Questo terzo Rapporto analizza corporate governance e sostenibilità delle società italiane quotate. I temi analizzati sono: composizione e funzionamento del CdA, indipendenza degli amministratori (e sindaci), politiche di dialogo con gli investitori, comitati consiliari, politica in materia di remunerazioni, disclosure in materia di sostenibilità. Le principali conclusioni possono essere sintetizzate come segue: a) La qualità della corporate governance varia molto tra una società e l’altra: in linea generale (e non senza eccezioni) essa è migliore tra le società grandi, soprattutto se widely held o pubbliche, mentre è più formale nelle società piccole, specialmente se concentrate e/o a controllo familiare. Per la prima volta la composizione dei CdA è sempre compliant con le raccomandazioni del Codice in materia di amministratori indipendenti. Ciò è in parte dovuto all'approccio flessibile del Codice, che consente alle società di adottare soluzioni "su misura", ad es. fissando ciascuna i propri parametri di valutazione. b) Il Comitato per la Corporate Governance ha richiamato l’attenzione degli emittenti sull’applicazione di vari punti del Codice. Si riscontra un miglioramento (talvolta sensibile) della compliance in materia di: a) adozione di politiche di dialogo con azionisti e stakeholders; b) presenza di piani di incentivazione pluriennale; c) trasparenza su vari punti importanti, tra cui: partecipazione dei manager alle riunioni consiliari, motivazione della scelta di attribuire deleghe al presidente; criteri adottati per valutare l’indipendenza dei consiglieri. D’altro canto, le raccomandazioni del Comitato hanno avuto scarso successo in altri ambiti: a) regole di circolazione dell’informativa pre- consiliare; b) disclosure dei temi oggetto di dialogo con gli investitori; c) pubblicazione degli orientamenti sulla composizione del CdA; d) diffusione di un executive summary sulla politica di remunerazione; e) disclosure degli specifici parametri ESG utilizzati nella determinazione dei compensi. c) Il Codice ha significativamente allentato i parametri di valutazione delle remunerazioni che possono compromettere l’indipendenza degli amministratori. Tale scelta sta portando un progressivo scollamento tra emittenti, che fanno pieno uso della flessibilità concessa dal Codice, e proxy advisors e investitori, che ne leggono le previsioni maniera più standardizzata. Tale situazione non è priva di rischi e la ricerca di un nuovo punto di equilibrio appare opportuna. d) In materia di funzionamento del CdA, molto buona (soprattutto tra le società grandi) è la disclosure sui termini per l’invio dell’informativa pre-consiliare (e sul loro rispetto). Peraltro, un terzo degli emittenti continua a prevedere eccezioni alla circolazione delle informazioni per ragioni “di riservatezza”, in contrasto con l’invito del Comitato a non contemplare generiche esimenti di tal sorta. e) In linea con la prassi internazionale, la presentazione di candidature da parte del CdA uscente si sta consolidando presso le società maggiori (soprattutto widely held) e nel settore finanziario. Il CdA uscente delle società non concentrate dovrebbe pubblicare sul sito web i propri orientamenti in materia di composizione quali-quantitativa ottimale dell’organo. La prassi in tale ambito non è soddisfacente: tuttora, oltre metà delle società che hanno rinnovato il CdA non ha pubblicato l’orientamento richiesto dal Codice, oppure lo ha pubblicato senza il congruo anticipo richiesto. f) Il Comitato Nomine sta assumendo funzioni più ampie, che si estendono alla formulazione di candidature in caso di sostituzione di qualunque amministratore (non solo degli indipendenti, come in precedenza). Peraltro, permane scarsa visibilità sul funzionamento del comitato, dove accorpato con altri. g) La maggioranza degli emittenti ha adottato una politica per il dialogo con gli azionisti. Il dato è in forte crescita ma restano tuttora notevoli margini di miglioramento. Quasi metà delle