La destrutturazione del fenomeno “guerra” – il cui ritmo si è fatto più rapido dopo la fine del confronto bipolare – ha comportato l’apertura di un acceso dibattito intorno alla natura e alla portata dei cambiamenti intervenuti nel modo “tradizionale” di pensare la violenza bellica e i suoi protagonisti. Una delle conseguenze che discendono da tale situazione è la crescente problematizzazione di alcune delle categorie tipiche della guerra, prime fra tutte quelle inerenti ai soggetti legittimati a porre in atto la violenza bellica, e alle regole – più o meno formalizzate – che presiedono (o dovrebbero presiedere) il loro comportamento. L’applicazione (seppur limitata) del principio di reciprocità al quadro dei rapporti USA-URSS contribuisce largamente a spiegare perché il confronto bipolare si sia svolto, in sostanza, nel rispetto delle regole tradizionali di gestione della violenza bellica. Il processo di regolamentazione del conflitto, soprattutto in termini di limitazione delle classi di armamenti legittimamente utilizzabili, si è, anzi, rafforzato parallelamente all’ampliamento degli arsenali nucleari delle parti. Al contrario, la caratteristica saliente dei conflitti del dopo guerra fredda, è proprio la crescente disponibilità delle parti coinvolte a guardare all’eliminazione fisica del nemico come a una soluzione accettabile e, per molti aspetti, “normale” e “legittima” dei conflitti stessi. Nell’esperienza occidentale, una tradizione lunga e consolidata perpetua la distinzione fra guerra interstatuale e infrastratuale (“guerra civile”), attribuendo alle due tipologie diversi regimi giuridici e, soprattutto, diverse connotazioni morali. In questo quadro di riferimento, la guerra “civile” è illegittima per definizione, in quanto sollevazione armata contro l’autorità (per definizione legittima) dello Stato, nell’ambito di una sfera interna dalla quale il conflitto è formalmente bandito, o depotenziato (“neutralizzato”) attraverso l’adozione di meccanismi di composizione “non violenta” delle dispute. La possibilità di mantenere viva questa distinzione dipende, però, dal permanere del modello statuale come soggetto centrale del sistema internazionale, e dall’accettazione del criterio (meramente formale) della “sovrana eguaglianza” come base di riferimento della statualità. Le implicazioni di questo processo sul piano della regolamentazione della violenza bellica sono di ampia portata. Poiché, a livello interno, le norme tradizionali del diritto di guerra sono, in larga misura, inapplicabili, il carattere di “guerra civile” che caratterizza molte delle “nuove guerre” ostacola la possibilità di trasferire a tali contesti la consolidata distinzione fra combattenti e non combattenti. Il tema dello jus ad bello, verso il quale la letteratura sembra dimostrare un rinato interesse, ha inoltre contribuito a introdurre nel dibattito un tema fortemente valoriale attraverso il recupero del concetto di “giusta causa”. Il ricorso – spesso per esigenze contingenti – a formulazioni ambigue complica ulteriormente questo stato di cose, contribuendo a sfumare ulteriormente la distinzione tra sfera interna e sfera interna, che rappresenta la principale garanzia riguardo la possibilità di applicare concrete misure di limitazione della violenza bellica.

Pastori, G., "Guerre future" e violenza "assoluta". Appunti sulla validità concettuale di alcune limitazioni tradizionali, in Storia della guerra futura, (VARALLO [SESIA], 22-22 September 2006), Società Italiana di Storia Militare, Roma 2006:<<Quaderni [della Società Italiana di Storia Militare]>>, 159-168 [http://hdl.handle.net/10807/38632]

"Guerre future" e violenza "assoluta". Appunti sulla validità concettuale di alcune limitazioni tradizionali

