Tra i paesaggi più peculiari dell'Italia pre-industriale vi è quello della campagna romana. Attorno alla capitale si estende una pianura ondulata e mossa, armonica ma un po' brulla, fatta oggetto, nel volgere delle epoche e degli stili, di innumerevoli rappresentazioni pittoriche, fino agli anni '20-'30 del secolo scorso. L'inglese Charles Coleman, trasferitosi stabilmente a Roma nel 1835, dipinse vivaci scorci dei territori che circondano l'Urbe, e nel 1850 pubblicò un fortunato album di cinquantatré acqueforti dedicate alla campagna romana, dove inizia a palesarsi un'attenzione al "vero". Il pittore-patriota Nino Costa, che conobbe Charles Coleman e frequentò altri due artisti inglesi allora attivi in Italia (George Mason e Frederick Leighton), realizzò, negli anni '50-'60 dell'Ottocento, vedute della campagna romana da cui è ormai bandita ogni traccia di idealizzazione. L'adesione al "vero" e lo studio en plein air non diventano però sinonimo di crudo realismo, giacché il paesaggio è vissuto pur sempre come stato d'animo, in un rapporto diretto ed emotivo con le sue manifestazioni naturalistiche e atmosferiche. La figura e l'insegnamento di Costa saranno determinanti per tutta la generazione successiva di pittori che decideranno di avventurarsi nell'agro latino e di rappresentarlo nelle loro opere. Nel 1904 anzi si costituirà una vera e propria associazione, i "XXV della Campagna Romana", nelle cui file confluiranno molti ex-esponenti del sodalizio "In Arte Libertas", che Costa aveva fondato negli anni '80. Tra i nomi di spicco del gruppo emergono quelli di Giulio Aristide Sartorio, Duilio Cambellotti, Enrico Coleman (figlio di Charles), Cesare Biseo, Onorato Carlandi, Umberto Coromaldi, Arturo Noci, Giuseppe Raggio, Alessandro Morani.

Bolpagni, P., Una solenne malinconia. La campagna romana nella pittura tra fine Ottocento e inizio Novecento, <<ART E DOSSIER>>, 2014; (Febbraio): 36-41 [http://hdl.handle.net/10807/51189]

Una solenne malinconia. La campagna romana nella pittura tra fine Ottocento e inizio Novecento

Bolpagni, Paolo
2014

Abstract

Tra i paesaggi più peculiari dell'Italia pre-industriale vi è quello della campagna romana. Attorno alla capitale si estende una pianura ondulata e mossa, armonica ma un po' brulla, fatta oggetto, nel volgere delle epoche e degli stili, di innumerevoli rappresentazioni pittoriche, fino agli anni '20-'30 del secolo scorso. L'inglese Charles Coleman, trasferitosi stabilmente a Roma nel 1835, dipinse vivaci scorci dei territori che circondano l'Urbe, e nel 1850 pubblicò un fortunato album di cinquantatré acqueforti dedicate alla campagna romana, dove inizia a palesarsi un'attenzione al "vero". Il pittore-patriota Nino Costa, che conobbe Charles Coleman e frequentò altri due artisti inglesi allora attivi in Italia (George Mason e Frederick Leighton), realizzò, negli anni '50-'60 dell'Ottocento, vedute della campagna romana da cui è ormai bandita ogni traccia di idealizzazione. L'adesione al "vero" e lo studio en plein air non diventano però sinonimo di crudo realismo, giacché il paesaggio è vissuto pur sempre come stato d'animo, in un rapporto diretto ed emotivo con le sue manifestazioni naturalistiche e atmosferiche. La figura e l'insegnamento di Costa saranno determinanti per tutta la generazione successiva di pittori che decideranno di avventurarsi nell'agro latino e di rappresentarlo nelle loro opere. Nel 1904 anzi si costituirà una vera e propria associazione, i "XXV della Campagna Romana", nelle cui file confluiranno molti ex-esponenti del sodalizio "In Arte Libertas", che Costa aveva fondato negli anni '80. Tra i nomi di spicco del gruppo emergono quelli di Giulio Aristide Sartorio, Duilio Cambellotti, Enrico Coleman (figlio di Charles), Cesare Biseo, Onorato Carlandi, Umberto Coromaldi, Arturo Noci, Giuseppe Raggio, Alessandro Morani.
2014
Italiano
Bolpagni, P., Una solenne malinconia. La campagna romana nella pittura tra fine Ottocento e inizio Novecento, <<ART E DOSSIER>>, 2014; (Febbraio): 36-41 [http://hdl.handle.net/10807/51189]
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