politiche prevedono anche forme di engagement one-way da parte degli investitori (come raccomandato dagli I-SDX elaborati da Assogestioni), che consentono evoluzioni importanti del modello di dialogo. Il Comitato CG ha invitato le società anche a “valutare l’opportunità di fornire informazioni sui temi più rilevanti che sono stati oggetto del dialogo con gli azionisti e sulle eventuali iniziative adottate per tener conto delle indicazioni emerse”. Peraltro, è rarissima la fornitura di informazioni in tale ambito. h) Il recepimento della Direttiva SHRDII ha prodotto un forte miglioramento della trasparenza in materia di politica delle remunerazioni. Le informazioni sulla struttura dei piani, tuttavia, non sono sempre chiarissime, soprattutto tra le società minori. Il Comitato ha invitato gli emittenti a fornire un executive summary tabellare, in sostituzione o in aggiunta a lunghe descrizioni che lasciano, non di rado, dubbi sull’effettiva struttura del pacchetto. L’invito del Comitato, tuttavia, non ha prodotto effetti rilevanti. La remuneration policy ha solitamente durata annuale (solo nel 17% dei casi la durata è triennale). Deroghe alla policy, nei limiti di quanto consentito dalla normativa, sono assai rare. L’adozione di clausole di claw-back è in lenta crescita (72%) ma esistono tuttora margini di miglioramento, quanto meno sotto il profilo della motivazione (comply or explain). i) La trasparenza sulla composizione del pay mix è ancora migliorabile: dati numerici “completi” sulla dinamica del pacchetto (i.e. almeno a target e a cap) sono forniti da circa due terzi degli emittenti. Il pacchetto offerto ai CEO (a target) è composto, in media, in parti uguali da compensi fissi e da remunerazione variabile (MBO 24% + 26% LTI). La struttura dei piani di incentivazione varia molto secondo la dimensione e l’azionariato dell’emittente. Circa 2/3 delle società legano il variabile al raggiungimento di obiettivi ESG. Il peso medio di tale componente nel pacchetto è poco sotto il 20%, sia per gli MBO che per gli LTI. j) Il Comitato CG ha invitato le società che prevedono meccanismi di incentivazione legati a obiettivi di sostenibilità a “fornire una chiara indicazione degli specifici obiettivi di performance da raggiungere”. La trasparenza in tale ambito non è ancora soddisfacente: gli obiettivi ESG del piano MBO (LTI) sono stati comunicati da poco meno del 60% delle società, i pesi di ciascun obiettivo solo dal 38% (25%) del totale. L’obiettivo più frequente è l’attuazione di investimenti “sostenibili”, sia per i piani MBO che per quelli LTI, con un peso medio intorno al 13%. Gli altri obiettivi sono piuttosto variegati e sovente differenti tra MBO e LTI. k) Le DNF sono documenti sovente poco leggibili perché da un lato sono dispersive, dall’altro contengono paragrafi molto tecnici (ad es. in materia di consumi energetici o di emissioni di gas-serra) e non di agevole lettura. Alcune società hanno iniziato a pubblicare, accanto alla DNF, un secondo documento (variamente denominato) di più facile lettura. Oltre 2/3 degli emittenti comunicano l’adozione di un piano di sostenibilità, frequentemente (72%) integrato nel piano industriale. La costituzione di un comitato consiliare specializzato crea un forte stimolo alla strutturazione dell’intero ambito sostenibilità. l) Da quest’anno le imprese non finanziarie tenute a pubblicare la DNF hanno l’obbligo di comunicare la quota di fatturato, investimenti e costi operativi legati ad attività ecosostenibili, in termini non solo di “ammissibilità” ma anche di “allineamento” al Regolamento UE Tassonomia. I numeri comunicati non sono ancora soggetti a revisione obbligatoria, ma il controllo di coerenza dei dati effettuato dai revisori ha prodotto un significativo miglioramento della disclosure. La sostenibilità degli investimenti (capex) è più elevata (ammissibilità 32%, allineamento 14%) rispetto ai KPI relativi all’attività corrente (fatturato e opex). Le imprese finanziarie sono tenute a