Il saggio mira ad operare un inquadramento sistematico della c.d. riforma del diritto della filiazione (di cui alla legge 10 dicembre 2012, n. 219 ed al d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154), esaminandone le premesse ed apprezzandone l’impatto. Nel complesso, l’intervento normativo si presta a valutazioni ambivalenti, a seconda che si guardi alla mens legis ovvero alla tecnica normativa adoperata per realizzarla. Dal primo punto di vista, esso porta a compimento il principio costituzionale della responsabilità per la procreazione, rendendo le circostanze del concepimento – almeno apparentemente - ininfluenti sul trattamento dello stato di figlio. In questa prospettiva, è piuttosto la recente introduzione della fecondazione eterologa, operata dalla Corte costituzionale con sentenza n. 162/2014, a contraddire il principio, fissato all’art. 30 Cost., per il quale la genitorialità giuridica sorge quale effetto della procreazione intesa quale fatto biologico umanamente rilevante e non quale puro atto di volontà, disincarnato dalla dimensione biologica. Dal secondo punto di vista, l’intervento normativo non si mostra all’altezza dell’obiettivo dell’unificazione degli stati di filiazione, peraltro raggiunto dalle riforme tedesca e francese, perché mentre riesce a garantire l’unicità di regime sotto il profilo del rapporto di filiazione manca di realizzarlo sotto il profilo delle modalità di accertamento e di contestazione dello status, che restano significativamente differenziate a seconda che la nascita avvenga in matrimonio o fuori di esso, nel segno di una maggiore precarietà di condizione nella seconda ipotesi: di qui la conclusione che si tratti di una novella, anziché di una compiuta riforma. Per converso, alla stessa non si può rimproverare di avere spezzato il nesso tra filiazione e matrimonio: come infatti la filiazione resta l’orizzonte naturale del matrimonio (com’è dimostrato, tra l’altro, dall’eterosessualità costituzionalmente necessaria di questo), così il matrimonio continua a vedere tutelato il vantaggio della stabilità, che esso dà alla filiazione, dalla norma sull’inserimento del figlio non matrimoniale nel nucleo coniugale (art. 252 c.c.), coerente con il surplus di tutela che l’art. 30, 3° comma Cost. assicura all’ipotesi in cui si realizzi l’intersezione tra famiglia dei coniugi e famiglia dei figli.
Renda, A., Nicolussi, A., Ragioni e implicazioni della "riforma" della filiazione, in Aa.Vv, A., La nuova disciplina della filiazione, Maggioli Editore, Rimini 2014: 21-47 [http://hdl.handle.net/10807/62647]
Ragioni e implicazioni della "riforma" della filiazione
Renda, Andrea;Nicolussi, Andrea
2014
Abstract
Il saggio mira ad operare un inquadramento sistematico della c.d. riforma del diritto della filiazione (di cui alla legge 10 dicembre 2012, n. 219 ed al d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154), esaminandone le premesse ed apprezzandone l’impatto. Nel complesso, l’intervento normativo si presta a valutazioni ambivalenti, a seconda che si guardi alla mens legis ovvero alla tecnica normativa adoperata per realizzarla. Dal primo punto di vista, esso porta a compimento il principio costituzionale della responsabilità per la procreazione, rendendo le circostanze del concepimento – almeno apparentemente - ininfluenti sul trattamento dello stato di figlio. In questa prospettiva, è piuttosto la recente introduzione della fecondazione eterologa, operata dalla Corte costituzionale con sentenza n. 162/2014, a contraddire il principio, fissato all’art. 30 Cost., per il quale la genitorialità giuridica sorge quale effetto della procreazione intesa quale fatto biologico umanamente rilevante e non quale puro atto di volontà, disincarnato dalla dimensione biologica. Dal secondo punto di vista, l’intervento normativo non si mostra all’altezza dell’obiettivo dell’unificazione degli stati di filiazione, peraltro raggiunto dalle riforme tedesca e francese, perché mentre riesce a garantire l’unicità di regime sotto il profilo del rapporto di filiazione manca di realizzarlo sotto il profilo delle modalità di accertamento e di contestazione dello status, che restano significativamente differenziate a seconda che la nascita avvenga in matrimonio o fuori di esso, nel segno di una maggiore precarietà di condizione nella seconda ipotesi: di qui la conclusione che si tratti di una novella, anziché di una compiuta riforma. Per converso, alla stessa non si può rimproverare di avere spezzato il nesso tra filiazione e matrimonio: come infatti la filiazione resta l’orizzonte naturale del matrimonio (com’è dimostrato, tra l’altro, dall’eterosessualità costituzionalmente necessaria di questo), così il matrimonio continua a vedere tutelato il vantaggio della stabilità, che esso dà alla filiazione, dalla norma sull’inserimento del figlio non matrimoniale nel nucleo coniugale (art. 252 c.c.), coerente con il surplus di tutela che l’art. 30, 3° comma Cost. assicura all’ipotesi in cui si realizzi l’intersezione tra famiglia dei coniugi e famiglia dei figli.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.