Rovesciando il topos romantico del ritratto che uccide, Pirandello inserisce nella propria narrativa alcuni ritratti che riportano all’azione o persino in vita i defunti. Questo accade in modo particolare nelle novelle, tanto in presenza di dipinti quanto di fotografie, specie durante gli anni in cui esplode la novità del cinema. Se la bibliografia critica si è finora soffermata sulla natura fantastica di tali racconti, ovvero sulla dimensione onirica che ne caratterizza lo svolgimento, minore attenzione si è prestata al ruolo che in essi gioca la rappresentazione della morte. Eppure proprio la vena funebre della fantasia di Pirandello, oltre ad aggiornare un repertorio ormai datato, consente all’autore di porsi in modo originale nel pensiero del Novecento, il secolo che ha visto imporsi la civiltà dell’immagine. Dove i maggiori teorici (da Adorno a Baudrillard) hanno avvertito il pericolo che la realtà si dissolvesse nella sua riproduzione meccanica, come prefigurato nei Quaderni di Serafino Gubbio operatore, Pirandello ha intuito anche la via opposta: quella di un “eccesso di realtà”, nella quale il trapassato, il rimosso, l’archiviato continuano ad agire sul presente per mezzo di personaggi resi immortali dal loro Doppelgänger pittorico e fotografico.
Savio, D., «Sua moglie è scesa dal quadro». Immagine e ritorno dei morti in alcune novelle di Pirandello, in Gasperina Geroni, R., Milani, F. (ed.), La modernità letteraria e le declinazioni del visivo. Arti, cinema, fotografia e nuove tecnologie, ETS, Pisa 2019: 129- 135 [http://hdl.handle.net/10807/152608]
«Sua moglie è scesa dal quadro». Immagine e ritorno dei morti in alcune novelle di Pirandello
Savio, DavidePrimo
2019
Abstract
Rovesciando il topos romantico del ritratto che uccide, Pirandello inserisce nella propria narrativa alcuni ritratti che riportano all’azione o persino in vita i defunti. Questo accade in modo particolare nelle novelle, tanto in presenza di dipinti quanto di fotografie, specie durante gli anni in cui esplode la novità del cinema. Se la bibliografia critica si è finora soffermata sulla natura fantastica di tali racconti, ovvero sulla dimensione onirica che ne caratterizza lo svolgimento, minore attenzione si è prestata al ruolo che in essi gioca la rappresentazione della morte. Eppure proprio la vena funebre della fantasia di Pirandello, oltre ad aggiornare un repertorio ormai datato, consente all’autore di porsi in modo originale nel pensiero del Novecento, il secolo che ha visto imporsi la civiltà dell’immagine. Dove i maggiori teorici (da Adorno a Baudrillard) hanno avvertito il pericolo che la realtà si dissolvesse nella sua riproduzione meccanica, come prefigurato nei Quaderni di Serafino Gubbio operatore, Pirandello ha intuito anche la via opposta: quella di un “eccesso di realtà”, nella quale il trapassato, il rimosso, l’archiviato continuano ad agire sul presente per mezzo di personaggi resi immortali dal loro Doppelgänger pittorico e fotografico.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.