L’articolo analizza il rapporto tra vescovi e monasteri nei secoli X e XI attraverso il prisma delle costituzioni conciliari, evidenziando il ruolo della Chiesa romana nell’evoluzione di questa relazione. L'autrice sottolinea come il diritto canonico del periodo sia caratterizzato da una flessibilità normativa, che permetteva al papato di adattare le norme alle specifiche realtà locali. Uno degli aspetti centrali è il progressivo rafforzamento del controllo episcopale sui monasteri, spesso in contrasto con le esenzioni concesse dalla Santa Sede. Attraverso i canoni conciliari promulgati a partire dall’XI secolo, emerge una duplice tendenza: da un lato, la difesa dell'autorità vescovile sulle istituzioni monastiche, dall’altro, la necessità di limitare gli abusi episcopali sui monasteri. Questa tensione si riflette nelle decisioni di concili come quello di Gregorio VII del 1078, che cercava di bilanciare i diritti vescovili e le autonomie monastiche. L’articolo mostra come, a partire dal pontificato di Urbano II e con sempre maggiore evidenza nei concili lateranensi, la Chiesa romana abbia perseguito una strategia di rafforzamento del controllo episcopale, limitando progressivamente i privilegi monastici. Tuttavia, questa politica non fu priva di compromessi, poiché Roma manteneva la possibilità di concedere esenzioni monastiche in base alle circostanze politiche ed ecclesiali. L'analisi conclude che il papato utilizzò i concili come strumenti di regolamentazione, ma anche di flessibilità, per gestire il delicato equilibrio tra autorità episcopale e libertà monastica, garantendo alla Chiesa romana un’influenza crescente nelle dinamiche locali.
Ciccopiedi, C., Vescovi e monaci tra i secoli X e XI: interventi conciliari, in La società monastica nei secoli VI-XII. Sentieri di ricerca., (Roma, Ecole Française, 12-13 June 2014), CERM, Trieste 2016: 207-218 [https://hdl.handle.net/10807/306904]
Vescovi e monaci tra i secoli X e XI: interventi conciliari
Ciccopiedi, Caterina
2016
Abstract
L’articolo analizza il rapporto tra vescovi e monasteri nei secoli X e XI attraverso il prisma delle costituzioni conciliari, evidenziando il ruolo della Chiesa romana nell’evoluzione di questa relazione. L'autrice sottolinea come il diritto canonico del periodo sia caratterizzato da una flessibilità normativa, che permetteva al papato di adattare le norme alle specifiche realtà locali. Uno degli aspetti centrali è il progressivo rafforzamento del controllo episcopale sui monasteri, spesso in contrasto con le esenzioni concesse dalla Santa Sede. Attraverso i canoni conciliari promulgati a partire dall’XI secolo, emerge una duplice tendenza: da un lato, la difesa dell'autorità vescovile sulle istituzioni monastiche, dall’altro, la necessità di limitare gli abusi episcopali sui monasteri. Questa tensione si riflette nelle decisioni di concili come quello di Gregorio VII del 1078, che cercava di bilanciare i diritti vescovili e le autonomie monastiche. L’articolo mostra come, a partire dal pontificato di Urbano II e con sempre maggiore evidenza nei concili lateranensi, la Chiesa romana abbia perseguito una strategia di rafforzamento del controllo episcopale, limitando progressivamente i privilegi monastici. Tuttavia, questa politica non fu priva di compromessi, poiché Roma manteneva la possibilità di concedere esenzioni monastiche in base alle circostanze politiche ed ecclesiali. L'analisi conclude che il papato utilizzò i concili come strumenti di regolamentazione, ma anche di flessibilità, per gestire il delicato equilibrio tra autorità episcopale e libertà monastica, garantendo alla Chiesa romana un’influenza crescente nelle dinamiche locali.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.