Dare una trama, mettere ordine tra gli eventi sparsi nel caos della storia, oltre a essere il compito primario dello storico in quanto tale, è anche il fulcro del lavoro di chi ambisce a rappresentare il passato sotto forma di discorso narrativo, o comunque di chi approcciandosi a del materiale di archivio ne genera un racconto attraverso un’operazione di montaggio. È proprio questa esigenza di raccontare ciò che non si è ancora elaborato che spicca dal lavoro di due registi piuttosto paradigmatici nella loro diversità, come Claude Lanzmann e Edgar Reitz, che, pur utilizzando forme diverse di racconto storico, si pongono entrambi in netta controtendenza con l’immaginario audiovisivo sulla Shoah, costruito fino a quel momento. Il primo, autore del monumentale documentario Shoah (1985), decide di non utilizzare mai documenti audiovisivi di repertorio, intervistando “semplici” testimoni senza commenti o giudizi retorici; il secondo, invece, predilige la finzione, come nel caso della colossale opera di fiction Heimat (1984-2006) che rivisita le sorti della Germania nel Novecento attraverso le vicende di una umile famiglia contadina, anche lui senza utilizzare mai materiali di archivio. Focalizzandoci in particolare sull’opera del secondo, pare possibile intraprendere un ragionamento analitico circa la decisione di sfruttare o meno del materiale audiovisivo di archivio al fine di produrre un racconto storico.

Garofalo, D., Senza immagini. La presenza della Shoah in «Heimat» di Edgar Reitz, <<STORIOGRAFIA>>, 2011; (15): 35-42 [http://hdl.handle.net/10807/122355]

Senza immagini. La presenza della Shoah in «Heimat» di Edgar Reitz

Garofalo, Damiano
2012

Abstract

Dare una trama, mettere ordine tra gli eventi sparsi nel caos della storia, oltre a essere il compito primario dello storico in quanto tale, è anche il fulcro del lavoro di chi ambisce a rappresentare il passato sotto forma di discorso narrativo, o comunque di chi approcciandosi a del materiale di archivio ne genera un racconto attraverso un’operazione di montaggio. È proprio questa esigenza di raccontare ciò che non si è ancora elaborato che spicca dal lavoro di due registi piuttosto paradigmatici nella loro diversità, come Claude Lanzmann e Edgar Reitz, che, pur utilizzando forme diverse di racconto storico, si pongono entrambi in netta controtendenza con l’immaginario audiovisivo sulla Shoah, costruito fino a quel momento. Il primo, autore del monumentale documentario Shoah (1985), decide di non utilizzare mai documenti audiovisivi di repertorio, intervistando “semplici” testimoni senza commenti o giudizi retorici; il secondo, invece, predilige la finzione, come nel caso della colossale opera di fiction Heimat (1984-2006) che rivisita le sorti della Germania nel Novecento attraverso le vicende di una umile famiglia contadina, anche lui senza utilizzare mai materiali di archivio. Focalizzandoci in particolare sull’opera del secondo, pare possibile intraprendere un ragionamento analitico circa la decisione di sfruttare o meno del materiale audiovisivo di archivio al fine di produrre un racconto storico.
2012
Italiano
Garofalo, D., Senza immagini. La presenza della Shoah in «Heimat» di Edgar Reitz, <<STORIOGRAFIA>>, 2011; (15): 35-42 [http://hdl.handle.net/10807/122355]
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