Il contributo offre una proposta di rivisitazione complessiva dei presupposti teorici alla base del modello sanzionatorio che caratterizza il diritto penale, attraverso la quale vengono motivate linee guida intese a diversificare l’apparato delle "pene principali". In questo senso, lo scritto costituisce un approdo sintetico di numerosi approfondimenti pubblicati in materia dall’autore e si ricollega alla funzione di coordinamento che il medesimo ha svolto con riguardo alle ipotesi di evoluzione del sistema sanzionatorio nell’ambito della Commissione per la riforma del codice penale che ha operato negli anni 2006-2008 sotto la presidenza dell’avv. Giuliano Pisapia. Operato un breve riferimento preliminare ai problemi di fondo derivanti dalla sentenza segnalata nell’intitolazione, avente per oggetto le condizioni minime di conformità della pena detentiva alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (in particolare, circa l’ampiezza delle celle), il lavoro riflette su come il dibattito tradizionale circa la "funzione" attribuibile alla pena non abbia investito, in realtà, il contenuto della condanna, che continua a sostanziarsi essenzialmente in un "quantum" di detenzione rappresentativo della gravità ascritta al fatto colpevole. Vengono di conseguenza evidenziati i limiti dei tentativi ricorrenti volti a rivalutare il pensiero di alcuni sostenitori classici della pena retributiva, in quanto ritenuto espressivo di un certo eclettismo circa i fini che attraverso la pena stessa sarebbero conseguibili. Simili apparenti aperture, infatti, non incidono sulla configurazione della pena in sede legislativa e giudiziaria, configurazione della quale si analizzano i riflessi con riguardo, fra l’altro, ai modelli di prevenzione, alle caratteristiche del processo, al ruolo della vittima. Nel contempo, sono approfondite le ragioni per cui la visione riduttiva dell’autonomia individuale propria del Positivismo criminologico quale indirizzo che storicamente s’è contrapposto alla Scuola classica, come pure i rischi garantistici insiti nei modelli sanzionatori ad esso riconducibili, abbiano finito per rafforzare la staticità delle forme di risposta al reato, mantenendole conformi all’impostazione tradizionale. Date queste premesse, vengono delineate le caratteristiche di una strategia politico-criminale innovativa, non più fondata su dinamiche di intimidazione e neutralizzazione (corrispondenti al paradigma di una pena che riproduce all’atto della sua inflizione la negatività ravvisata nel reato commesso), bensì sulla capacità dell’ordinamento giuridico di tenere elevati, anche attraverso la configurazione delle sanzioni, i livelli di "consenso", vale a dire di adesione per scelta, ai precetti normativi. Prospettiva, quest’ultima, cui dovrebbero affiancarsi, da un lato, un serio contrasto sotto il profilo delle conseguenze economiche degli interessi materiali soggiacenti alla maggior parte dei comportamenti criminosi nonché, dall’altro, un forte impegno nell’ambito della prevenzione primaria, volto a depotenziare i fattori complessi che favoriscono la criminalità e tale da coinvolgere l’intero ordinamento giuridico. Ne derivano proposte intese a rendere effettivo il carattere di "extrema ratio" del ricorso alla privazione della libertà personale, con specifica attenzione alla efficienza del sistema penale: in particolare, introducendo una gamma significativa di pene non detentive (pecuniarie per tassi, affidamento ai servizi sociali, messa alla prova, prescrizioni comportamentali, prestazioni di pubblica utilità, etc.), come pure di strumenti intesi alla definizione anticipata dei procedimenti penali (procedure riparative, etc.). In quest’ottica, viene rimarcato, secondo un indirizzo internazionale ormai consolidatosi, il ruolo che potrebbero assumere percorsi di giustizia riconciliativa ("restorative justice") e di mediazione penale tali da coinvolgere le stesse vittime dei reati, finora ampiamente emarginate nell’ambito del procedimento penale. Parimenti, si evidenzia l’importanza che deve attribuirsi ai provvedimenti ablativi (in particolare, la confisca) dei profitti derivanti da attività criminose. E si auspica una sistematizzazione della responsabilità per reato degli enti. Si fa altresì riferimento all’esigenza di ricostruire una teoria delle garanzie e della discrezionalità giudiziaria non più legata a un sistema di determinazione delle pene che richieda al giudice mere valutazioni di carattere quantitativo.