pubblicare il rapporto tra investimenti “ammissibili” e totale dei c.d. covered assets. Tale rapporto è mediamente pari al 24% (facendo riferimento alle capex). Ciò pare implicare che gli emittenti quotati finanziati da banche, assicurazioni ecc. hanno una quota di attività “ammissibili” più alta rispetto alle società non quotate. m) Quasi tutte le società riportano dati sulla ripartizione del personale tra uomini e donne. Le dipendenti sono circa il 40% del totale. La presenza femminile si dimezza (e più: 18%) a livello dirigenziale. Solo il 35% delle società rende nota la differenza di remunerazione tra uomini e donne (gender pay gap) a livello aggregato. Il gap retributivo è apprezzabile e, anzi, in lieve crescita: le donne percepiscono in media l’86% della remunerazione dei colleghi maschi, a livello generale, e l’83% tra i dirigenti. n) Quasi tutte le società riportano informazioni in materia di consumi energetici e di ricorso a fonti rinnovabili, pari al 23% in media (in aumento dal 18% dell’anno scorso). L’intensità energetica dell’attività dipende dal settore in cui opera l’emittente: una società energetica (una utility) media ha consumi per dipendente pari a 17 volte (11 volte) quelli degli altri settori non finanziari e 230 volte (142 volte) quelli di una finanziaria media. Le informazioni sulle emissioni sono di lettura particolarmente complessa. I dati sembrano più adatti a verificare la progressiva implementazione delle politiche di decarbonizzazione della singola società che non a elaborare confronti tra società o a misurare il contributo del singolo emittente al totale delle emissioni a livello di sistema. o) La trasparenza in materia di rating ESG è in aumento. L’utilità dei rating, tuttavia, è poco chiara in quanto i voti forniti da vari providers appaiono poco confrontabili tra loro.
Belcredi, M., Bozzi, S., Rapporto FIN-GOV sulla Corporate Governance in Italia, Educatt Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano 2023: 87 [https://hdl.handle.net/10807/258317]
Rapporto FIN-GOV sulla Corporate Governance in Italia
Belcredi, Massimo;Bozzi, Stefano
2023
Abstract
Questo terzo Rapporto analizza corporate governance e sostenibilità delle società italiane quotate. I temi analizzati sono: composizione e funzionamento del CdA, indipendenza degli amministratori (e sindaci), politiche di dialogo con gli investitori, comitati consiliari, politica in materia di remunerazioni, disclosure in materia di sostenibilità. Le principali conclusioni possono essere sintetizzate come segue: a) La qualità della corporate governance varia molto tra una società e l’altra: in linea generale (e non senza eccezioni) essa è migliore tra le società grandi, soprattutto se widely held o pubbliche, mentre è più formale nelle società piccole, specialmente se concentrate e/o a controllo familiare. Per la prima volta la composizione dei CdA è sempre compliant con le raccomandazioni del Codice in materia di amministratori indipendenti. Ciò è in parte dovuto all'approccio flessibile del Codice, che consente alle società di adottare soluzioni "su misura", ad es. fissando ciascuna i propri parametri di valutazione. b) Il Comitato per la Corporate Governance ha richiamato l’attenzione degli emittenti sull’applicazione di vari punti del Codice. Si riscontra un miglioramento (talvolta sensibile) della compliance in materia di: a) adozione di politiche di dialogo con azionisti e stakeholders; b) presenza di piani di incentivazione pluriennale; c) trasparenza su vari punti importanti, tra cui: partecipazione dei manager alle riunioni consiliari, motivazione della scelta di attribuire deleghe al presidente; criteri adottati per valutare l’indipendenza dei consiglieri. D’altro canto, le raccomandazioni del Comitato hanno avuto scarso successo in altri ambiti: a) regole di circolazione dell’informativa pre- consiliare; b) disclosure dei temi oggetto di dialogo con gli investitori; c) pubblicazione degli orientamenti sulla composizione del CdA; d) diffusione