La critica di Nietzsche alla fraternità è un accattivante banco di prova per riflettere sull’umano comune, sulle sue degenerazioni e sui suoi possibili riscatti. Le veementi polemiche di Nietzsche ruotano attorno alla decostruzione della logica menzognera con la quale gli uomini dell’Occidente hanno edificato nel corso dei secoli le loro immagini della fraternità. Le sue invettive abbattono definitivamente tutti i falsi miti del sentimento fraterno – Dio, sangue, morale borghese –, destinati al loro nichilistico tramonto. Una distruzione che dà a pensare: l’accusa nietzscheana suggerisce alcune tracce da seguire per un aurorale ripensamento della fraternità. La fraternità rappresenta uno dei bersagli privilegiati della critica di Nietzsche alla tradizione occidentale. Nella sua filosofia essa non si dà mai senza polemica: ogni volta che Nietzsche porta in scena il sentimento fraterno è sempre per lanciare qualche secco rimprovero all’uomo e alla società. Nel lessico nietzscheano, «“fraternità”» è una di quelle «grandi parole» altamente nocive per lo sviluppo del genere umano – al pari di «“libertà”, “giustizia”, “uguaglianza dei diritti”, “verità”» –, «segni premonitori» della «catastrofe nichilista» verso cui sta inesorabilmente navigando l’intera civiltà occidentale. L’attacco sferrato da Nietzsche parte dagli albori della fraternità e tocca progressivamente tutte le sue incarnazioni nella storia dell’umanità. L’ideale fraterno trova la sua origine davanti a Dio, con il cristianesimo, per poi radicarsi nella società civile mediante la sanguinaria Rivoluzione francese. Pur senza spargimenti di sangue, il violento istinto fraterno della rivoluzione perdura nel corso dell’Ottocento, dentro la città degli uomini borghesi. La fraternità della piazza del mercato uniforma tutti coloro che ne fanno parte, dando vita al gregge. Per Nietzsche, inoltre, il sentimento fraterno che coagula i membri dell’armento non è mai originario, bensì scaturisce sempre da una risentita mistificazione: la paura e l’accantonamento di tutto ciò che è individuale. La «fratellanza dei popoli», afferma lapidariamente nell’aforisma 132 di Aurora, è una delle possibili declinazioni di «totalità» nelle quali «il singolo si sacrifica» per l’economia dell’intero . A prima vista, dunque, sembra quasi naturale che per un Nietzsche detrattore della religione cristiana, reazionario nostalgico dell’antica nobiltà e aspro critico della società di massa la fraternità sia da rigettare senza appello. Ma, pur biasimando così tanto queste concezioni di fraternità, Nietzsche non riesce a fare a meno di un certo “pathos fraterno”. Mentre critica l’idea cristiana, rivoluzionaria e borghese di fraternità e ne scardina i rispettivi moventi – Dio, il sangue, il gregge –, porta sempre con sé una profonda inclinazione fraterna, sia nella sua vita sia nella sua filosofia. Dopotutto il pensiero nietzscheano, affidato autobiograficamente alla bocca di Zarathustra, non può rimanere relegato sulle solitarie montagne dove è stato partorito. L’avventura del profeta incarna una fisiologica e sofferente ricerca di “fratelli”, con i quali unirsi per condividere il proprio messaggio e la propria esistenza. Sofferenza generata dall’amara consapevolezza del fallimento. Il coraggioso tentativo di Zarathustra di rintracciare una comunità di fratelli che possa accogliere il suo pensiero trova sul nascere la propria smentita. D’altronde, nella metropoli moderna abitano solamente i borghesi uomini del gregge. A questa fraternità gregaria Nietzsche riesce a opporre però solo la fuga dalla città, oppure l’esaltazione dell’individuo – una fraternità di élite –. Due vie d’uscita mai del tutto risolutive. Il problema della fraternità non è toccato nel suo intimo, ma solo provvisoriamente aggirato. Il sentiero rinunciatario e quello individualista imboccati da Nietzsche conducono a un doppio stallo del pensiero sulla fraternità: da un lato una sua prematura sospensione, dall’altro un suo elitario restringimento. Per riscattare la fraternità e riabilitare il pensiero su di essa è necessario allora imboccare un’altra strada, ritornando alla pars destruens della filosofia nietzscheana e provando a scorgere in essa i segnali di un’aurora del sentimento fraterno. La critica di Nietzsche schiude la possibilità di ripensare la fraternità a partire proprio dalle sue molteplici degenerazioni.

