L’azione britannica nelle vicende italiane del 1860 risponde, da un lato, alle trasformazioni indotte dagli avvenimenti dell’anno precedente, culminati nei preliminari di Villafranca, dall’altro ai cambiamenti di più lungo periodo che interessano il Paese durante la prima età vittoriana. La ridefinizione della posizione internazionale di Londra a seguito – fra l’altro -- alla crisi del 1857/’58 in India e all’assunzione da parte della Corona della responsabilità diretta sui possedimenti già dell’East India Company, unite alle prospettive aperte dall’avvio dei lavori per la realizzazione sotto egida francese del canale di Suez (1859), contribuiscono ad accrescere – in questi anni – la centralità del teatro mediterraneo. Parallelamente, un insieme di fattori endogeni ed esogeni, in parte evidenziati dall’esperienza della Crimea, determina l’erosione della posizione d’incontrastata supremazia acquisita – in campo navale – durante e dopo il termine delle guerre napoleoniche. I risultati ottenuti dalla Francia con il trattato di Torino, le prospettive che essi aprono alle ambizioni del Secondo Impero e la percepita debolezza piemontese di fronte alle pressioni di Napoleone III, costituiscono il movente primo dell’azione di Londra. Obiettivo perseguito è, anzitutto, il contenimento delle possibili iniziative francesi rispetto alle proprie frontiere occidentali, attraverso la ‘sterilizzazione’ della posizione di Vienna e di Parigi e il depotenziamento dei fattori capaci di portare a un nuovo confronto fra le due Potenze. Subordinatamente, interesse di Londra è la difesa della propria posizione nel Mediterraneo, sia – in una prima fase – nella prospettiva di un distacco traumatico della Sicilia dal resto del Regno, sia – successivamente – in quella di un collasso generale della monarchia borbonica. A livello locale, ciò si declina, da una parte, nel tentativo di contrastare la ‘satellizzazione’ del Piemonte, favorendone il consolidamento statuale e sostenendone l’azione autonoma rispetto alle direttive francesi, dall’altra nell’evitare una ‘fuga in avanti’ del processo unitario, capace di rompere in maniera traumatica gli assetti faticosamente raggiunti. In questa prospettiva, la funzione svolta della flotta del Mediterraneo (Mundy), schierata a tutela degli interessi britannici a Napoli e a Palermo, rispecchia una duplice esigenza. Da un lato, essa mira ad esercitare una funzione deterrente rispetto a una possibile internazionalizzazione del conflitto, dall’altra a pilotarne gli sviluppi una volta riconosciuta l’irreversibilità del processo in atto e la preferibilità, per gli obiettivi politici e strategici di Londra, della soluzione unitaria rispetto all’ipotesi di una confederazione italiana. Sul piano operativo, l’azione di Mundy si integra quindi (e, in parte, si sovrappone), oltre che con quella di Russell e Palmerston, con quella del ministro britannico presso la corte di Francesco II (Elliot) e del console a Palermo (Goodwin), nel quadro di una politica che – pur fondandosi su una proclamata neutralità e sul cardine del non intervento – mira a sganciare la monarchia sabauda dall’orbita francese e a contrastare il possibile deterioramento in chiave antibritannica degli assetti regionali. Al di là del favore popolare e delle simpatie godute dalla causa italiana all’interno dei circoli politici britannici, il perseguimento di questo duplice obiettivo giustifica, in larga misura, il sostegno offerto da Londra all’iniziativa garibaldina, almeno finché questa non fosse apparsa destinata a sfociare in un nuovo intervento di Potenze straniere nella Penisola e/o in una conflagrazione su scala europea. A fronte del permanere, nelle Due Sicilie, di una situazione sociale e politica giudicata insostenibile (soprattutto a paragone di quella dell’Italia settentrionale), l’azione rivoluzionaria diventa – nella prospettiva britannica – la via d’uscita migliore da un’impasse in cui i rischi appaiono superiori ai benefici. Per contro, fine ultimo del mutato assetto italiano rimane – agli occhi di Russell e di Palmerston – la difesa avanzata degli avamposti di Londra nel Mediterraneo (in primo luogo Malta, Corfù e Gibilterra) contro una minaccia esplicitamente identificata nel predominio della Francia sulle flotte unite di Genova e di Napoli

Pastori, G., La strategia navale britannica nel Mediterraneo e l'unificazione italiana, Relazione, in L'anno di Teano. Atti del Convegno Nazionale CISM-SISM su Il Risorgimento e l'Europa, (Roma, 09-10 November 2010), Società Italiana di Storia Militare, Roma 2011:<<Quaderni>>, 155-168 [http://hdl.handle.net/10807/5985]

