La parola “accoglienza”, in qualunque contesto sia utilizzata, rimanda a qualcuno che giunge da altrove e che si pone in relazione con altri che già abitano il contesto a cui si affaccia. È sempre concreta, perché deve fare i conti con la specificità di chi giunge e con la novità che porta con sé. Nel dare e ricevere proprio delle relazioni, l’accoglienza ha una priorità ontologica, poiché il solo fatto di essere venuti all’esistenza implica essere stati ricevuti in una relazione tra i generanti e mantenuti in una relazione così originaria da essere originante. Curiosamente, nell’epoca delle grandi dichiarazioni dei diritti umani questa fondamentale accoglienza è messa alla prova da un modo di intendere il corpo che lo allontana dall’identità dell’essere umano. Ancora una volta è la questione della disabilità a costituire uno dei banchi privilegiati di prova sull’adeguatezza del nostro sguardo sull’umano, se sia o meno capace di cogliere la diversità di condizioni che ne possono segnare l’esistenza o se alcune ci sorprendono facendoci erigere meccanismi teorici di difesa per sottrarci al nostro comune dovere di reciproca e asimmetrica tutela dei diritti e cura nella nostra costitutiva fragilità. Il riferimento alla corporeità è stato pesantemente modificato dal contesto tecnoscientifico in cui e attraverso cui il corpo stesso è letto. Intrecciandosi all’uomo autonomo e autocostituito della modernità, a partire dalla metà del secolo scorso l’enorme avanzamento delle nostre capacità di operare sulla corporeità ha modificato profondamente la percezione ordinaria che abbiamo del corpo stesso. I progressi della biomedicina e delle biotecnologie hanno permesso interventi chirurgici e farmacologici impensabili fino a un passato non troppo lontano, e insieme hanno aperto frontiere che sembrano inaugurare una distanza del soggetto dal suo soma. Si fa esperienza del proprio corpo sempre più attraverso una mediazione tecnologica, così come quello altrui è molte volte presentato attraverso il filtro delle informazioni che il dato scientifico ne può offrire. Questo distanziamento dal corpo tende a rendere astratta la percezione dell’identità. Tra le conseguenze troviamo una trasformazione delle dinamiche di accoglienza, poiché se il soggetto fluttua in qualche regione astratta rispetto al suo corpo, si perde la percezione che l’accoglienza dell’altro concreto è sempre, in primo luogo, accoglienza del suo essere corporeo, con la specificità di condizioni che lo caratterizzano. In questo scenario si modifica profondamente la coesione sociale, a partire dalla famiglia, quella prima forma di socializzazione in cui ciascuno si affaccia all’esistenza. Da un lato diviene prassi quella che Habermas chiama generazione con riserva –per cui l’accettazione del figlio è subordinata ad uno standard qualitativo-, dall’altra là dove un errore valutativo ha impedito di attuare tale riserva, l’esistenza di un figlio con una disabilità giunge ad essere additato come un danno colposo che debba essere socialmente stigmatizzato ed economicamente risarcito. Il meccanismo di desomatizzazione dell’identità porta all’esito paradossale di difendere una uguaglianza di principio proprio attraverso una discriminazione di fatto sulla base della condizione corporea. Il recupero del corpo mette in luce, tra le altre cose, anche la dimensione relazionale della nostra identità, proprio a partire dal fatto che siamo generati. Siamo anche le nostre relazioni. Per questo motivo, una accoglienza concreta richiede di considerare l’altro non solo come individuo, ma anche con e nelle sue relazioni. La teoria delle capacità, che ben si accorda con il modello biopsicosociale della disabilità, può essere allora declinato anche nella famiglia nel suo insieme relazionale, aprendo così nuovi scenari di autentica cura e di coesione sociale.

Colombetti, E., Il corpo distanziato. Accoglienza e relazioni dell'altro concreto., in Disabilità relazione e riconoscimento sociale nell’epoca della tecnologia.Disability, Relationship and Social Recognition in the era of Technology., (Capodistria, 24-26 May 2018), Velar, Bergamo (Italia) 2019: 73-84 [http://hdl.handle.net/10807/142609]

Il corpo distanziato. Accoglienza e relazioni dell'altro concreto.