Scolari, P., Nietzsche e i tramonti della fraternità, <<SCIENZE E RICERCHE>>, 2015; (Suppl. al n. 15): 17-24 [http://hdl.handle.net/10807/145697]

Nietzsche e i tramonti della fraternità

Scolari, Paolo
2015

Abstract

La critica di Nietzsche alla fraternità è un accattivante banco di prova per riflettere sull’umano comune, sulle sue degenerazioni e sui suoi possibili riscatti. Le veementi polemiche di Nietzsche ruotano attorno alla decostruzione della logica menzognera con la quale gli uomini dell’Occidente hanno edificato nel corso dei secoli le loro immagini della fraternità. Le sue invettive abbattono definitivamente tutti i falsi miti del sentimento fraterno – Dio, sangue, morale borghese –, destinati al loro nichilistico tramonto. Una distruzione che dà a pensare: l’accusa nietzscheana suggerisce alcune tracce da seguire per un aurorale ripensamento della fraternità. La fraternità rappresenta uno dei bersagli privilegiati della critica di Nietzsche alla tradizione occidentale. Nella sua filosofia essa non si dà mai senza polemica: ogni volta che Nietzsche porta in scena il sentimento fraterno è sempre per lanciare qualche secco rimprovero all’uomo e alla società. Nel lessico nietzscheano, «“fraternità”» è una di quelle «grandi parole» altamente nocive per lo sviluppo del genere umano – al pari di «“libertà”, “giustizia”, “uguaglianza dei diritti”, “verità”» –, «segni premonitori» della «catastrofe nichilista» verso cui sta inesorabilmente navigando l’intera civiltà occidentale. L’attacco sferrato da Nietzsche parte dagli albori della fraternità e tocca progressivamente tutte le sue incarnazioni nella storia dell’umanità. L’ideale fraterno trova la sua origine davanti a Dio, con il cristianesimo, per poi radicarsi nella società civile mediante la sanguinaria Rivoluzione francese. Pur senza spargimenti di sangue, il violento istinto fraterno della rivoluzione perdura nel corso dell’Ottocento, dentro la città degli uomini borghesi. La fraternità della piazza del mercato uniforma tutti coloro che ne fanno parte, dando vita al gregge. Per Nietzsche, inoltre, il sentimento fraterno che coagula i membri dell’armento non è mai originario, bensì scaturisce sempre da una risentita mistificazione: la paura e l’accantonamento di tutto ciò che è individuale. La «fratellanza dei popoli», afferma lapidariamente nell’aforisma 132 di Aurora, è una delle possibili declinazioni di «totalità» nelle quali «il singolo si sacrifica» per l’economia dell’intero . A prima vista, dunque, sembra quasi naturale che per un Nietzsche detrattore della religione cristiana, reazionario nostalgico dell’antica nobiltà e aspro critico della società di massa la fraternità sia da rigettare senza appello. Ma, pur biasimando così tanto queste concezioni di fraternità, Nietzsche non riesce a fare a meno di un certo “pathos fraterno”. Mentre critica l’idea cristiana, rivoluzionaria e borghese di fraternità e ne scardina i rispettivi moventi – Dio, il sangue, il gregge –, porta sempre con sé una profonda inclinazione fraterna, sia nella sua vita sia nella sua filosofia. Dopotutto il pensiero nietzscheano, affidato autobiograficamente alla bocca di Zarathustra, non può rimanere relegato sulle solitarie montagne dove è stato partorito. L’avventura del profeta incarna una fisiologica e sofferente ricerca di “fratelli”, con i quali unirsi per condividere il proprio messaggio e la propria esistenza. Sofferenza generata dall’amara consapevolezza del fallimento. Il coraggioso tentativo di Zarathustra di rintracciare una comunità di fratelli che possa accogliere il suo pensiero trova sul nascere la propria smentita. D’altronde, nella metropoli moderna abitano solamente i borghesi uomini del gregge. A questa fraternità gregaria Nietzsche riesce a opporre però solo la fuga dalla città, oppure l’esaltazione dell’individuo – una fraternità di élite –. Due vie d’uscita mai del tutto risolutive. Il problema della fraternità non è toccato nel suo intimo, ma solo provvisoriamente aggirato. Il sentiero rinunciatario e quello individualista imboccati da Nietzsche conducono a un doppio stallo del pensiero sulla fraternità: da un lato una sua prematura sospensione, dall’altro un suo elitario restringimento. Per riscattare la fraternità e riabilitare il pensiero su di essa è necessario allora imboccare un’altra strada, ritornando alla pars destruens della filosofia nietzscheana e provando a scorgere in essa i segnali di un’aurora del sentimento fraterno. La critica di Nietzsche schiude la possibilità di ripensare la fraternità a partire proprio dalle sue molteplici degenerazioni.
2015
Italiano
Scolari, P., Nietzsche e i tramonti della fraternità, <<SCIENZE E RICERCHE>>, 2015; (Suppl. al n. 15): 17-24 [http://hdl.handle.net/10807/145697]
File in questo prodotto:
Non ci sono file associati a questo prodotto.

I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.

Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/10807/145697
Citazioni
  • ???jsp.display-item.citation.pmc??? ND
  • Scopus ND
  • ???jsp.display-item.citation.isi??? ND
social impact