La strategia navale britannica nel Mediterraneo e l'unificazione italiana

Pastori, Gianluca
2011

Abstract

L’azione britannica nelle vicende italiane del 1860 risponde, da un lato, alle trasformazioni indotte dagli avvenimenti dell’anno precedente, culminati nei preliminari di Villafranca, dall’altro ai cambiamenti di più lungo periodo che interessano il Paese durante la prima età vittoriana. La ridefinizione della posizione internazionale di Londra a seguito – fra l’altro -- alla crisi del 1857/’58 in India e all’assunzione da parte della Corona della responsabilità diretta sui possedimenti già dell’East India Company, unite alle prospettive aperte dall’avvio dei lavori per la realizzazione sotto egida francese del canale di Suez (1859), contribuiscono ad accrescere – in questi anni – la centralità del teatro mediterraneo. Parallelamente, un insieme di fattori endogeni ed esogeni, in parte evidenziati dall’esperienza della Crimea, determina l’erosione della posizione d’incontrastata supremazia acquisita – in campo navale – durante e dopo il termine delle guerre napoleoniche. I risultati ottenuti dalla Francia con il trattato di Torino, le prospettive che essi aprono alle ambizioni del Secondo Impero e la percepita debolezza piemontese di fronte alle pressioni di Napoleone III, costituiscono il movente primo dell’azione di Londra. Obiettivo perseguito è, anzitutto, il contenimento delle possibili iniziative francesi rispetto alle proprie frontiere occidentali, attraverso la ‘sterilizzazione’ della posizione di Vienna e di Parigi e il depotenziamento dei fattori capaci di portare a un nuovo confronto fra le due Potenze. Subordinatamente, interesse di Londra è la difesa della propria posizione nel Mediterraneo, sia – in una prima fase – nella prospettiva di un distacco traumatico della Sicilia dal resto del Regno, sia – successivamente – in quella di un collasso generale della monarchia borbonica. A livello locale, ciò si declina, da una parte, nel tentativo di contrastare la ‘satellizzazione’ del Piemonte, favorendone il consolidamento statuale e sostenendone l’azione autonoma rispetto alle direttive francesi, dall’altra nell’evitare una ‘fuga in avanti’ del processo unitario, capace di rompere in maniera traumatica gli assetti faticosamente raggiunti. In questa prospettiva, la funzione svolta della flotta del Mediterraneo (Mundy), schierata a tutela degli interessi britannici a Napoli e a Palermo, rispecchia una duplice esigenza. Da un lato, essa mira ad esercitare una funzione deterrente rispetto a una possibile internazionalizzazione del conflitto, dall’altra a pilotarne gli sviluppi una volta riconosciuta l’irreversibilità del processo in atto e la preferibilità, per gli obiettivi politici e strategici di Londra, della soluzione unitaria rispetto all’ipotesi di una confederazione italiana. Sul piano operativo, l’azione di Mundy si integra quindi (e, in parte, si sovrappone), oltre che con quella di Russell e Palmerston, con quella del ministro britannico presso la corte di Francesco II (Elliot) e del console a Palermo (Goodwin), nel quadro di una politica che – pur fondandosi su una proclamata neutralità e sul cardine del non intervento – mira a sganciare la monarchia sabauda dall’orbita francese e a contrastare il possibile deterioramento in chiave antibritannica degli assetti regionali. Al di là del favore popolare e delle simpatie godute dalla causa italiana all’interno dei circoli politici britannici, il perseguimento di questo duplice obiettivo giustifica, in larga misura, il sostegno offerto da Londra all’iniziativa garibaldina, almeno finché questa non fosse apparsa destinata a sfociare in un nuovo intervento di Potenze straniere nella Penisola e/o in una conflagrazione su scala europea. A fronte del permanere, nelle Due Sicilie, di una situazione sociale e politica giudicata insostenibile (soprattutto a paragone di quella dell’Italia settentrionale), l’azione rivoluzionaria diventa – nella prospettiva britannica – la via d’uscita migliore da un’impasse in cui i rischi appaiono superiori ai benefici. Per contro, fine ultimo del mutato assetto italiano rimane – agli occhi di Russell e di Palmerston – la difesa avanzata degli avamposti di Londra nel Mediterraneo (in primo luogo Malta, Corfù e Gibilterra) contro una minaccia esplicitamente identificata nel predominio della Francia sulle flotte unite di Genova e di Napoli
2011
Italiano
L'anno di Teano. Atti del Convegno Nazionale CISM-SISM su Il Risorgimento e l'Europa
Convegno Nazionale CISM [Commissione Italiana di Storia Militare], "Il Risorgimento e l’Europa. Attori e protagonisti dell’Unità d’Italia nel 150° anniversario", Centro Alti Studi per la Difesa, Palazzo Salviati, Roma, 9-10 Novembre 2010
Roma
Relazione
9-nov-2010
10-nov-2010
Pastori, G., La strategia navale britannica nel Mediterraneo e l'unificazione italiana, Relazione, in L'anno di Teano. Atti del Convegno Nazionale CISM-SISM su Il Risorgimento e l'Europa, (Roma, 09-10 November 2010), Società Italiana di Storia Militare, Roma 2011:<<Quaderni>>, 155-168 [http://hdl.handle.net/10807/5985]
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