Le "Storie strane", ovvero il debutto letterario-filosofico di Soerensen, gridano la rottura con la tradizione del dopoguerra, perché hanno molto più in comune con il teatro contemporaneo di Samuel Beckett che con la letteratura proposta dalla pur sempre modernista rivista letteraria danese Heretica, edita e diretta dallo stesso Ole Wivel, alla quale collaborarono anche autori come Karen Blixen, Ole Sarvig e Paul La Cour. Perché sebbene anche gli “eretici” – un nome, un programma – polemizzassero contro il razionalismo, contro quel dominio dell’intelletto e della forma che avrebbe dominato la storia della cultura a partire dal Rinascimento, e spingessero a diffondere un’idea di linguaggio poetico simbolista alla Rilke, alla Stefan Georg, alla T.S. Eliot, Sørensen riesce a essere ancor più radicale scardinando il meccanismo classico della narrazione per finire nel paradossale, nell’assurdo, nell’“impensabile”. Eppure Sørensen, lo si è detto, è anche un pensatore, la cui voce può dirsi tanto cristallina quanto ambigua: “klar og tvetydig”, come l’autore, appassionato di mitologia, usava definire il verbo dell’oracolo di Delfi. E ugualmente chiare e ambigue sono anche le Storie strane, laddove “strane” suona come un eufemismo, se è vero che non si riesce a restare indifferenti dinanzi alla loro carica a dir poco destabilizzante. Destabilizzante è il linguaggio: con la prosa più chiara e più lineare, talvolta quasi naïf, vengono narrate le cose più improbabili e più spaventose (cfr. la novella Solo una ragazzata), quasi a voler dire che forma e materia non devono necessariamente essere simbiotiche, come una certa tradizione estetica ci ha insegnato.

Basso, I. M., Villy Sørensen. Prose quasi naive per spaventevoli intrecci di alienazione, <<ALIAS DOMENICA>>, 2017-11-16 [http://hdl.handle.net/10807/107161]

Villy Sørensen. Prose quasi naive per spaventevoli intrecci di alienazione

Basso, Ingrid Marina
2014

Abstract

Le "Storie strane", ovvero il debutto letterario-filosofico di Soerensen, gridano la rottura con la tradizione del dopoguerra, perché hanno molto più in comune con il teatro contemporaneo di Samuel Beckett che con la letteratura proposta dalla pur sempre modernista rivista letteraria danese Heretica, edita e diretta dallo stesso Ole Wivel, alla quale collaborarono anche autori come Karen Blixen, Ole Sarvig e Paul La Cour. Perché sebbene anche gli “eretici” – un nome, un programma – polemizzassero contro il razionalismo, contro quel dominio dell’intelletto e della forma che avrebbe dominato la storia della cultura a partire dal Rinascimento, e spingessero a diffondere un’idea di linguaggio poetico simbolista alla Rilke, alla Stefan Georg, alla T.S. Eliot, Sørensen riesce a essere ancor più radicale scardinando il meccanismo classico della narrazione per finire nel paradossale, nell’assurdo, nell’“impensabile”. Eppure Sørensen, lo si è detto, è anche un pensatore, la cui voce può dirsi tanto cristallina quanto ambigua: “klar og tvetydig”, come l’autore, appassionato di mitologia, usava definire il verbo dell’oracolo di Delfi. E ugualmente chiare e ambigue sono anche le Storie strane, laddove “strane” suona come un eufemismo, se è vero che non si riesce a restare indifferenti dinanzi alla loro carica a dir poco destabilizzante. Destabilizzante è il linguaggio: con la prosa più chiara e più lineare, talvolta quasi naïf, vengono narrate le cose più improbabili e più spaventose (cfr. la novella Solo una ragazzata), quasi a voler dire che forma e materia non devono necessariamente essere simbiotiche, come una certa tradizione estetica ci ha insegnato.
Italiano
16-nov-2017
Basso, I. M., Villy Sørensen. Prose quasi naive per spaventevoli intrecci di alienazione, <<ALIAS DOMENICA>>, 2017-11-16 [http://hdl.handle.net/10807/107161]
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