di un executive summary sulla politica di remunerazione; e) disclosure degli specifici parametri ESG utilizzati nella determinazione dei compensi. c) Il Codice ha significativamente allentato i parametri di valutazione delle remunerazioni che possono compromettere l’indipendenza degli amministratori. Tale scelta sta portando un progressivo scollamento tra emittenti, che fanno pieno uso della flessibilità concessa dal Codice, e proxy advisors e investitori, che ne leggono le previsioni maniera più standardizzata. Tale situazione non è priva di rischi e la ricerca di un nuovo punto di equilibrio appare opportuna. d) In materia di funzionamento del CdA, molto buona (soprattutto tra le società grandi) è la disclosure sui termini per l’invio dell’informativa pre-consiliare (e sul loro rispetto). Peraltro, un terzo degli emittenti continua a prevedere eccezioni alla circolazione delle informazioni per ragioni “di riservatezza”, in contrasto con l’invito del Comitato a non contemplare generiche esimenti di tal sorta. e) In linea con la prassi internazionale, la presentazione di candidature da parte del CdA uscente si sta consolidando presso le società maggiori (soprattutto widely held) e nel settore finanziario. Il CdA uscente delle società non concentrate dovrebbe pubblicare sul sito web i propri orientamenti in materia di composizione quali-quantitativa ottimale dell’organo. La prassi in tale ambito non è soddisfacente: tuttora, oltre metà delle società che hanno rinnovato il CdA non ha pubblicato l’orientamento richiesto dal Codice, oppure lo ha pubblicato senza il congruo anticipo richiesto. f) Il Comitato Nomine sta assumendo funzioni più ampie, che si estendono alla formulazione di candidature in caso di sostituzione di qualunque amministratore (non solo degli indipendenti, come in precedenza). Peraltro, permane scarsa visibilità sul funzionamento del comitato, dove accorpato con altri. g) La maggioranza degli emittenti ha adottato una politica per il dialogo con gli azionisti. Il dato è in forte crescita ma restano tuttora notevoli margini di miglioramento. Quasi metà delle politiche prevedono anche forme di engagement one-way da parte degli investitori (come raccomandato dagli I-SDX elaborati da Assogestioni), che consentono evoluzioni importanti del modello di dialogo. Il Comitato CG ha invitato le società anche a “valutare l’opportunità di fornire informazioni sui temi più rilevanti che sono stati oggetto del dialogo con gli azionisti e sulle eventuali iniziative adottate per tener conto delle indicazioni emerse”. Peraltro, è rarissima la fornitura di informazioni in tale ambito. h) Il recepimento della Direttiva SHRDII ha prodotto un forte miglioramento della trasparenza in materia di politica delle remunerazioni. Le informazioni sulla struttura dei piani, tuttavia, non sono sempre chiarissime, soprattutto tra le società minori. Il Comitato ha invitato gli emittenti a fornire un executive summary tabellare, in sostituzione o in aggiunta a lunghe descrizioni che lasciano, non di rado, dubbi sull’effettiva struttura del pacchetto. L’invito del Comitato, tuttavia, non ha prodotto effetti rilevanti. La remuneration policy ha solitamente durata annuale (solo nel 17% dei casi la durata è triennale). Deroghe alla policy, nei limiti di quanto consentito dalla normativa, sono assai rare. L’adozione di clausole di claw-back è in lenta crescita (72%) ma esistono tuttora margini di miglioramento, quanto meno sotto il profilo della motivazione (comply or explain). i) La trasparenza sulla composizione del pay mix è ancora migliorabile: dati numerici “completi” sulla dinamica del pacchetto (i.e. almeno a target e a cap) sono forniti da circa due terzi degli emittenti. Il pacchetto offerto ai CEO (a target) è composto, in media, in parti uguali da compensi fissi e da remunerazione variabile (MBO 24% + 26% LTI). La struttura dei piani di incentivazione varia molto secondo la dimensione e l’azionariato dell’emittente. Circa 2/3 delle