Il saggio mette a fuoco – sulla scorta di un’indagine comparata – alcuni orientamenti della musica sacra barocca in un quadro ove la tensione tra ritualità (si pensi al calendario liturgico) e innovazione (non riducibile alle scelte paradigmatiche in ambito stilistico) riesce affatto cruciale. Al di là di tutte le varianti e costanti rilevate e rilevabili, ad imporsi, in ultima analisi, è un tratto di carattere generale che muove le diverse esperienze in un’unica direzione: il superamento del versante eteronomo della musica sacra, cioè a dire l’elusione sistematica di tutte le premesse intese a legittimarne la presenza in chiesa sulla scorta di un progetto funzionale al culto. Il tema non è nuovo. Gli studi di Gino Stefani hanno da tempo chiarito in quali termini si realizzi questo processo che porta la musica sacra ad imporsi come arte, come dominio della seduzione, come trionfo della spettacolarità sulla pietas, della sirena sull’angelo. Tuttavia, la sovraesposizione estetica - rivelata dalle cadenze liturgiche in San Marco, San Petronio e Santa Maria Maggiore - non solo accerta conclusioni fondate prevalentemente su altre fonti, ma anche individua efficacemente il graduale prospettarsi di nuovi paradigmi che traducono inequivocabilmente una sensibilità ed un gusto barocchi. Circe e il pavone (i simboli nei quali, nella suggestiva interpretazione di Jean Rousset, tutta un’epoca – da Michel de Montaigne a Gian Lorenzo Bernini – si riconosce) finiscono con l’aver campo di affermarsi anche nella musica sacra. Il movimento e la trasformazione non appartengono alla sola grande spettacolarità, ove i rapidi mutamenti, le improvvise apparizioni e le magie rappresentano l’immancabile tributo alla poetica della meraviglia. Con modalità e procedimenti diversi, in effetti, il richiamo di Circe risuona pienamente nelle volte delle chiese e giunge ad investire pure gli ambiti più ‘impegnativi’ dal punto di vista liturgico. Dalla musica agli apparati, agli effetti luminosi, alla gestualità, tutto concorre a determinare un campo teatrale in continuo movimento che esige un’appercezione multipla da parte degli astanti. Basterebbe pensare alla processione del Venerdì Santo che – anche in una piccola città come Bergamo – procede con ritmi e campi visivi diversi, scanditi dal canto dei musici e dall’avvicendarsi di quadri ed ambienti di grande suggestione. Qui l’ethos drammatico, ancorché incentivato dai simboli, dai paramenti, dalla bara in cui è posto il corpo di Cristo, finisce con l’essere superato in virtù delle prepotenti ragioni di una esperienza che è ad un tempo stupore, meraviglia ed ammaliamento. Altri esempi potrebbero venire dal Quem queritis in San Marco e dal Triduo delle Tenebre; queste funzioni ripropongono un decorso nel quale musica, preghiera, gestualità ed apparati s’incontrano nel segno di un disegno unitario, carico di valenze connotative. Si attua quindi, pure qui, una percezione polarizzata sui diversi livelli di articolazione di un continuum che si organizza – nel suo procedere diacronico – sulla base di sequenze che passano e mutano incessantemente. Nondimeno, anche nella musica sacra, il simbolo di Circe è accompagnato da quello del pavone che si esplica pienamente laddove è l’artificio ad imporsi in virtù del trionfo della sirena sull’angelo. I musici diventano virtuosi e il loro canto deve letteralmente ammaliare gli astanti. La sovraesposizione estetica deve essere tale da investire tutti i parametri in cui si attua l’evento musicale in chiesa: dalla magnificenza e monumentalità assicurata dall’organizzazione spaziale della cappella in più fonti di suono, al pathos intenso e drammatico espresso dal grande solista. Come avviene per il melodramma, il fondamentale presupposto della prospettiva logocentrica (richiamato prepotentemente dagli umanisti e preteso dalle varie rubriche post-tridentine) viene sistematicamente disatteso. Ad accertare questa linea di evoluzione (o di involuzione, dipende dai punti di vista), non sono soltanto i repertori e gli atti di carattere amministrativo, ma anche le indicazioni che ci vengono da osservatori molto attenti e puntuali nel cogliere de visu i tratti distintivi di un’esperienza votata univocamente alla spettacolarità

Padoan, M., Ritualità e tensione innovativa nella musica sacra in area padana nel primo Barocco, Relazione, in Tullio Cima, Domenico Massenzio e la musica del loro tempo, Atti del convegno internazionale, Ronciglione 30 ottobre - 1° novembre 1999, (Ronciglione, 30-October 01-November 1997), IBIMUS, Roma 2003: 269-320 [http://hdl.handle.net/10807/36342]

Ritualità e tensione innovativa nella musica sacra in area padana nel primo Barocco

