Negli ultimi anni la sensibilità ambientale sta crescendo in tutto il mondo, e possiamo sperare che essa bilanci, almeno in parte, i danni che la nostra specie sta arrecando a se stessa e al pianeta su cui vive. Qualità dell’aria e disponibilità dell’acqua, surriscaldamento, desertificazione sono problemi che il nostro stesso sviluppo, peraltro sorprendente e per certi versi emozionante e meraviglioso, ha portato con sé. Ora questi problemi mettono in discussione la sopravvivenza dell’umanità, e quindi le voci che si levano – da quelle dotte degli scienziati a quelle cariche di emotività e speranza dei giovani del movimento Friday for Future, passando per il magistero di papa Francesco – sono qualcosa di più di una denuncia: sono una chiamata all’azione, un’appassionata richiesta di individuare strade nuove per difendere il nostro bene comune, la terra che ci alimenta e ci fa vivere. Forse paragonare la drammatica qualità del nostro ambiente al problematico assetto della comunicazione può sembrare irriverente, eppure proprio questa è la scommessa che voglio proporre: la comunicazione oggi (nella sua versione pubblica, che non si limita alle pratiche dei media) presenta una serie di problemi e di punti critici mai rilevati in precedenza, a dispetto delle straordinarie opportunità che gli strumenti del comunicare sembrano offrire a un numero sempre più ampio di persone. Alcuni di questi problemi inquinano la vita quotidiana e hanno conseguenze spesso drammatiche sulla convivenza sociale: sono – per esempio – i discorsi d’odio disseminati sui social media, o le conoscenze false o infondate che talvolta sostituiscono le evidenze scientifiche e persino il buon senso. Vi sono tendenze – come l’esperienza di essere continuamente connessi, la necessità dell’esibizione di sé, l’accelerazione talvolta insostenibile del nostro senso del tempo – che sembrano portare nuove sfide alla definizione dell’essere umani. Infine, determinate pratiche (si pensi al controllo cui gli utenti sono sottoposti da parte delle piattaforme attraverso il monitoraggio dei loro comportamenti o al modificarsi dei meccanismi dell’influenza sociale, affidata a celebrities non sempre attendibili o degne di fiducia) fanno pensare a una trasformazione dei meccanismi della vita collettiva. Nel loro complesso, quindi, alcune tendenze in atto sembrano costituire un quadro di degrado complessivo non solo dei media, ma più in generale di quella risorsa essenziale per la specie umana che è la comunicazione. Il parallelo fra inquinamento ambientale e inquinamento del simbolico, insomma, è qualcosa di più di un’azzardata analogia. Ecco perché credo sia opportuno – e anzi urgente – riflettere sulla qualità della comunicazione come risorsa tipicamente umana, individuare il suo attuale stato, e se possibile provare a interpretare l’inquietudine del tempo presente. Un approccio di questo genere può di conseguenza essere definito ecologico in due significati fondamentali. Il primo, ispirato all’ecologia come scienza, consiste nella descrizione dei media nel loro complesso, nell’osservazione della loro evoluzione e nella messa in questione delle loro conseguenze sulla vita dell’uomo. In questo senso le domande che si pongono sono: come si configura oggi l’ecosistema dei media? Quali sono le sue caratteristiche distintive rispetto ai suoi stadi precedenti? Quale ruolo i media esercitano nel plasmare le norme e le consuetudini comunicative oggi, e quali forme comunicative tendono a prevalere attraverso essi? Il secondo significato, scientificamente meno corretto, ma ormai sdoganato nel linguaggio comune, è quello di cura dell’ambiente: se le conseguenze dell’evoluzione dell’ecosistema vanno in una direzione minacciosa o almeno pericolosa per la vita dell’uomo, la preoccupazione ecologica si concretizza in strategie e comportamenti che possano invertire la tendenza, e salvare la vita della nostra specie. Per quanto concerne i media e la loro recente evoluzione, si tratta di chiedersi: possiamo immaginare di guidarli in una direzione più proficua, che non si limiti a seguire le impronte del progresso tecnologico o delle leggi del mercato? E per quanto concerne la comunicazione umana: possiamo salvarne la funzione originaria? Quali consapevolezze dobbiamo riattivare per giungere a questo obiettivo? E quale approccio di fondo possiamo utilizzare? Ho cercato di esporre le mie argomentazioni nel modo più chiaro e lineare possibile, rifuggendo dagli specialismi eccessivi, così come ho limitato l’apparato bibliografico a testi che ritengo utili per eventuali ulteriori approfondimenti di ciascun lettore. Penso che le questioni che questo libro tocca riguardino chiunque, e che chiunque debba poterle comprendere con chiarezza, per esercitare consapevolmente le proprie scelte nell’uso dei media e più in generale nella comunicazione con i propri simili. Quest’ultima è – come provo a dimostrare nel libro – il più fondamentale dei beni comuni della nostra specie: salvarla significa salvare l’umano. Un’impresa che merita l’impegno di tutti noi.