società legano il variabile al raggiungimento di obiettivi ESG. Il peso medio di tale componente nel pacchetto è poco sotto il 20%, sia per gli MBO che per gli LTI. j) Il Comitato CG ha invitato le società che prevedono meccanismi di incentivazione legati a obiettivi di sostenibilità a “fornire una chiara indicazione degli specifici obiettivi di performance da raggiungere”. La trasparenza in tale ambito non è ancora soddisfacente: gli obiettivi ESG del piano MBO (LTI) sono stati comunicati da poco meno del 60% delle società, i pesi di ciascun obiettivo solo dal 38% (25%) del totale. L’obiettivo più frequente è l’attuazione di investimenti “sostenibili”, sia per i piani MBO che per quelli LTI, con un peso medio intorno al 13%. Gli altri obiettivi sono piuttosto variegati e sovente differenti tra MBO e LTI. k) Le DNF sono documenti sovente poco leggibili perché da un lato sono dispersive, dall’altro contengono paragrafi molto tecnici (ad es. in materia di consumi energetici o di emissioni di gas-serra) e non di agevole lettura. Alcune società hanno iniziato a pubblicare, accanto alla DNF, un secondo documento (variamente denominato) di più facile lettura. Oltre 2/3 degli emittenti comunicano l’adozione di un piano di sostenibilità, frequentemente (72%) integrato nel piano industriale. La costituzione di un comitato consiliare specializzato crea un forte stimolo alla strutturazione dell’intero ambito sostenibilità. l) Da quest’anno le imprese non finanziarie tenute a pubblicare la DNF hanno l’obbligo di comunicare la quota di fatturato, investimenti e costi operativi legati ad attività ecosostenibili, in termini non solo di “ammissibilità” ma anche di “allineamento” al Regolamento UE Tassonomia. I numeri comunicati non sono ancora soggetti a revisione obbligatoria, ma il controllo di coerenza dei dati effettuato dai revisori ha prodotto un significativo miglioramento della disclosure. La sostenibilità degli investimenti (capex) è più elevata (ammissibilità 32%, allineamento 14%) rispetto ai KPI relativi all’attività corrente (fatturato e opex). Le imprese finanziarie sono tenute a pubblicare il rapporto tra investimenti “ammissibili” e totale dei c.d. covered assets. Tale rapporto è mediamente pari al 24% (facendo riferimento alle capex). Ciò pare implicare che gli emittenti quotati finanziati da banche, assicurazioni ecc. hanno una quota di attività “ammissibili” più alta rispetto alle società non quotate. m) Quasi tutte le società riportano dati sulla ripartizione del personale tra uomini e donne. Le dipendenti sono circa il 40% del totale. La presenza femminile si dimezza (e più: 18%) a livello dirigenziale. Solo il 35% delle società rende nota la differenza di remunerazione tra uomini e donne (gender pay gap) a livello aggregato. Il gap retributivo è apprezzabile e, anzi, in lieve crescita: le donne percepiscono in media l’86% della remunerazione dei colleghi maschi, a livello generale, e l’83% tra i dirigenti. n) Quasi tutte le società riportano informazioni in materia di consumi energetici e di ricorso a fonti rinnovabili, pari al 23% in media (in aumento dal 18% dell’anno scorso). L’intensità energetica dell’attività dipende dal settore in cui opera l’emittente: una società energetica (una utility) media ha consumi per dipendente pari a 17 volte (11 volte) quelli degli altri settori non finanziari e 230 volte (142 volte) quelli di una finanziaria media. Le informazioni sulle emissioni sono di lettura particolarmente complessa. I dati sembrano più adatti a verificare la progressiva implementazione delle politiche di decarbonizzazione della singola società che non a elaborare confronti tra società o a misurare il contributo del singolo emittente al totale delle emissioni a livello di sistema. o) La trasparenza in materia di rating ESG è in aumento. L’utilità dei rating, tuttavia, è poco chiara in quanto i voti forniti da vari providers appaiono poco confrontabili tra loro.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.