Questo ampio saggio, non dissimile per dimensioni a un volume, offre una completa rassegna critica degli interventi dedicati al tema dell’esperienza religiosa e della filosofia della religione editi, in più di mezzo secolo, sulla Rivista di filosofia neo-scolastica. La trattazione ha inizio con la discussione del controverso concetto di “filosofia cristiana” che nella Rivista è presente dagli anni immediatamente successivi alla conclusione della seconda guerra mondiale agli anni d’esordio del XXI secolo: dalle diatribe tra le contrapposte scuole platonico-agostiniana, aristotelico-tomista e personalistica e spiritualista, fino alla discussione delle tesi di Edith Stein. Il lavoro mette poi a fuoco due differenti e fondamentali modelli d’interpretazione del tema religioso, che vengono valutati non come contraddittori ma come complementari. Il primo consiste eminentemente nel neotomismo di Amato Masnovo e Sofia Vanni Rovighi e mira a fondare la ragione filosofica nella sua autonomia rispetto alle scienze e alla fede e a distinguerne il metodo e i contenuti da quelli della teologia rivelata, pur senza negare un rapporto tra il sapere filosofico e quello di fede; il secondo ha invece per fine la fondazione della filosofia della religione, cioè di una filosofia che non si occupi soprattutto e primariamente della teologia razionale o naturale (dimostrazione dell’esistenza di Dio e delle altre verità accessibili con la semplice ragione), ma della religione in quanto tale e della natura e struttura della fede come fatto spirituale distinto dalla stessa religione (G. Ferretti, A. Babolin, P. De Vitiis, I. Mancini, M. Olivetti, B. Welte, eccetera, e le loro scuole, non senza diferenze). Il lavoro approda a una constatazione: che accanto al tradizionale, e in verità parziale, concetto squisitamente teoretico di fede cognitiva (sapere distinto da quello proprio della semplice ragione) si va affermando il concetto tipicamente etico di «fede fiduciale» o «fede di affidamento» (primato della relazione intersoggettiva). Tuttavia, nei saggi presenti nella Rivista, non emerge in modo sufficientemente fondato l’universale antropologico che sia in grado di giustificare la sintesi tra questi due concetti di fede. Per questo motivo, in un ampio paragrafo conclusivo, si dimostra come la fede positiva, cioè che poggia su di una rivelazione (divina, ma in analogia anche umana), non escluda affatto la ragione, intesa come ciò a cui tutti gli uomini sono obbligati ad assentire, perché, per quanto la ragione sia creata, non per questo è meno ragionevole. Come il non credente giustamente “distingue per unire”, quando si confronta senza pregiudizi con i contenuti del cristianesimo con una ragione pronta a cogliere, se non altro, il loro valore culturale (si comporta, per così dire, come un “ateo religioso” perché, pur non credendo, si confronta con i dogmi cristiani (cfr. Hegel, Habermas), così il credente, quando è cosciente della portata totalizzante della fede, “distingue nell’unito”, e distingue, appunto, con la ragione: solo così può spiegarsi la sua pretesa di usare congiuntamente, pur nella distinzione di oggetto e di metodo, teologia e filosofia.

Colombo, G., Costanti e variazioni della dialettica di ragione e fede in alcuni saggi della “Rivista di filosofia neoscolastica” della seconda metà del Novecento, in “Rivista di filosofia neoscolastica”, 1-3 (2009), pp. 361-394, <<RIVISTA DI FILOSOFIA NEOSCOLASTICA>>, 2009; (1-3): 361-394 [http://hdl.handle.net/10807/28604]

Costanti e variazioni della dialettica di ragione e fede in alcuni saggi della “Rivista di filosofia neoscolastica” della seconda metà del Novecento, in “Rivista di filosofia neoscolastica”, 1-3 (2009), pp. 361-394

Colombo, Giuseppe
2009

Abstract

Questo ampio saggio, non dissimile per dimensioni a un volume, offre una completa rassegna critica degli interventi dedicati al tema dell’esperienza religiosa e della filosofia della religione editi, in più di mezzo secolo, sulla Rivista di filosofia neo-scolastica. La trattazione ha inizio con la discussione del controverso concetto di “filosofia cristiana” che nella Rivista è presente dagli anni immediatamente successivi alla conclusione della seconda guerra mondiale agli anni d’esordio del XXI secolo: dalle diatribe tra le contrapposte scuole platonico-agostiniana, aristotelico-tomista e personalistica e spiritualista, fino alla discussione delle tesi di Edith Stein. Il lavoro mette poi a fuoco due differenti e fondamentali modelli d’interpretazione del tema religioso, che vengono valutati non come contraddittori ma come complementari. Il primo consiste eminentemente nel neotomismo di Amato Masnovo e Sofia Vanni Rovighi e mira a fondare la ragione filosofica nella sua autonomia rispetto alle scienze e alla fede e a distinguerne il metodo e i contenuti da quelli della teologia rivelata, pur senza negare un rapporto tra il sapere filosofico e quello di fede; il secondo ha invece per fine la fondazione della filosofia della religione, cioè di una filosofia che non si occupi soprattutto e primariamente della teologia razionale o naturale (dimostrazione dell’esistenza di Dio e delle altre verità accessibili con la semplice ragione), ma della religione in quanto tale e della natura e struttura della fede come fatto spirituale distinto dalla stessa religione (G. Ferretti, A. Babolin, P. De Vitiis, I. Mancini, M. Olivetti, B. Welte, eccetera, e le loro scuole, non senza diferenze). Il lavoro approda a una constatazione: che accanto al tradizionale, e in verità parziale, concetto squisitamente teoretico di fede cognitiva (sapere distinto da quello proprio della semplice ragione) si va affermando il concetto tipicamente etico di «fede fiduciale» o «fede di affidamento» (primato della relazione intersoggettiva). Tuttavia, nei saggi presenti nella Rivista, non emerge in modo sufficientemente fondato l’universale antropologico che sia in grado di giustificare la sintesi tra questi due concetti di fede. Per questo motivo, in un ampio paragrafo conclusivo, si dimostra come la fede positiva, cioè che poggia su di una rivelazione (divina, ma in analogia anche umana), non escluda affatto la ragione, intesa come ciò a cui tutti gli uomini sono obbligati ad assentire, perché, per quanto la ragione sia creata, non per questo è meno ragionevole. Come il non credente giustamente “distingue per unire”, quando si confronta senza pregiudizi con i contenuti del cristianesimo con una ragione pronta a cogliere, se non altro, il loro valore culturale (si comporta, per così dire, come un “ateo religioso” perché, pur non credendo, si confronta con i dogmi cristiani (cfr. Hegel, Habermas), così il credente, quando è cosciente della portata totalizzante della fede, “distingue nell’unito”, e distingue, appunto, con la ragione: solo così può spiegarsi la sua pretesa di usare congiuntamente, pur nella distinzione di oggetto e di metodo, teologia e filosofia.
2009
Italiano
Colombo, G., Costanti e variazioni della dialettica di ragione e fede in alcuni saggi della “Rivista di filosofia neoscolastica” della seconda metà del Novecento, in “Rivista di filosofia neoscolastica”, 1-3 (2009), pp. 361-394, <<RIVISTA DI FILOSOFIA NEOSCOLASTICA>>, 2009; (1-3): 361-394 [http://hdl.handle.net/10807/28604]
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