Il presente contributo vorrebbe rappresentare occasione attraverso la quale formulare alcuni, si auspicano utili, spunti di riflessione in merito alla possibile configurabilità all’interno del nostro ordinamento giuridico di un indice di capacità contributiva “immateriale” scaturente dall’interazione tra i consumatori-utenti e le piattaforme digitali. Le considerazioni che vengono, in questa sede, formulate, pur essendo il frutto d’una riflessione soltanto embrionale, vorrebbero essere veicolo per mezzo del quale porre all’attenzione del lettore la necessità di adattare il sistema tributario interno alle mutate caratteristiche del contesto economico, valorizzando dal punto di vista tributario anche elementi immateriali apparentemente non idonei a costituire – giusto in ragione della propria intangibilità e, conseguentemente, difficile verificabilità e quantificazione – un indice di capacità contributiva. In questa prospettiva, ci si chiederà se le interazioni tra gli utenti e le piattaforme digitali, in quanto portatrici – sia in termini positivi che negativi – di valore per le economie digitalizzate, possano rappresentare un indice di capacità contributiva, attesa la potenziale trasformabilità delle informazioni acquisite in un valore aggiunto “monetizzabile”. In tal senso, occorrerebbe valutare, a monte, se lo svolgimento di una attività economica in chiave digitale ponga le economie digitali in una posizione di vantaggio tale da giustificare la venuta ad esistenza di una “maggiore” capacità contributiva giusto in capo a quest’ultime. A tal scopo, si assumerà come punto di partenza della presente riflessione alcune riflessioni maturate in seno agli studi di “fiscalità ambientale”, ambito di ricerca ove il concetto di “vantaggio” discendente dall’uso esclusivo di un bene ambientale – in quanto tale a natura collettivistica – costituirebbe, almeno ad avviso di una parte della dottrina, un presupposto legittimante il sorgere di un indice di capacità a contribuire in capo a chi si serva del bene ambientale nei termini sopra delineati. Conseguentemente, sembrerebbe opportuno provare a determinare se il bene “rete”, al pari, o a differenza, di quello ambientale, costituisca un bene a vocazione/natura collettiva o individuale.
Purpura, A., Note minime sulla configurabilità di un indice di capacità contributiva digitale, <<RIVISTA TRIMESTRALE DI DIRITTO TRIBUTARIO>>, 2021; (4): 929-968 [http://hdl.handle.net/10807/204377]
Note minime sulla configurabilità di un indice di capacità contributiva digitale
Purpura, Andrea
2021
Abstract
Il presente contributo vorrebbe rappresentare occasione attraverso la quale formulare alcuni, si auspicano utili, spunti di riflessione in merito alla possibile configurabilità all’interno del nostro ordinamento giuridico di un indice di capacità contributiva “immateriale” scaturente dall’interazione tra i consumatori-utenti e le piattaforme digitali. Le considerazioni che vengono, in questa sede, formulate, pur essendo il frutto d’una riflessione soltanto embrionale, vorrebbero essere veicolo per mezzo del quale porre all’attenzione del lettore la necessità di adattare il sistema tributario interno alle mutate caratteristiche del contesto economico, valorizzando dal punto di vista tributario anche elementi immateriali apparentemente non idonei a costituire – giusto in ragione della propria intangibilità e, conseguentemente, difficile verificabilità e quantificazione – un indice di capacità contributiva. In questa prospettiva, ci si chiederà se le interazioni tra gli utenti e le piattaforme digitali, in quanto portatrici – sia in termini positivi che negativi – di valore per le economie digitalizzate, possano rappresentare un indice di capacità contributiva, attesa la potenziale trasformabilità delle informazioni acquisite in un valore aggiunto “monetizzabile”. In tal senso, occorrerebbe valutare, a monte, se lo svolgimento di una attività economica in chiave digitale ponga le economie digitali in una posizione di vantaggio tale da giustificare la venuta ad esistenza di una “maggiore” capacità contributiva giusto in capo a quest’ultime. A tal scopo, si assumerà come punto di partenza della presente riflessione alcune riflessioni maturate in seno agli studi di “fiscalità ambientale”, ambito di ricerca ove il concetto di “vantaggio” discendente dall’uso esclusivo di un bene ambientale – in quanto tale a natura collettivistica – costituirebbe, almeno ad avviso di una parte della dottrina, un presupposto legittimante il sorgere di un indice di capacità a contribuire in capo a chi si serva del bene ambientale nei termini sopra delineati. Conseguentemente, sembrerebbe opportuno provare a determinare se il bene “rete”, al pari, o a differenza, di quello ambientale, costituisca un bene a vocazione/natura collettiva o individuale.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.