Colombo, F., Ecologia dei media. Manifesto per una comunicazione gentile, Vita e Pensiero, Milano, Milano 2020: 106 [http://hdl.handle.net/10807/154610]
Ecologia dei media. Manifesto per una comunicazione gentile
Colombo, FaustoPrimo
2020
Abstract
Negli ultimi anni la sensibilità ambientale sta crescendo in tutto il mondo, e possiamo sperare che essa bilanci, almeno in parte, i danni che la nostra specie sta arrecando a se stessa e al pianeta su cui vive. Qualità dell’aria e disponibilità dell’acqua, surriscaldamento, desertificazione sono problemi che il nostro stesso sviluppo, peraltro sorprendente e per certi versi emozionante e meraviglioso, ha portato con sé. Ora questi problemi mettono in discussione la sopravvivenza dell’umanità, e quindi le voci che si levano – da quelle dotte degli scienziati a quelle cariche di emotività e speranza dei giovani del movimento Friday for Future, passando per il magistero di papa Francesco – sono qualcosa di più di una denuncia: sono una chiamata all’azione, un’appassionata richiesta di individuare strade nuove per difendere il nostro bene comune, la terra che ci alimenta e ci fa vivere. Forse paragonare la drammatica qualità del nostro ambiente al problematico assetto della comunicazione può sembrare irriverente, eppure proprio questa è la scommessa che voglio proporre: la comunicazione oggi (nella sua versione pubblica, che non si limita alle pratiche dei media) presenta una serie di problemi e di punti critici mai rilevati in precedenza, a dispetto delle straordinarie opportunità che gli strumenti del comunicare sembrano offrire a un numero sempre più ampio di persone. Alcuni di questi problemi inquinano la vita quotidiana e hanno conseguenze spesso drammatiche sulla convivenza sociale: sono – per esempio – i discorsi d’odio disseminati sui social media, o le conoscenze false o infondate che talvolta sostituiscono le evidenze scientifiche e persino il buon senso. Vi sono tendenze – come l’esperienza di essere continuamente connessi, la necessità dell’esibizione di sé, l’accelerazione talvolta insostenibile del nostro senso del tempo – che sembrano portare nuove sfide alla definizione dell’essere umani. Infine, determinate pratiche (si pensi al controllo cui gli utenti sono sottoposti da parte delle piattaforme attraverso il monitoraggio dei loro comportamenti o al modificarsi dei meccanismi dell’influenza sociale, affidata a celebrities non sempre attendibili o degne di fiducia) fanno pensare a una trasformazione dei meccanismi della vita collettiva. Nel loro complesso, quindi, alcune tendenze in atto sembrano costituire un quadro di degrado complessivo non solo dei media, ma più in generale di quella risorsa essenziale per la specie umana che è la comunicazione. Il parallelo fra inquinamento ambientale e inquinamento del simbolico, insomma, è qualcosa di più di un’azzardata analogia. Ecco perché credo sia opportuno – e anzi urgente – riflettere sulla qualità della comunicazione come risorsa tipicamente umana, individuare il suo attuale stato, e se possibile provare a interpretare l’inquietudine del tempo presente. Un approccio di questo genere può di conseguenza essere definito ecologico in due significati fondamentali. Il primo, ispirato all’ecologia come scienza, consiste nella descrizione dei media nel loro complesso, nell’osservazione della loro evoluzione e nella messa in questione delle loro conseguenze sulla vita dell’uomo. In questo senso le domande che si pongono sono: come si configura oggi l’ecosistema dei media? Quali sono le sue caratteristiche distintive rispetto ai suoi stadi precedenti? Quale ruolo i media esercitano nel plasmare le norme e le consuetudini comunicative oggi, e quali forme comunicative tendono a prevalere attraverso essi? Il secondo significato, scientificamente meno corretto, ma ormai sdoganato nel linguaggio comune, è quello di cura dell’ambiente: se le conseguenze dell’evoluzione dell’ecosistema vanno in una direzione minacciosa o almeno pericolosa per la vita dell’uomo, la preoccupazione ecologica si concretizza in strategie e comportamenti che possano invertire la tendenza, e salvare la vita della nostra specie. Per quanto concerne i media e la loro recente evoluzione, si tratta di chiedersi: possiamo immaginare di guidarli in una direzione più proficua, che non si limiti a seguire le impronte del progresso tecnologico o delle leggi del mercato? E per quanto concerne la comunicazione umana: possiamo salvarne la funzione originaria? Quali consapevolezze dobbiamo riattivare per giungere a questo obiettivo? E quale approccio di fondo possiamo utilizzare? Ho cercato di esporre le mie argomentazioni nel modo più chiaro e lineare possibile, rifuggendo dagli specialismi eccessivi, così come ho limitato l’apparato bibliografico a testi che ritengo utili per eventuali ulteriori approfondimenti di ciascun lettore. Penso che le questioni che questo libro tocca riguardino chiunque, e che chiunque debba poterle comprendere con chiarezza, per esercitare consapevolmente le proprie scelte nell’uso dei media e più in generale nella comunicazione con i propri simili. Quest’ultima è – come provo a dimostrare nel libro – il più fondamentale dei beni comuni della nostra specie: salvarla significa salvare l’umano. Un’impresa che merita l’impegno di tutti noi.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.