Pastori, Gianluca
2006

Abstract

La destrutturazione del fenomeno “guerra” – il cui ritmo si è fatto più rapido dopo la fine del confronto bipolare – ha comportato l’apertura di un acceso dibattito intorno alla natura e alla portata dei cambiamenti intervenuti nel modo “tradizionale” di pensare la violenza bellica e i suoi protagonisti. Una delle conseguenze che discendono da tale situazione è la crescente problematizzazione di alcune delle categorie tipiche della guerra, prime fra tutte quelle inerenti ai soggetti legittimati a porre in atto la violenza bellica, e alle regole – più o meno formalizzate – che presiedono (o dovrebbero presiedere) il loro comportamento. L’applicazione (seppur limitata) del principio di reciprocità al quadro dei rapporti USA-URSS contribuisce largamente a spiegare perché il confronto bipolare si sia svolto, in sostanza, nel rispetto delle regole tradizionali di gestione della violenza bellica. Il processo di regolamentazione del conflitto, soprattutto in termini di limitazione delle classi di armamenti legittimamente utilizzabili, si è, anzi, rafforzato parallelamente all’ampliamento degli arsenali nucleari delle parti. Al contrario, la caratteristica saliente dei conflitti del dopo guerra fredda, è proprio la crescente disponibilità delle parti coinvolte a guardare all’eliminazione fisica del nemico come a una soluzione accettabile e, per molti aspetti, “normale” e “legittima” dei conflitti stessi. Nell’esperienza occidentale, una tradizione lunga e consolidata perpetua la distinzione fra guerra interstatuale e infrastratuale (“guerra civile”), attribuendo alle due tipologie diversi regimi giuridici e, soprattutto, diverse connotazioni morali. In questo quadro di riferimento, la guerra “civile” è illegittima per definizione, in quanto sollevazione armata contro l’autorità (per definizione legittima) dello Stato, nell’ambito di una sfera interna dalla quale il conflitto è formalmente bandito, o depotenziato (“neutralizzato”) attraverso l’adozione di meccanismi di composizione “non violenta” delle dispute. La possibilità di mantenere viva questa distinzione dipende, però, dal permanere del modello statuale come soggetto centrale del sistema internazionale, e dall’accettazione del criterio (meramente formale) della “sovrana eguaglianza” come base di riferimento della statualità. Le implicazioni di questo processo sul piano della regolamentazione della violenza bellica sono di ampia portata. Poiché, a livello interno, le norme tradizionali del diritto di guerra sono, in larga misura, inapplicabili, il carattere di “guerra civile” che caratterizza molte delle “nuove guerre” ostacola la possibilità di trasferire a tali contesti la consolidata distinzione fra combattenti e non combattenti. Il tema dello jus ad bello, verso il quale la letteratura sembra dimostrare un rinato interesse, ha inoltre contribuito a introdurre nel dibattito un tema fortemente valoriale attraverso il recupero del concetto di “giusta causa”. Il ricorso – spesso per esigenze contingenti – a formulazioni ambigue complica ulteriormente questo stato di cose, contribuendo a sfumare ulteriormente la distinzione tra sfera interna e sfera interna, che rappresenta la principale garanzia riguardo la possibilità di applicare concrete misure di limitazione della violenza bellica.
2006
Italiano
Storia della guerra futura
Storia della guerra futura. Convegno della Società Italiana di Storia Militare, Varallo, 22 settembre 2006
VARALLO [SESIA]
22-set-2006
22-set-2006
0000000000000
Contributi di / Contributors: V. Ilari, M. Gabriele, P.G. Motta, C. Jean, G. Dottori, M. Amorosi, A. Molinari, L. Ceva, G. Cerino Badone, C.M. Mazzucchi, D. Tamblé, G. Pastori, G. Terrasi
Pastori, G., "Guerre future" e violenza "assoluta". Appunti sulla validità concettuale di alcune limitazioni tradizionali, in Storia della guerra futura, (VARALLO [SESIA], 22-22 September 2006), Società Italiana di Storia Militare, Roma 2006:<<Quaderni [della Società Italiana di Storia Militare]>>, 159-168 [http://hdl.handle.net/10807/38632]
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