L'articolo, a partire dal commento alla pronuncia della Cassazione n. 24001/2014, riapre il dibattito sulla surrogazione di maternità, che converge intorno ai due profili del fondamento di un divieto largamente maggioritario in Europa e dello status da attribuirsi al nato a seguito del ricorso a questa tecnica. Riguardo al primo aspetto l’autore, pur condividendo la conclusione della contrarietà della pratica all’ordine pubblico internazionale, raggiunta dalla Suprema Corte, ritiene che ad essa si debba giungere attraverso un percorso argomentativo più complesso, che porti a chiedersi se il divieto della tecnica si giustifichi realmente in ragione del dogma per cui madre è colei che partorisce o se non concorrano a fondarlo altri e preminenti principi. Rispetto al secondo profilo, la risposta al quesito circa lo status del nato va trovata proprio nella regola per cui madre è colei che ha partorito il nato, come la più adatta a sanzionare il divieto, senza che ciò escluda che l’ordinamento – innanzi a situazioni in cui il legame affettivo del minore con i “committenti” si sia consolidato nel tempo – possa aprirsi de iure condendo a soluzioni diverse, alla luce di una nozione di interesse del minore da sottoporsi però ad un rigoroso controllo di coerenza con gli altri principi dell’ordinamento.
Renda, A., La surrogazione di maternità tra principi costituzionali ed interesse del minore, <<IL CORRIERE GIURIDICO>>, 2015; XXXII (Aprile): 474-488 [http://hdl.handle.net/10807/66079]
La surrogazione di maternità tra principi costituzionali ed interesse del minore
Renda, Andrea
2015
Abstract
L'articolo, a partire dal commento alla pronuncia della Cassazione n. 24001/2014, riapre il dibattito sulla surrogazione di maternità, che converge intorno ai due profili del fondamento di un divieto largamente maggioritario in Europa e dello status da attribuirsi al nato a seguito del ricorso a questa tecnica. Riguardo al primo aspetto l’autore, pur condividendo la conclusione della contrarietà della pratica all’ordine pubblico internazionale, raggiunta dalla Suprema Corte, ritiene che ad essa si debba giungere attraverso un percorso argomentativo più complesso, che porti a chiedersi se il divieto della tecnica si giustifichi realmente in ragione del dogma per cui madre è colei che partorisce o se non concorrano a fondarlo altri e preminenti principi. Rispetto al secondo profilo, la risposta al quesito circa lo status del nato va trovata proprio nella regola per cui madre è colei che ha partorito il nato, come la più adatta a sanzionare il divieto, senza che ciò escluda che l’ordinamento – innanzi a situazioni in cui il legame affettivo del minore con i “committenti” si sia consolidato nel tempo – possa aprirsi de iure condendo a soluzioni diverse, alla luce di una nozione di interesse del minore da sottoporsi però ad un rigoroso controllo di coerenza con gli altri principi dell’ordinamento.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.