Eusebi, L., Ripensare le modalità della risposta ai reati. Traendo spunto da CEDU 19 giugno 2009, Sulejmanovic c. Italie, <<CASSAZIONE PENALE>>, 2009; XLIX (12): 4938-4958 [http://hdl.handle.net/10807/28376]

Ripensare le modalità della risposta ai reati. Traendo spunto da CEDU 19 giugno 2009, Sulejmanovic c. Italie

Eusebi, Luciano
2009

Abstract

Il contributo offre una proposta di rivisitazione complessiva dei presupposti teorici alla base del modello sanzionatorio che caratterizza il diritto penale, attraverso la quale vengono motivate linee guida intese a diversificare l’apparato delle "pene principali". In questo senso, lo scritto costituisce un approdo sintetico di numerosi approfondimenti pubblicati in materia dall’autore e si ricollega alla funzione di coordinamento che il medesimo ha svolto con riguardo alle ipotesi di evoluzione del sistema sanzionatorio nell’ambito della Commissione per la riforma del codice penale che ha operato negli anni 2006-2008 sotto la presidenza dell’avv. Giuliano Pisapia. Operato un breve riferimento preliminare ai problemi di fondo derivanti dalla sentenza segnalata nell’intitolazione, avente per oggetto le condizioni minime di conformità della pena detentiva alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (in particolare, circa l’ampiezza delle celle), il lavoro riflette su come il dibattito tradizionale circa la "funzione" attribuibile alla pena non abbia investito, in realtà, il contenuto della condanna, che continua a sostanziarsi essenzialmente in un "quantum" di detenzione rappresentativo della gravità ascritta al fatto colpevole. Vengono di conseguenza evidenziati i limiti dei tentativi ricorrenti volti a rivalutare il pensiero di alcuni sostenitori classici della pena retributiva, in quanto ritenuto espressivo di un certo eclettismo circa i fini che attraverso la pena stessa sarebbero conseguibili. Simili apparenti aperture, infatti, non incidono sulla configurazione della pena in sede legislativa e giudiziaria, configurazione della quale si analizzano i riflessi con riguardo, fra l’altro, ai modelli di prevenzione, alle caratteristiche del processo, al ruolo della vittima. Nel contempo, sono approfondite le ragioni per cui la visione riduttiva dell’autonomia individuale propria del Positivismo criminologico quale indirizzo che storicamente s’è contrapposto alla Scuola classica, come pure i rischi garantistici insiti nei modelli sanzionatori ad esso riconducibili, abbiano finito per rafforzare la staticità delle forme di risposta al reato, mantenendole conformi all’impostazione tradizionale. Date queste premesse, vengono delineate le caratteristiche di una strategia politico-criminale innovativa, non più fondata su dinamiche di intimidazione e neutralizzazione (corrispondenti al paradigma di una pena che riproduce all’atto della sua inflizione la negatività ravvisata nel reato commesso), bensì sulla capacità dell’ordinamento giuridico di tenere elevati, anche attraverso la configurazione delle sanzioni, i livelli di "consenso", vale a dire di adesione per scelta, ai precetti normativi. Prospettiva, quest’ultima, cui dovrebbero affiancarsi, da un lato, un serio contrasto sotto il profilo delle conseguenze economiche degli interessi materiali soggiacenti alla maggior parte dei comportamenti criminosi nonché, dall’altro, un forte impegno nell’ambito della prevenzione primaria, volto a depotenziare i fattori complessi che favoriscono la criminalità e tale da coinvolgere l’intero ordinamento giuridico. Ne derivano proposte intese a rendere effettivo il carattere di "extrema ratio" del ricorso alla privazione della libertà personale, con specifica attenzione alla efficienza del sistema penale: in particolare, introducendo una gamma significativa di pene non detentive (pecuniarie per tassi, affidamento ai servizi sociali, messa alla prova, prescrizioni comportamentali, prestazioni di pubblica utilità, etc.), come pure di strumenti intesi alla definizione anticipata dei procedimenti penali (procedure riparative, etc.). In quest’ottica, viene rimarcato, secondo un indirizzo internazionale ormai consolidatosi, il ruolo che potrebbero assumere percorsi di giustizia riconciliativa ("restorative justice") e di mediazione penale tali da coinvolgere le stesse vittime dei reati, finora ampiamente emarginate nell’ambito del procedimento penale. Parimenti, si evidenzia l’importanza che deve attribuirsi ai provvedimenti ablativi (in particolare, la confisca) dei profitti derivanti da attività criminose. E si auspica una sistematizzazione della responsabilità per reato degli enti. Si fa altresì riferimento all’esigenza di ricostruire una teoria delle garanzie e della discrezionalità giudiziaria non più legata a un sistema di determinazione delle pene che richieda al giudice mere valutazioni di carattere quantitativo.
2009
Italiano
Del lavoro è stata pubblicata una traduzione francese, escluso il § 1, dal titolo "Repenser les modalités de la réponse aux délits", in "Culpabilité et rétribution. Essais de philosophie pénale", ed. par S. Biancu, A. Bondolfi, F. De Vecchi, Editions Schwabe SA, Bâle (CH), 2011, ISBN 978-3-7965-2710-4, p. 216-239: vedi url:10807/8725.
Eusebi, L., Ripensare le modalità della risposta ai reati. Traendo spunto da CEDU 19 giugno 2009, Sulejmanovic c. Italie, <<CASSAZIONE PENALE>>, 2009; XLIX (12): 4938-4958 [http://hdl.handle.net/10807/28376]
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