Proponiamo una riflessione banalmente quantitativa: il Faust non è un tema massicciamente presente nell’opera di Baudelaire, si può anzi dire che le occorrenze dirette sono scarse, e alcune irrilevanti (non ci siamo occupate per esempio delle pagine che Baudelaire dedica alla recitazione di Rouvère, che non ci sono parse determinanti ai nostri fini) . Il Faust compare nelle pagine critiche: critica letteraria per il Prométhé délivré di Louis Ménard (1846), critica d’arte per le pagine del Salon dedicate a Chifflart e Ary Scheffer (1859); nel progetto drammatico della Fin de Don Juan (1852/1853), in cui il personaggio di Don Giovanni è direttamente assimilato al protagonista di Goethe nella didascalia; nelle Fleurs du Mal, in due sonetti (Sed non satiata, 1842/1843, Sonnet d’automne, 1859). Parrebbe di poter dire, visti i numeri, che Baudelaire non si interessa al Faust, o peggio (come sostiene Balmas) non lo comprende. Possiamo rispondere negativamente ad entrambe le proposizioni, e cominceremo, con una certa ovvietà, dalla seconda (ci si interessa solo a ciò che si comprende). In tutti gli interventi critici di Baudelaire sul personaggio o il tema del Faust è parso evidente che il poeta respinge l’interpretazione romantica nell’accezione più banale del termine: gusto ″demoniaco″ per Mefistofele, sensibilità lacrimosa su Margherita. Predilige lo sguardo eroico sull’avventura della conoscenza, e per questa ragione apprezza l’interpretazione datane da Chifflart nelle sue cupe incisioni. Nel progetto drammatico sul Don Giovanni, in cui Baudelaire riprende direttamente una scena del Faust, appare invece manifesto che la lettura del personaggio è giunta ad una sua assimilazione: Don Giovanni/Faust è un dandy, un uomo tormentato dall’ennui, disposto per questa ragione a giocare la carta del male e a ottenere, ad ogni costo, un tuffo nell’inconnu. Nelle Fleurs du Mal un sentimento analogo accomuna i due sonetti in cui è rilevabile un’allusione diretta al Faust: per quanto apparentemente molto diversi, entrambi i componimenti associano infatti al personaggio di Goethe un desiderio incolmabile, di piacere nel primo caso (“le Faust de la Savane”, dagli occhi come cisterne in cui annegare gli ennuis), di Assoluto nel secondo (“Je hais la passion et l’esprit me fait mal”). In quest’ottica, il Secondo Faust diventa inutile: cosa ci sia dietro il tuffo nel buio del cielo non è dato sapere per Baudelaire. Soprattutto non è concepibile che quel tuffo si traduca nella lingua astratta della filosofia. La poesia non ha bisogno della filosofia, è essa stessa conoscenza, nel suo puro farsi; nell’adesione alla teoria di analogia universale, Baudelaire non ragiona filosoficamente: Ora, Faust entra nell’opera di Baudelaire come un frutto dell’immaginazione e dell’arte di un uomo, nel quale egli sente di potersi identificare, o perlomeno di poter ritrovare una parte della propria ispirazione. Così facendo, Faust diventa un personaggio di Baudelaire, viene per così dire completamente assimilato al suo universo poetico: è ciò che accade, crediamo, a tutti i i grandi artisti, che sanno “ qu’il n'est permis de traduire les poètes que quand on sent en soi une énergie égale à la leur”

Verna, M., Baudelaire e Faust: storia di Una (falsa) incomprensione, <<HUMANITAS>>, 2007; (Giugno): 969-988 [http://hdl.handle.net/10807/2014]

Baudelaire e Faust: storia di Una (falsa) incomprensione

Verna, Marisa
2007

Abstract

Proponiamo una riflessione banalmente quantitativa: il Faust non è un tema massicciamente presente nell’opera di Baudelaire, si può anzi dire che le occorrenze dirette sono scarse, e alcune irrilevanti (non ci siamo occupate per esempio delle pagine che Baudelaire dedica alla recitazione di Rouvère, che non ci sono parse determinanti ai nostri fini) . Il Faust compare nelle pagine critiche: critica letteraria per il Prométhé délivré di Louis Ménard (1846), critica d’arte per le pagine del Salon dedicate a Chifflart e Ary Scheffer (1859); nel progetto drammatico della Fin de Don Juan (1852/1853), in cui il personaggio di Don Giovanni è direttamente assimilato al protagonista di Goethe nella didascalia; nelle Fleurs du Mal, in due sonetti (Sed non satiata, 1842/1843, Sonnet d’automne, 1859). Parrebbe di poter dire, visti i numeri, che Baudelaire non si interessa al Faust, o peggio (come sostiene Balmas) non lo comprende. Possiamo rispondere negativamente ad entrambe le proposizioni, e cominceremo, con una certa ovvietà, dalla seconda (ci si interessa solo a ciò che si comprende). In tutti gli interventi critici di Baudelaire sul personaggio o il tema del Faust è parso evidente che il poeta respinge l’interpretazione romantica nell’accezione più banale del termine: gusto ″demoniaco″ per Mefistofele, sensibilità lacrimosa su Margherita. Predilige lo sguardo eroico sull’avventura della conoscenza, e per questa ragione apprezza l’interpretazione datane da Chifflart nelle sue cupe incisioni. Nel progetto drammatico sul Don Giovanni, in cui Baudelaire riprende direttamente una scena del Faust, appare invece manifesto che la lettura del personaggio è giunta ad una sua assimilazione: Don Giovanni/Faust è un dandy, un uomo tormentato dall’ennui, disposto per questa ragione a giocare la carta del male e a ottenere, ad ogni costo, un tuffo nell’inconnu. Nelle Fleurs du Mal un sentimento analogo accomuna i due sonetti in cui è rilevabile un’allusione diretta al Faust: per quanto apparentemente molto diversi, entrambi i componimenti associano infatti al personaggio di Goethe un desiderio incolmabile, di piacere nel primo caso (“le Faust de la Savane”, dagli occhi come cisterne in cui annegare gli ennuis), di Assoluto nel secondo (“Je hais la passion et l’esprit me fait mal”). In quest’ottica, il Secondo Faust diventa inutile: cosa ci sia dietro il tuffo nel buio del cielo non è dato sapere per Baudelaire. Soprattutto non è concepibile che quel tuffo si traduca nella lingua astratta della filosofia. La poesia non ha bisogno della filosofia, è essa stessa conoscenza, nel suo puro farsi; nell’adesione alla teoria di analogia universale, Baudelaire non ragiona filosoficamente: Ora, Faust entra nell’opera di Baudelaire come un frutto dell’immaginazione e dell’arte di un uomo, nel quale egli sente di potersi identificare, o perlomeno di poter ritrovare una parte della propria ispirazione. Così facendo, Faust diventa un personaggio di Baudelaire, viene per così dire completamente assimilato al suo universo poetico: è ciò che accade, crediamo, a tutti i i grandi artisti, che sanno “ qu’il n'est permis de traduire les poètes que quand on sent en soi une énergie égale à la leur”
2007
Italiano
Verna, M., Baudelaire e Faust: storia di Una (falsa) incomprensione, <<HUMANITAS>>, 2007; (Giugno): 969-988 [http://hdl.handle.net/10807/2014]
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