L'obiettivo principale di questa breve relazione e dell'atelier di lavoro di domani è proporre alle coppie "in attesa", e per esteso agli operatori del settore, una modalità di rapporto con il bambino in utero antica come la vita stessa: la comunicazione attraverso il tatto e il tono del corpo. Un modo di comunicare gli affetti (ma non solo) presente da sempre in tutti noi, radicato profondamente nel nostro istinto materno e paterno ma, pur troppo, spesso relegato in secondo piano o addirittura dimenticato per far posto ad esigenze e leggi dettate dalla "vita moderna", in cui poco, si sa, è lo spazio per quanto non sia produttivo e razionale. Infatti, nel nostro modello sociale occidentale, se da un lato nei delicatissimi momenti della procreazione la coppia ha a disposizione un apparato tecnico-sanitario magari anche efficiente, dall'altro lato si ritrova spesso in una situazione, o meglio, in un habitat globale che non le permette di creare attorno allo straordinario evento che sta vivendo quell'aura affettiva, quello spazio in cui solo può avvenire l'intimo dialogo d'amore, di comunione, di condivisione, vera manna per lo spirito, indispensabile per un armonico sviluppo psicofisico del bambino e per il benessere di tutto il nucleo familiare. La possibilità di osservare da vicino il mondo intrauterino e le conseguenti scoperte permesse da tecnologie avanzatissime permettono di fondare queste affermazioni su basi scientifiche. La vita embrionale non può più essere considerata un periodo di sensorialità appena abbozzate, di "vuoto psichico", di indifferenza al mondo esterno come si credeva un tempo. Il feto è invece presente al mondo e ha una sensorialità raffinata, perfettamente adatta all'ambiente intrauterino che egli esplora con tutti i suoi mezzi, integrando continuamente le esperienze fatte. Questo insieme di esperienze diventa promotore della sua maturazione e organizzatore delle sue prime modalità relazionali (M. Mancia). Egli quindi si emoziona ed è in grado di comunicarlo; per dirla con le parole di D. B. Chamberlain: "Il bambino, ancora prima di nascere, è consapevole, espressivo, influenzato dalla sua relazione con noi". Come per ogni altro organismo anche per l'essere umano in divenire l'accoglienza riservatagli dall'ambiente è di estrema importanza per il proprio sviluppo psicofisico e addirittura per il proseguimento della vita stessa. Attraverso vie ancora non del tutto conosciute, egli percepisce se la sua presenza è ben accetta, se è desiderato o rifiutato. Ne ricaverà, in caso positivo, grande energia e desiderio di crescere; in caso negativo invece ne risentirà profondamente nel corpo e nella psiche: tracce del rifiuto, engrammi negativi, rimarranno impressi in lui per tutta la vita causandogli problemi anche gravi nei rapporti con se stesso e con gli altri. Il nostro bambino, piccolo essere lungo ancora solo pochi millimetri, cerca già le nostre attenzioni, la nostra compartecipazione; se potesse comunicare con il linguaggio di un bimbo di tre anni forse direbbe: "Mamma, papà, sono qui! Guardate cosa faccio, guardate come cresco! Mamma, papà, guardate come sono bravo!" Che tradotto potrebbe diventare: "Mamma, papà, vi vado bene? Mi amate?". La domanda che a questo punto tutti ci poniamo è: come rispondergli? Come riappropriarsi di quel linguaggio ancestrale che noi stessi abbiamo conosciuto tanto profondamente e che il corso degli anni e la somma delle esperienze ci hanno nascosto, rivestendolo man mano di sovrastrutture, trasformandolo continuamente per adeguare le nostre capacità di comunicazione di fronte alle sempre nuove esigenze del mondo? E' stato il desiderio di rispondere ad una domanda simile, che anni fa mi ha spinto con sempre maggior intensità, nella mia attività come musicoterapeuta, a studiare e sperimentare "sul campo" il tatto, il tono muscolare, l'abbraccio del corpo e la postura, il vibrare della vita presente in ogni singola cellula, come modalità di comunicazione e re lazione. Allora lo scopo non era comunicare con il nascituro, ma trovare delle vie alternative per instaurare un rapporto con bambini pluriminorati sensoriali, cerebrolesi, autistici o con persone in stato comatoso. Solo ora forse mi rendo pienamente conto di come moltissime persone in questa situazione siano ferme ad uno stadio comunicativo embrionale e cerchino disperatamente qualcuno in grado di comprenderli. Il loro linguaggio è tanto ricco di minime sfumature, quanto incomprensibile alla maggioranza della gente. Chi le capisce meglio è ancora una volta la mamma.

