Nell’ultimo decennio va affermandosi un crescente interesse verso la viticoltura di precisione (Tysseire et al. 2007). Questa tecnica si prefigge di quantificare la variabilità spaziale e temporale del vigneto al fine di adottare una gestione agronomica differenziata mediante l’immissione di input, come acqua e concimi, in modo proporzionato e calibrato rispetto alla reale necessità delle viti. È noto, infatti, come diverse zone viticole siano caratterizzate da variabilità intra-parcellare che, in prima battuta, si manifesta sotto forma di diverso vigore vegetativo e che è principalmente attribuibile a variazioni della caratteristiche fisico-chimiche del suolo. È importante aggiungere che scelte inadeguate relative alle operazioni preliminari all’impianto (scasso, spianamenti, drenaggio ecc.) alla forma di allevamento e alla gestione della chioma possono sicuramente influenzare o, addirittura, incrementare la variabilità attribuibile ai soli fattori naturali (Poni et al., 2013). La viticoltura di precisione si propone, dunque, non tanto come tardivo rimedio a una incauta gestione del vigneto, quanto come valido strumento per caratterizzare e gestire la variabilità attribuibile a cause di origine naturale (Bramley and Hamilton, 2004). Ad oggi, la viticoltura di precisione si basa soprattutto sull’utilizzo di immagini multispettrali da remote sensing, acquisite da satelliti e da velivoli con o senza pilota (Matese e Di Gennaro, 2015) sebbene, recentemente, siano stati brevettati nuovi dispositivi di proximal sensing, più flessibili nell’utilizzo, basati su sistemi ottici, scansioni laser, e acquisizioni a ultrasuoni (Wei e Salyani 2004, Llorens et al. 2011, Tagarakis et al. 2013, Nuske et al. 2014, Diago et al. 2016). Indipendentemente dalla tecnica utilizzata per acquisire le immagini, le operazioni di post-processing riportano i dati al calcolo di un indice di vegetazione. Tra questi, il più comune è l’NDVI (Normalized Difference Vegetation Index) basato sulla misurazione della riflettanza nelle bande del rosso (R) e del vicino infrarosso (NIR) che viene proposto come buon indicatore della biomassa fotosinteticamente attiva, la quale, a sua volta, è correlata con la dimensione (vigore) e con la funzionalità della chioma (stato di salute e/o stress) (Bramley 2010). L’NDVI, quando rappresentato graficamente, permette di mappare un appezzamento in funzione di diverse classi di vigore; in seguito, queste andranno calibrate a terra tramite indicatori fisiologici e agronomici quali, ad esempio, il numero di strati fogliari, la superfice fogliare e il peso del legno di potatura. La viticoltura occidentale dei Colli Piacentini insiste principalmente su due serie pedologiche note come Terre rosse antiche e Terre argillose della Val Tidone. Quest’ultima è caratterizzata da grande disformità nei terreni. Si riporta, infatti, la coesistenza dei suoli denominati “Vicobarone”, profondi, a tessitura argillosa e con elevato tenore di calcare, e dell’unità pedologica “Montalbo”, meno profonda, a tessitura argillo-limosa, con presenza di scheletro ghiaioso. Questa netta differenza nella composizione dei suoli si riflette in risposte vegeto-produttive eterogenee delle piante. In particolare, la presenza di aree a diversa vigoria entro lo stesso appezzamento determina inevitabilmente una maturazione difforme delle uve. Pertanto, la variabilità intra-parcellare potrebbe essere semplicemente “sfruttata” a fini produttivi realizzando una vendemmia selettiva in base alle classi di vigore oppure, in alternativa, essere “corretta”, ad esempio, utilizzando tecniche di fertilizzazione a rateo variabile, allo scopo di ridurla facendola convergere verso la classe di vigore ottimale. Sulla base di queste premesse, nel biennio 2012-2013, è stata condotta, nella zona della Val Tidone, una prova di viticoltura di precisione volta a: i) valutare se sussiste e, se sì, in quale misura, una variabilità intra-parcellare tale da influenzare le performance vegeto-produttive di viti di Barbera coltivate in un appezzamento di piccole dimensioni rappresentativo della variabilità geo-pedologica del comprensorio; ii) individuare quale sia il grado di correlazione esistente tra l’indice NDVI e i parametri vegetativi e produttivi misurati al suolo, senza tralasciare le eventuali implicazioni su stato sanitario e qualità delle uve alla vendemmia.

