La Dichiarazione universale dei Diritti dell’uomo del 1948 dell’ ONU ha posto in termini politici, e non soltanto filosofici o religiosi, al centro stesso della logica della cittadinanza l’affermazione della dignità umana e della libertà come qualità innate e non acquisite. Affermare che tutti gli uomini nascono liberi ed eguali in dignità significa affermare di fatto che la dignità è un attributo ontologico, una qualità intrinseca (e quindi inalienabile) dell’ essere umano, al di là di differenze di sesso, di salute, di stato sociale. L’uso della nozione di persona come sinonimo delle qualità dell’adulto, secondo un'accezione prevalente nel dibattito bioetico, rischia di frantumare questo guadagno della politica. La biopolitica liberale rischia di essere fonte di discriminazioni tra gli uomini quando adotta un concetto di persona distinto da quello di essere umano. In essa rivive il dualismo antropologico proprio del platonismo e ripreso con accezioni psicologiche nella modernità. Le tesi di Hannah Arendt, di Eva Kittay e di Martha Nussabaum ci permettono di evidenziare i caratteri della persona umana sia come soggetto psichico sia come essere corporeo diveniente nel tempo, secondo quell’intuizione che fu propria di Tommaso d’Aquino. Se si torna a pensare alla persona umana come essere umano diveniente nel tempo, è possibile salvaguardare i diritti di tutti e in particolare difendere quelle fasi della vita umana in cui la persona umana è esposta, per le fasi dello sviluppo o per la malattia, alla dipendenza. Solo così si può pensare ad una giustizia che includa tutti e tutte le fasi dell’esistenza, anche quelle segnate dalla disabilità. Il saggio si propone pertanto di sviluppare un'articolata disamina dell'uso della nozione di persona nel rapporto che lega la bioetica alla biopolitica.

Pessina, A., Biopolitica e persona, <<MEDICINA E MORALE>>, 2009; (Febbraio): 239-253 [http://hdl.handle.net/10807/4748]

Biopolitica e persona

Pessina, Adriano
2009

Abstract

La Dichiarazione universale dei Diritti dell’uomo del 1948 dell’ ONU ha posto in termini politici, e non soltanto filosofici o religiosi, al centro stesso della logica della cittadinanza l’affermazione della dignità umana e della libertà come qualità innate e non acquisite. Affermare che tutti gli uomini nascono liberi ed eguali in dignità significa affermare di fatto che la dignità è un attributo ontologico, una qualità intrinseca (e quindi inalienabile) dell’ essere umano, al di là di differenze di sesso, di salute, di stato sociale. L’uso della nozione di persona come sinonimo delle qualità dell’adulto, secondo un'accezione prevalente nel dibattito bioetico, rischia di frantumare questo guadagno della politica. La biopolitica liberale rischia di essere fonte di discriminazioni tra gli uomini quando adotta un concetto di persona distinto da quello di essere umano. In essa rivive il dualismo antropologico proprio del platonismo e ripreso con accezioni psicologiche nella modernità. Le tesi di Hannah Arendt, di Eva Kittay e di Martha Nussabaum ci permettono di evidenziare i caratteri della persona umana sia come soggetto psichico sia come essere corporeo diveniente nel tempo, secondo quell’intuizione che fu propria di Tommaso d’Aquino. Se si torna a pensare alla persona umana come essere umano diveniente nel tempo, è possibile salvaguardare i diritti di tutti e in particolare difendere quelle fasi della vita umana in cui la persona umana è esposta, per le fasi dello sviluppo o per la malattia, alla dipendenza. Solo così si può pensare ad una giustizia che includa tutti e tutte le fasi dell’esistenza, anche quelle segnate dalla disabilità. Il saggio si propone pertanto di sviluppare un'articolata disamina dell'uso della nozione di persona nel rapporto che lega la bioetica alla biopolitica.
2009
Italiano
Pessina, A., Biopolitica e persona, <<MEDICINA E MORALE>>, 2009; (Febbraio): 239-253 [http://hdl.handle.net/10807/4748]
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