Benatti, D., Musicoterapia e comunicazione tonico-tattile, Relazione, in Dalla preparazione al parto all'educazione prenatale, (Sala Congressi del monoblocco, Ospedale Maggiore di Parma, 19-19 November 1994), Edito in proprio Anep Italia sede Regione Emilia, Parma (Italy) 1994: 103-109 [http://hdl.handle.net/10807/168481]

Musicoterapia e comunicazione tonico-tattile

Benatti, Dario
1994

Abstract

L'obiettivo principale di questa breve relazione e dell'atelier di lavoro di domani è proporre alle coppie "in attesa", e per esteso agli operatori del settore, una modalità di rapporto con il bambino in utero antica come la vita stessa: la comunicazione attraverso il tatto e il tono del corpo. Un modo di comunicare gli affetti (ma non solo) presente da sempre in tutti noi, radicato profondamente nel nostro istinto materno e paterno ma, pur troppo, spesso relegato in secondo piano o addirittura dimenticato per far posto ad esigenze e leggi dettate dalla "vita moderna", in cui poco, si sa, è lo spazio per quanto non sia produttivo e razionale. Infatti, nel nostro modello sociale occidentale, se da un lato nei delicatissimi momenti della procreazione la coppia ha a disposizione un apparato tecnico-sanitario magari anche efficiente, dall'altro lato si ritrova spesso in una situazione, o meglio, in un habitat globale che non le permette di creare attorno allo straordinario evento che sta vivendo quell'aura affettiva, quello spazio in cui solo può avvenire l'intimo dialogo d'amore, di comunione, di condivisione, vera manna per lo spirito, indispensabile per un armonico sviluppo psicofisico del bambino e per il benessere di tutto il nucleo familiare. La possibilità di osservare da vicino il mondo intrauterino e le conseguenti scoperte permesse da tecnologie avanzatissime permettono di fondare queste affermazioni su basi scientifiche. La vita embrionale non può più essere considerata un periodo di sensorialità appena abbozzate, di "vuoto psichico", di indifferenza al mondo esterno come si credeva un tempo. Il feto è invece presente al mondo e ha una sensorialità raffinata, perfettamente adatta all'ambiente intrauterino che egli esplora con tutti i suoi mezzi, integrando continuamente le esperienze fatte. Questo insieme di esperienze diventa promotore della sua maturazione e organizzatore delle sue prime modalità relazionali (M. Mancia). Egli quindi si emoziona ed è in grado di comunicarlo; per dirla con le parole di D. B. Chamberlain: "Il bambino, ancora prima di nascere, è consapevole, espressivo, influenzato dalla sua relazione con noi". Come per ogni altro organismo anche per l'essere umano in divenire l'accoglienza riservatagli dall'ambiente è di estrema importanza per il proprio sviluppo psicofisico e addirittura per il proseguimento della vita stessa. Attraverso vie ancora non del tutto conosciute, egli percepisce se la sua presenza è ben accetta, se è desiderato o rifiutato. Ne ricaverà, in caso positivo, grande energia e desiderio di crescere; in caso negativo invece ne risentirà profondamente nel corpo e nella psiche: tracce del rifiuto, engrammi negativi, rimarranno impressi in lui per tutta la vita causandogli problemi anche gravi nei rapporti con se stesso e con gli altri. Il nostro bambino, piccolo essere lungo ancora solo pochi millimetri, cerca già le nostre attenzioni, la nostra compartecipazione; se potesse comunicare con il linguaggio di un bimbo di tre anni forse direbbe: "Mamma, papà, sono qui! Guardate cosa faccio, guardate come cresco! Mamma, papà, guardate come sono bravo!" Che tradotto potrebbe diventare: "Mamma, papà, vi vado bene? Mi amate?". La domanda che a questo punto tutti ci poniamo è: come rispondergli? Come riappropriarsi di quel linguaggio ancestrale che noi stessi abbiamo conosciuto tanto profondamente e che il corso degli anni e la somma delle esperienze ci hanno nascosto, rivestendolo man mano di sovrastrutture, trasformandolo continuamente per adeguare le nostre capacità di comunicazione di fronte alle sempre nuove esigenze del mondo? E' stato il desiderio di rispondere ad una domanda simile, che anni fa mi ha spinto con sempre maggior intensità, nella mia attività come musicoterapeuta, a studiare e sperimentare "sul campo" il tatto, il tono muscolare, l'abbraccio del corpo e la postura, il vibrare della vita presente in ogni singola cellula, come modalità di comunicazione e re lazione. Allora lo scopo non era comunicare con il nascituro, ma trovare delle vie alternative per instaurare un rapporto con bambini pluriminorati sensoriali, cerebrolesi, autistici o con persone in stato comatoso. Solo ora forse mi rendo pienamente conto di come moltissime persone in questa situazione siano ferme ad uno stadio comunicativo embrionale e cerchino disperatamente qualcuno in grado di comprenderli. Il loro linguaggio è tanto ricco di minime sfumature, quanto incomprensibile alla maggioranza della gente. Chi le capisce meglio è ancora una volta la mamma.
1994
Italiano
Dalla preparazione al parto all'educazione prenatale
Dalla preparazione al parto all'educazione prenatale
Sala Congressi del monoblocco, Ospedale Maggiore di Parma
Relazione
19-nov-1994
19-nov-1994
Edito in proprio Anep Italia sede Regione Emilia
Benatti, D., Musicoterapia e comunicazione tonico-tattile, Relazione, in Dalla preparazione al parto all'educazione prenatale, (Sala Congressi del monoblocco, Ospedale Maggiore di Parma, 19-19 November 1994), Edito in proprio Anep Italia sede Regione Emilia, Parma (Italy) 1994: 103-109 [http://hdl.handle.net/10807/168481]
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