Gatti, M., Garavani, A., Squeri, C., Vercesi, A., Poni, S., Viticoltura di precisione: le mappe NDVI per fare qualità (prove nel Piacentino sul vitigno Barbera), <<L'INFORMATORE AGRARIO>>, 2017; (22): 35-40 [http://hdl.handle.net/10807/121999]

Viticoltura di precisione: le mappe NDVI per fare qualità (prove nel Piacentino sul vitigno Barbera)

Gatti, Matteo;Garavani, Alessandra;Squeri, Cecilia;Vercesi, Alberto;Poni, Stefano
2017

Abstract

Nell’ultimo decennio va affermandosi un crescente interesse verso la viticoltura di precisione (Tysseire et al. 2007). Questa tecnica si prefigge di quantificare la variabilità spaziale e temporale del vigneto al fine di adottare una gestione agronomica differenziata mediante l’immissione di input, come acqua e concimi, in modo proporzionato e calibrato rispetto alla reale necessità delle viti. È noto, infatti, come diverse zone viticole siano caratterizzate da variabilità intra-parcellare che, in prima battuta, si manifesta sotto forma di diverso vigore vegetativo e che è principalmente attribuibile a variazioni della caratteristiche fisico-chimiche del suolo. È importante aggiungere che scelte inadeguate relative alle operazioni preliminari all’impianto (scasso, spianamenti, drenaggio ecc.) alla forma di allevamento e alla gestione della chioma possono sicuramente influenzare o, addirittura, incrementare la variabilità attribuibile ai soli fattori naturali (Poni et al., 2013). La viticoltura di precisione si propone, dunque, non tanto come tardivo rimedio a una incauta gestione del vigneto, quanto come valido strumento per caratterizzare e gestire la variabilità attribuibile a cause di origine naturale (Bramley and Hamilton, 2004). Ad oggi, la viticoltura di precisione si basa soprattutto sull’utilizzo di immagini multispettrali da remote sensing, acquisite da satelliti e da velivoli con o senza pilota (Matese e Di Gennaro, 2015) sebbene, recentemente, siano stati brevettati nuovi dispositivi di proximal sensing, più flessibili nell’utilizzo, basati su sistemi ottici, scansioni laser, e acquisizioni a ultrasuoni (Wei e Salyani 2004, Llorens et al. 2011, Tagarakis et al. 2013, Nuske et al. 2014, Diago et al. 2016). Indipendentemente dalla tecnica utilizzata per acquisire le immagini, le operazioni di post-processing riportano i dati al calcolo di un indice di vegetazione. Tra questi, il più comune è l’NDVI (Normalized Difference Vegetation Index) basato sulla misurazione della riflettanza nelle bande del rosso (R) e del vicino infrarosso (NIR) che viene proposto come buon indicatore della biomassa fotosinteticamente attiva, la quale, a sua volta, è correlata con la dimensione (vigore) e con la funzionalità della chioma (stato di salute e/o stress) (Bramley 2010). L’NDVI, quando rappresentato graficamente, permette di mappare un appezzamento in funzione di diverse classi di vigore; in seguito, queste andranno calibrate a terra tramite indicatori fisiologici e agronomici quali, ad esempio, il numero di strati fogliari, la superfice fogliare e il peso del legno di potatura. La viticoltura occidentale dei Colli Piacentini insiste principalmente su due serie pedologiche note come Terre rosse antiche e Terre argillose della Val Tidone. Quest’ultima è caratterizzata da grande disformità nei terreni. Si riporta, infatti, la coesistenza dei suoli denominati “Vicobarone”, profondi, a tessitura argillosa e con elevato tenore di calcare, e dell’unità pedologica “Montalbo”, meno profonda, a tessitura argillo-limosa, con presenza di scheletro ghiaioso. Questa netta differenza nella composizione dei suoli si riflette in risposte vegeto-produttive eterogenee delle piante. In particolare, la presenza di aree a diversa vigoria entro lo stesso appezzamento determina inevitabilmente una maturazione difforme delle uve. Pertanto, la variabilità intra-parcellare potrebbe essere semplicemente “sfruttata” a fini produttivi realizzando una vendemmia selettiva in base alle classi di vigore oppure, in alternativa, essere “corretta”, ad esempio, utilizzando tecniche di fertilizzazione a rateo variabile, allo scopo di ridurla facendola convergere verso la classe di vigore ottimale. Sulla base di queste premesse, nel biennio 2012-2013, è stata condotta, nella zona della Val Tidone, una prova di viticoltura di precisione volta a: i) valutare se sussiste e, se sì, in quale misura, una variabilità intra-parcellare tale da influenzare le performance vegeto-produttive di viti di Barbera coltivate in un appezzamento di piccole dimensioni rappresentativo della variabilità geo-pedologica del comprensorio; ii) individuare quale sia il grado di correlazione esistente tra l’indice NDVI e i parametri vegetativi e produttivi misurati al suolo, senza tralasciare le eventuali implicazioni su stato sanitario e qualità delle uve alla vendemmia.
2017
Italiano
Gatti, M., Garavani, A., Squeri, C., Vercesi, A., Poni, S., Viticoltura di precisione: le mappe NDVI per fare qualità (prove nel Piacentino sul vitigno Barbera), <<L'INFORMATORE AGRARIO>>, 2017; (22): 35-40 [http://hdl.handle.net/10807/121999]
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