La formazione professionale dei bambini e ragazzi con disabilità, fosse essa intellettiva, fisica o sensoriale, era una consuetudine degli istituti educativo-assistenziali operanti nell’Italia tra Otto e Novecento. In tal senso, l’offerta formativa era allineata a quella di altre realtà residenziali destinate ai minori in condizioni di fragilità, come orfanotrofi, brefotrofi e case di correzione. Distinte a seconda che fossero destinate a maschi o a femmine, le attività lavorative assumevano valenze che mutavano anche in base agli obiettivi ad esse affidate dai responsabili dell’Ente. Se nelle più illuminate esperienze tali attività furono concepite come strumenti volti ad agevolare nell’individuo con disabilità la conquista della dignità personale, non mancarono casi in cui l’avviamento alla professione era inteso come mero canale per un introito economico a favore dell’Istituto. Il presente lavoro intende gettar luce sull’operato del Pio Istituto sordomuti poveri di Milano tra fine Ottocento e inizio Novecento. Fondato nel 1854 per accogliere ed educare gratuitamente i sordi indigenti della zona, fin dai suoi inizi l’Istituto propose ad allieve e allievi un articolato e completo percorso formativo, dove accanto all’educazione intellettuale trovava ampio spazio uno specifico addestramento professionale. Le ragazze venivano in realtà avviate ai classici lavori donneschi, in primo luogo al cucito e al ricamo, volti non tanto a prepararle per il lavoro in sartoria, quanto a farne brave mogli e madri, in grado di gestire la propria casa e famiglia nonostante la disabilità. I maschi, invece, apprendevano i mestieri di calzolaio, tessitore, sarto e agricoltore. Tale preparazione avrebbe consentito loro, una volta terminato il periodo di studio, di ottenere una propria indipendenza economica e, dunque, di non essere considerati un peso gravante su famiglia e società. Scopo della ricerca è quello di indagare in profondità gli obiettivi alla base della formazione lavorativa erogata dall’Istituto milanese, con particolare riferimento a quella organizzata a favore dei sordi di sesso maschile. Nel contempo, si intende verificare se in tal ambito trovasse effettivo riscontro l’attenzione all’integrazione del minore nella società, tema centrale della politica educativa dell’Ente. Il lavoro si avvarrà, oltre che degli studi storico-educativi già editi sulla storia dei sordi e dell’Istituto di Milano, anche della ricca documentazione conservata presso l’Archivio della Fondazione del Pio Istituto dei Sordi di Milano, nonché della rivista Giulio Tarra, periodico della struttura pubblicato a partire dal 1891.
Debe', A., Avviare a una professione il minore sordo: un primo bilancio sull’esperienza del Pio Istituto di Milano tra Otto e Novecento, in Sistemi educativi, Orientamento, Lavoro, (Bologna, 02-04 February 2023), Pensa MultiMedia, Lecce 2023: 546-549 [https://hdl.handle.net/10807/257988]
Avviare a una professione il minore sordo: un primo bilancio sull’esperienza del Pio Istituto di Milano tra Otto e Novecento
Debe', Anna
2023
Abstract
La formazione professionale dei bambini e ragazzi con disabilità, fosse essa intellettiva, fisica o sensoriale, era una consuetudine degli istituti educativo-assistenziali operanti nell’Italia tra Otto e Novecento. In tal senso, l’offerta formativa era allineata a quella di altre realtà residenziali destinate ai minori in condizioni di fragilità, come orfanotrofi, brefotrofi e case di correzione. Distinte a seconda che fossero destinate a maschi o a femmine, le attività lavorative assumevano valenze che mutavano anche in base agli obiettivi ad esse affidate dai responsabili dell’Ente. Se nelle più illuminate esperienze tali attività furono concepite come strumenti volti ad agevolare nell’individuo con disabilità la conquista della dignità personale, non mancarono casi in cui l’avviamento alla professione era inteso come mero canale per un introito economico a favore dell’Istituto. Il presente lavoro intende gettar luce sull’operato del Pio Istituto sordomuti poveri di Milano tra fine Ottocento e inizio Novecento. Fondato nel 1854 per accogliere ed educare gratuitamente i sordi indigenti della zona, fin dai suoi inizi l’Istituto propose ad allieve e allievi un articolato e completo percorso formativo, dove accanto all’educazione intellettuale trovava ampio spazio uno specifico addestramento professionale. Le ragazze venivano in realtà avviate ai classici lavori donneschi, in primo luogo al cucito e al ricamo, volti non tanto a prepararle per il lavoro in sartoria, quanto a farne brave mogli e madri, in grado di gestire la propria casa e famiglia nonostante la disabilità. I maschi, invece, apprendevano i mestieri di calzolaio, tessitore, sarto e agricoltore. Tale preparazione avrebbe consentito loro, una volta terminato il periodo di studio, di ottenere una propria indipendenza economica e, dunque, di non essere considerati un peso gravante su famiglia e società. Scopo della ricerca è quello di indagare in profondità gli obiettivi alla base della formazione lavorativa erogata dall’Istituto milanese, con particolare riferimento a quella organizzata a favore dei sordi di sesso maschile. Nel contempo, si intende verificare se in tal ambito trovasse effettivo riscontro l’attenzione all’integrazione del minore nella società, tema centrale della politica educativa dell’Ente. Il lavoro si avvarrà, oltre che degli studi storico-educativi già editi sulla storia dei sordi e dell’Istituto di Milano, anche della ricca documentazione conservata presso l’Archivio della Fondazione del Pio Istituto dei Sordi di Milano, nonché della rivista Giulio Tarra, periodico della struttura pubblicato a partire dal 1891.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.