Colombetti, Elena
Primo
2019

Abstract

La parola “accoglienza”, in qualunque contesto sia utilizzata, rimanda a qualcuno che giunge da altrove e che si pone in relazione con altri che già abitano il contesto a cui si affaccia. È sempre concreta, perché deve fare i conti con la specificità di chi giunge e con la novità che porta con sé. Nel dare e ricevere proprio delle relazioni, l’accoglienza ha una priorità ontologica, poiché il solo fatto di essere venuti all’esistenza implica essere stati ricevuti in una relazione tra i generanti e mantenuti in una relazione così originaria da essere originante. Curiosamente, nell’epoca delle grandi dichiarazioni dei diritti umani questa fondamentale accoglienza è messa alla prova da un modo di intendere il corpo che lo allontana dall’identità dell’essere umano. Ancora una volta è la questione della disabilità a costituire uno dei banchi privilegiati di prova sull’adeguatezza del nostro sguardo sull’umano, se sia o meno capace di cogliere la diversità di condizioni che ne possono segnare l’esistenza o se alcune ci sorprendono facendoci erigere meccanismi teorici di difesa per sottrarci al nostro comune dovere di reciproca e asimmetrica tutela dei diritti e cura nella nostra costitutiva fragilità. Il riferimento alla corporeità è stato pesantemente modificato dal contesto tecnoscientifico in cui e attraverso cui il corpo stesso è letto. Intrecciandosi all’uomo autonomo e autocostituito della modernità, a partire dalla metà del secolo scorso l’enorme avanzamento delle nostre capacità di operare sulla corporeità ha modificato profondamente la percezione ordinaria che abbiamo del corpo stesso. I progressi della biomedicina e delle biotecnologie hanno permesso interventi chirurgici e farmacologici impensabili fino a un passato non troppo lontano, e insieme hanno aperto frontiere che sembrano inaugurare una distanza del soggetto dal suo soma. Si fa esperienza del proprio corpo sempre più attraverso una mediazione tecnologica, così come quello altrui è molte volte presentato attraverso il filtro delle informazioni che il dato scientifico ne può offrire. Questo distanziamento dal corpo tende a rendere astratta la percezione dell’identità. Tra le conseguenze troviamo una trasformazione delle dinamiche di accoglienza, poiché se il soggetto fluttua in qualche regione astratta rispetto al suo corpo, si perde la percezione che l’accoglienza dell’altro concreto è sempre, in primo luogo, accoglienza del suo essere corporeo, con la specificità di condizioni che lo caratterizzano. In questo scenario si modifica profondamente la coesione sociale, a partire dalla famiglia, quella prima forma di socializzazione in cui ciascuno si affaccia all’esistenza. Da un lato diviene prassi quella che Habermas chiama generazione con riserva –per cui l’accettazione del figlio è subordinata ad uno standard qualitativo-, dall’altra là dove un errore valutativo ha impedito di attuare tale riserva, l’esistenza di un figlio con una disabilità giunge ad essere additato come un danno colposo che debba essere socialmente stigmatizzato ed economicamente risarcito. Il meccanismo di desomatizzazione dell’identità porta all’esito paradossale di difendere una uguaglianza di principio proprio attraverso una discriminazione di fatto sulla base della condizione corporea. Il recupero del corpo mette in luce, tra le altre cose, anche la dimensione relazionale della nostra identità, proprio a partire dal fatto che siamo generati. Siamo anche le nostre relazioni. Per questo motivo, una accoglienza concreta richiede di considerare l’altro non solo come individuo, ma anche con e nelle sue relazioni. La teoria delle capacità, che ben si accorda con il modello biopsicosociale della disabilità, può essere allora declinato anche nella famiglia nel suo insieme relazionale, aprendo così nuovi scenari di autentica cura e di coesione sociale.
2019
Italiano
Disabilità relazione e riconoscimento sociale nell’epoca della tecnologia. Disability, Relationship and Social Recognition in the era of Technology.
Disability, Relationship and Social Recognition in the era of Technology.
Capodistria
24-mag-2018
26-mag-2018
9788866716839
Velar
Colombetti, E., Il corpo distanziato. Accoglienza e relazioni dell'altro concreto., in Disabilità relazione e riconoscimento sociale nell’epoca della tecnologia.Disability, Relationship and Social Recognition in the era of Technology., (Capodistria, 24-26 May 2018), Velar, Bergamo (Italia) 2019: 73-84 [http://hdl.handle.net/10807/142609]
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