Padoan, Maurizio
2003

Abstract

Il saggio mette a fuoco – sulla scorta di un’indagine comparata – alcuni orientamenti della musica sacra barocca in un quadro ove la tensione tra ritualità (si pensi al calendario liturgico) e innovazione (non riducibile alle scelte paradigmatiche in ambito stilistico) riesce affatto cruciale. Al di là di tutte le varianti e costanti rilevate e rilevabili, ad imporsi, in ultima analisi, è un tratto di carattere generale che muove le diverse esperienze in un’unica direzione: il superamento del versante eteronomo della musica sacra, cioè a dire l’elusione sistematica di tutte le premesse intese a legittimarne la presenza in chiesa sulla scorta di un progetto funzionale al culto. Il tema non è nuovo. Gli studi di Gino Stefani hanno da tempo chiarito in quali termini si realizzi questo processo che porta la musica sacra ad imporsi come arte, come dominio della seduzione, come trionfo della spettacolarità sulla pietas, della sirena sull’angelo. Tuttavia, la sovraesposizione estetica - rivelata dalle cadenze liturgiche in San Marco, San Petronio e Santa Maria Maggiore - non solo accerta conclusioni fondate prevalentemente su altre fonti, ma anche individua efficacemente il graduale prospettarsi di nuovi paradigmi che traducono inequivocabilmente una sensibilità ed un gusto barocchi. Circe e il pavone (i simboli nei quali, nella suggestiva interpretazione di Jean Rousset, tutta un’epoca – da Michel de Montaigne a Gian Lorenzo Bernini – si riconosce) finiscono con l’aver campo di affermarsi anche nella musica sacra. Il movimento e la trasformazione non appartengono alla sola grande spettacolarità, ove i rapidi mutamenti, le improvvise apparizioni e le magie rappresentano l’immancabile tributo alla poetica della meraviglia. Con modalità e procedimenti diversi, in effetti, il richiamo di Circe risuona pienamente nelle volte delle chiese e giunge ad investire pure gli ambiti più ‘impegnativi’ dal punto di vista liturgico. Dalla musica agli apparati, agli effetti luminosi, alla gestualità, tutto concorre a determinare un campo teatrale in continuo movimento che esige un’appercezione multipla da parte degli astanti. Basterebbe pensare alla processione del Venerdì Santo che – anche in una piccola città come Bergamo – procede con ritmi e campi visivi diversi, scanditi dal canto dei musici e dall’avvicendarsi di quadri ed ambienti di grande suggestione. Qui l’ethos drammatico, ancorché incentivato dai simboli, dai paramenti, dalla bara in cui è posto il corpo di Cristo, finisce con l’essere superato in virtù delle prepotenti ragioni di una esperienza che è ad un tempo stupore, meraviglia ed ammaliamento. Altri esempi potrebbero venire dal Quem queritis in San Marco e dal Triduo delle Tenebre; queste funzioni ripropongono un decorso nel quale musica, preghiera, gestualità ed apparati s’incontrano nel segno di un disegno unitario, carico di valenze connotative. Si attua quindi, pure qui, una percezione polarizzata sui diversi livelli di articolazione di un continuum che si organizza – nel suo procedere diacronico – sulla base di sequenze che passano e mutano incessantemente. Nondimeno, anche nella musica sacra, il simbolo di Circe è accompagnato da quello del pavone che si esplica pienamente laddove è l’artificio ad imporsi in virtù del trionfo della sirena sull’angelo. I musici diventano virtuosi e il loro canto deve letteralmente ammaliare gli astanti. La sovraesposizione estetica deve essere tale da investire tutti i parametri in cui si attua l’evento musicale in chiesa: dalla magnificenza e monumentalità assicurata dall’organizzazione spaziale della cappella in più fonti di suono, al pathos intenso e drammatico espresso dal grande solista. Come avviene per il melodramma, il fondamentale presupposto della prospettiva logocentrica (richiamato prepotentemente dagli umanisti e preteso dalle varie rubriche post-tridentine) viene sistematicamente disatteso. Ad accertare questa linea di evoluzione (o di involuzione, dipende dai punti di vista), non sono soltanto i repertori e gli atti di carattere amministrativo, ma anche le indicazioni che ci vengono da osservatori molto attenti e puntuali nel cogliere de visu i tratti distintivi di un’esperienza votata univocamente alla spettacolarità
2003
Italiano
Tullio Cima, Domenico Massenzio e la musica del loro tempo, Atti del convegno internazionale, Ronciglione 30 ottobre - 1° novembre 1999
Tullio Cima, Domenico Massenzio e la musica del loro tempo,
Ronciglione
Relazione
30-ott-1997
1-nov-1997
9788888627076
Padoan, M., Ritualità e tensione innovativa nella musica sacra in area padana nel primo Barocco, Relazione, in Tullio Cima, Domenico Massenzio e la musica del loro tempo, Atti del convegno internazionale, Ronciglione 30 ottobre - 1° novembre 1999, (Ronciglione, 30-October 01-November 1997), IBIMUS, Roma 2003: 269-320 [http://hdl.handle.net/10807/36342]
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