Il saggio affronta il tema delle diverse manifestazioni di “pensiero prevenuto” nell’ambiente digitale, spesso collegate a performance razziste “banalizzate” e socialmente condivise. Per individuare risposte educative specifiche e buone prassi di intervento, è necessario analizzare le diverse forme assunte dal pregiudizio in Rete alla luce degli aspetti affettivo-emotivi e non solo razionali. Fatti di cronaca, rapporti nazionali e internazionali, la riflessione politica e quella pedagogica affrontano spesso il tema delle manifestazioni di “pensiero prevenuto” nell’ambiente digitale, dalla “cyberstupidity” alle forme più violente di “hate speech online”. Si assiste a un approccio segnato dalla denuncia dell’emergenza e dal continuo allarme (il Web “devastato” dall’odio online e dai razzismi), ma, al contempo, si rileva la “proliferazione policentrica” del discorso razzista e, di fatto, la sua accettazione sociale, facilitata dal fatto di essere svuotato da raffinatezza dottrinale e approfondite teorizzazioni. Un approfondimento su queste tematiche appare decisivo nella riflessione sul ruolo della media education, sulla sua formazione e sugli effetti interdisciplinari e trasversali della presenza dei media. Particolare attenzione è dedicata alla metodologia utilizzata durante la ricerca, durante la quale si è individuato un corpus di “razzismi online”, composto da un lato da casi trattati dall’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali della Presidenza del Consiglio e, dall’altro, da casi reperiti dal ricercatore in “ambienti digitali a rischio”, ovvero da forum calcistici, conversazioni in Ask.fm e commenti ad articoli online su argomenti sensibili. Il corpus così ottenuto è stato quindi sottoposto a un’analisi di tipo qualitativo-testuale attraverso T-Lab, software costituto da un insieme di strumenti linguistici e statistici per l’analisi di contenuto e text mining, e, in parallelo, a un’analisi di tipo qualitativo-motivazionale. I risultati ottenuti sono stati quindi interpretati alla luce di una duplice bibliografia: da un lato quella della pedagogia interculturale e degli studi classici sui razzismi, dall’altro quella sulle caratteristiche del digitale, della pragmatica della comunicazione online e della media education. Durante la ricerca si sono inoltre svolte – con esiti differenti – alcune conversazioni via Ask.fm con adolescenti contattati poiché, in vario modo, avevano preso parte a performance razziste; oltre che come caso studio di etnografia virtuale, viene proposto come esperimento di educazione alla riflessività. Si noterà come dalla banalizzazione delle tesi razziste e dalla deresponsabilizzazione dello “stare in Rete” deriva un recupero implicito dell’istanza biologica, su basi non scientifiche, svuotate di senso, ma paradossalmente accettate e interiorizzate. D’altro canto, si incontrano svariati esempi di attivazione di “cittadini digitali”, pratiche che indicano come la media education ha il compito di porre l’attenzione sull’educare con i media, passando sempre più dalle tecnologie come tecniche alle tecnologie come logiche. Sviluppando un’attenzione ecologica che consideri i media come parte del più ampio contesto in cui sono inseriti e partendo da questo “capitale antirazzista” presente nel Web 2.0, si sottolineerà il ruolo dell’educazione alla cittadinanza – interculturale, digitale e morale – nel formare soggetti e agenti morali nella mediapolis, affermando il valore della responsabilità verso gli altri.

