Una parte considerevole della storiografia contemporanea ha insistito a più riprese nel rimarcare la differenza di approccio tra Achille Ratti ed Eugenio Pacelli, attribuendo al papa di Desio, da una parte, una sempre più esplicita e consapevole volontà di denunciare pubblicamente il carattere anticristiano dei totalitarismi fascista e soprattutto nazista, e al suo segretario di Stato, dall’altra parte, una non minore determinazione nel perseguire il dialogo e la mediazione con quegli stessi regimi. A sostegno di questa lettura si è fatto riferimento in particolare ad alcuni episodi risalenti agli ultimi anni del pontificato rattiano, alla luce dei quali la divergenza tra gli indirizzi del papa e del suo segretario di Stato è parsa a molti evidente. Se quella di salvare almeno le apparenze nei rapporti con Berlino, per mantenere sempre aperta una possibilità di dialogo, fosse una preoccupazione moralmente legittima, è questione sulla quale è arduo esprimere un giudizio storicamente fondato. Un tale giudizio, infatti, dovrebbe tenere adeguatamente conto di quale fosse all’epoca la principale posta in gioco nelle relazioni bilaterali Santa Sede - Germania, ovvero la sopravvivenza in terra tedesca della Chiesa cattolica, messa duramente alla prova sul piano ideologico e culturale non meno che su quello istituzionale e organizzativo. Di certo, per quanti intendano accostarsi a un tema tanto affascinante e complesso, sembra necessario uno sforzo notevole di immedesimazione, che muova dal desiderio di comprendere le scelte compiute dai protagonisti di questa pagina di storia, prima che dall’ansia di condannarli o di assolverli.
Valvo, P. A. B., Il gioco delle parti. Alcune considerazioni sul rapporto Ratti - Pacelli, in Cajani, F. (ed.), Pio XI e il suo tempo. Atti del convegno Desio, 6 Febbraio 2016, Edizioni GR, Besana Brianza 2017: 367- 392 [http://hdl.handle.net/10807/98665]
Il gioco delle parti. Alcune considerazioni sul rapporto Ratti - Pacelli
Valvo, Paolo Antonio Benedetto
2017
Abstract
Una parte considerevole della storiografia contemporanea ha insistito a più riprese nel rimarcare la differenza di approccio tra Achille Ratti ed Eugenio Pacelli, attribuendo al papa di Desio, da una parte, una sempre più esplicita e consapevole volontà di denunciare pubblicamente il carattere anticristiano dei totalitarismi fascista e soprattutto nazista, e al suo segretario di Stato, dall’altra parte, una non minore determinazione nel perseguire il dialogo e la mediazione con quegli stessi regimi. A sostegno di questa lettura si è fatto riferimento in particolare ad alcuni episodi risalenti agli ultimi anni del pontificato rattiano, alla luce dei quali la divergenza tra gli indirizzi del papa e del suo segretario di Stato è parsa a molti evidente. Se quella di salvare almeno le apparenze nei rapporti con Berlino, per mantenere sempre aperta una possibilità di dialogo, fosse una preoccupazione moralmente legittima, è questione sulla quale è arduo esprimere un giudizio storicamente fondato. Un tale giudizio, infatti, dovrebbe tenere adeguatamente conto di quale fosse all’epoca la principale posta in gioco nelle relazioni bilaterali Santa Sede - Germania, ovvero la sopravvivenza in terra tedesca della Chiesa cattolica, messa duramente alla prova sul piano ideologico e culturale non meno che su quello istituzionale e organizzativo. Di certo, per quanti intendano accostarsi a un tema tanto affascinante e complesso, sembra necessario uno sforzo notevole di immedesimazione, che muova dal desiderio di comprendere le scelte compiute dai protagonisti di questa pagina di storia, prima che dall’ansia di condannarli o di assolverli.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.