembra essere il “modello interculturale”, che permette la reciproca valorizzazione delle culture coinvolte, con un’immagine almeno parzialmente positiva di ciò che c’è stato prima dell’adozione. Se infatti sentono che il figlio ha avuto e conserva dalla sua origine qualcosa di buono, i genitori adottivi lo riceveranno come un dono prezioso, e le figure che in precedenza si sono prese cura del bambino saranno viste in qualche modo come alleate: condizione indispensabile per qualche forma di scambio e di intreccio tra le due diverse radici. L’adolescente adottato, infatti, per arrivare alla costruzione della propria identità etnica, è chiamato ad integrare due diverse etnicità, confrontandosi con due elementi ascritti di grande peso: la propria condizione adottiva e la propria differente origine etnica. La posizione più complessa, ma anche quella che dalle ricerche sembra legata ai livelli più alti di benessere del figlio adottivo, se accompagnato e sostenuto in questo compito dai suoi genitori, è l’identità etnica duale o integrata, che deriva dalla capacità dell’adottato di valorizzare nel tempo entrambi i riferimenti etnici. E’ da sottolineare, inoltre, che il valore che l’adolescente adottato decide di dare alla propria etnicità dipende in larga misura dal valore che i genitori adottivi e più in generale il contesto sociale vi attribuiscono.
Greco, O., Un figlio così diverso da noi: essere genitori di un figlio adottato di diversa etnia, <<MINORI GIUSTIZIA>>, 2014; (3): 149-156. [doi:10.3280/MG2014-003018] [http://hdl.handle.net/10807/66216]
Un figlio così diverso da noi: essere genitori di un figlio adottato di diversa etnia
Greco, Ondina
2014
Abstract
L’adozione internazionale presuppone l’incontro tra due culture: questo compito - ormai evidente dal momento che i bambini oggi vengono adottati ad un’età media di più di 5 anni, e quindi conservano ricordi di volti e di ambienti legati alla loro origine - è fondamentale anche nel caso venga adottato un bimbo molto piccolo. Maggiormente idoneo a comprendere questa sfida sembra essere il “modello interculturale”, che permette la reciproca valorizzazione delle culture coinvolte, con un’immagine almeno parzialmente positiva di ciò che c’è stato prima dell’adozione. Se infatti sentono che il figlio ha avuto e conserva dalla sua origine qualcosa di buono, i genitori adottivi lo riceveranno come un dono prezioso, e le figure che in precedenza si sono prese cura del bambino saranno viste in qualche modo come alleate: condizione indispensabile per qualche forma di scambio e di intreccio tra le due diverse radici. L’adolescente adottato, infatti, per arrivare alla costruzione della propria identità etnica, è chiamato ad integrare due diverse etnicità, confrontandosi con due elementi ascritti di grande peso: la propria condizione adottiva e la propria differente origine etnica. La posizione più complessa, ma anche quella che dalle ricerche sembra legata ai livelli più alti di benessere del figlio adottivo, se accompagnato e sostenuto in questo compito dai suoi genitori, è l’identità etnica duale o integrata, che deriva dalla capacità dell’adottato di valorizzare nel tempo entrambi i riferimenti etnici. E’ da sottolineare, inoltre, che il valore che l’adolescente adottato decide di dare alla propria etnicità dipende in larga misura dal valore che i genitori adottivi e più in generale il contesto sociale vi attribuiscono.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.