Pasta, S., Razzismi 2.0. Una proposta di analisi delle forme di intolleranza nella cultura giovanile contemporanea, in Bruni, F., Garavaglia, A., Petti, L. (ed.), Media Education in Italia. Oggetti e ambiti della formazione, FrancoAngeli, Milano 2019: <<MEDIA E TECNOLOGIE PER LA DIDATTICA>>, 124- 137 [http://hdl.handle.net/10807/136554]

Razzismi 2.0. Una proposta di analisi delle forme di intolleranza nella cultura giovanile contemporanea

Pasta, Stefano
2019

Abstract

Il saggio affronta il tema delle diverse manifestazioni di “pensiero prevenuto” nell’ambiente digitale, spesso collegate a performance razziste “banalizzate” e socialmente condivise. Per individuare risposte educative specifiche e buone prassi di intervento, è necessario analizzare le diverse forme assunte dal pregiudizio in Rete alla luce degli aspetti affettivo-emotivi e non solo razionali. Fatti di cronaca, rapporti nazionali e internazionali, la riflessione politica e quella pedagogica affrontano spesso il tema delle manifestazioni di “pensiero prevenuto” nell’ambiente digitale, dalla “cyberstupidity” alle forme più violente di “hate speech online”. Si assiste a un approccio segnato dalla denuncia dell’emergenza e dal continuo allarme (il Web “devastato” dall’odio online e dai razzismi), ma, al contempo, si rileva la “proliferazione policentrica” del discorso razzista e, di fatto, la sua accettazione sociale, facilitata dal fatto di essere svuotato da raffinatezza dottrinale e approfondite teorizzazioni. Un approfondimento su queste tematiche appare decisivo nella riflessione sul ruolo della media education, sulla sua formazione e sugli effetti interdisciplinari e trasversali della presenza dei media. Particolare attenzione è dedicata alla metodologia utilizzata durante la ricerca, durante la quale si è individuato un corpus di “razzismi online”, composto da un lato da casi trattati dall’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali della Presidenza del Consiglio e, dall’altro, da casi reperiti dal ricercatore in “ambienti digitali a rischio”, ovvero da forum calcistici, conversazioni in Ask.fm e commenti ad articoli online su argomenti sensibili. Il corpus così ottenuto è stato quindi sottoposto a un’analisi di tipo qualitativo-testuale attraverso T-Lab, software costituto da un insieme di strumenti linguistici e statistici per l’analisi di contenuto e text mining, e, in parallelo, a un’analisi di tipo qualitativo-motivazionale. I risultati ottenuti sono stati quindi interpretati alla luce di una duplice bibliografia: da un lato quella della pedagogia interculturale e degli studi classici sui razzismi, dall’altro quella sulle caratteristiche del digitale, della pragmatica della comunicazione online e della media education. Durante la ricerca si sono inoltre svolte – con esiti differenti – alcune conversazioni via Ask.fm con adolescenti contattati poiché, in vario modo, avevano preso parte a performance razziste; oltre che come caso studio di etnografia virtuale, viene proposto come esperimento di educazione alla riflessività. Si noterà come dalla banalizzazione delle tesi razziste e dalla deresponsabilizzazione dello “stare in Rete” deriva un recupero implicito dell’istanza biologica, su basi non scientifiche, svuotate di senso, ma paradossalmente accettate e interiorizzate. D’altro canto, si incontrano svariati esempi di attivazione di “cittadini digitali”, pratiche che indicano come la media education ha il compito di porre l’attenzione sull’educare con i media, passando sempre più dalle tecnologie come tecniche alle tecnologie come logiche. Sviluppando un’attenzione ecologica che consideri i media come parte del più ampio contesto in cui sono inseriti e partendo da questo “capitale antirazzista” presente nel Web 2.0, si sottolineerà il ruolo dell’educazione alla cittadinanza – interculturale, digitale e morale – nel formare soggetti e agenti morali nella mediapolis, affermando il valore della responsabilità verso gli altri.
2019
Italiano
Media Education in Italia. Oggetti e ambiti della formazione
9788891781925
FrancoAngeli
Pasta, S., Razzismi 2.0. Una proposta di analisi delle forme di intolleranza nella cultura giovanile contemporanea, in Bruni, F., Garavaglia, A., Petti, L. (ed.), Media Education in Italia. Oggetti e ambiti della formazione, FrancoAngeli, Milano 2019: <<MEDIA E TECNOLOGIE PER LA DIDATTICA>>, 124- 137 [http://hdl.handle.net/10807/136554]
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