Tra cinema e geografia esiste una forte affinità: l’uno e l’altra condividono – o hanno condiviso nel corso di oltre un secolo – un progetto di appropriazione intellettuale del globo. Cento anni fa Hermann Häfker (Kino und Erdkunde, 1914) inaugurava una riflessione sulle relazioni tra cinema e geografia discutendo la capacità del medium di fare della Terra “la nostra casa”, di offrire “una grande descrizione del mondo”, un’“autentica riproduzione della realtà”. Da allora, l’investigazione di queste relazioni, pur nell’enorme varietà degli interventi, ha in genere adottato i cultural studies come paradigma di riferimento, andando perciò a interrogare i punti di tangenza tra rappresentazione cinematografica e “immaginazione geografica” (Gregory 1994) da una prospettiva che ha privilegiato questioni estetiche, critiche, storiografiche, economiche e persino turistiche. Facendo tesoro di questi diversi contributi e facendo perno su nozioni come quelle di territorio, di spazio, di paesaggio, di mappa e di atlante, che fondano molti studi apparsi nell’ultimo decennio (pure in misura non marginale in Italia) vorremmo proporre una riflessione sulla “vocazione geografica” del cinema a partire da un’idea specifica di geografia come strategia di ordinamento del mondo – vale a dire come uno strumento di traduzione del mondo in una forma disciplinata, un dispositivo di elaborazione di spazi di visibilità costruita. Prendere in considerazione il potere geografico del dispositivo cinematografico significa interrogarsi sulla particolare geometria che il medium dispone tra soggetti e oggetti dello sguardo, cioè sul suo modo di conferire loro significato e valore. In quest’ottica la geografia non va più considerata semplicemente come la descrizione della superficie terrestre, ma come un modo di restituire il senso più profondo del mondo – cioè di quel complesso di relazioni sociali, economiche, culturali al cui interno si svolge la vita umana (Farinelli 2003). È in questa prospettiva che si può davvero considerare “geografico” anche il concetto di “mappatura cognitiva” proposto da Fredric Jameson, la cui pregnanza estetica e (geo)politica è certamente preziosa anche per i film studies. E una simile prospettiva permette anche di osservare l’adeguatezza dei più classici meccanismi cinematografici di rappresentazione, di narrazione del mondo, di costruzione di uno spazio diegetico abitabile
Avezzu', G., Fidotta, G. (eds.), Il mondo in forma disciplinata. Cinema, geografia e cultura visuale, <<CINERGIE>>, 2016; 2016: (10): 126 [http://hdl.handle.net/10807/94788]
Il mondo in forma disciplinata. Cinema, geografia e cultura visuale
Avezzu', Giorgio;
2016
Abstract
Tra cinema e geografia esiste una forte affinità: l’uno e l’altra condividono – o hanno condiviso nel corso di oltre un secolo – un progetto di appropriazione intellettuale del globo. Cento anni fa Hermann Häfker (Kino und Erdkunde, 1914) inaugurava una riflessione sulle relazioni tra cinema e geografia discutendo la capacità del medium di fare della Terra “la nostra casa”, di offrire “una grande descrizione del mondo”, un’“autentica riproduzione della realtà”. Da allora, l’investigazione di queste relazioni, pur nell’enorme varietà degli interventi, ha in genere adottato i cultural studies come paradigma di riferimento, andando perciò a interrogare i punti di tangenza tra rappresentazione cinematografica e “immaginazione geografica” (Gregory 1994) da una prospettiva che ha privilegiato questioni estetiche, critiche, storiografiche, economiche e persino turistiche. Facendo tesoro di questi diversi contributi e facendo perno su nozioni come quelle di territorio, di spazio, di paesaggio, di mappa e di atlante, che fondano molti studi apparsi nell’ultimo decennio (pure in misura non marginale in Italia) vorremmo proporre una riflessione sulla “vocazione geografica” del cinema a partire da un’idea specifica di geografia come strategia di ordinamento del mondo – vale a dire come uno strumento di traduzione del mondo in una forma disciplinata, un dispositivo di elaborazione di spazi di visibilità costruita. Prendere in considerazione il potere geografico del dispositivo cinematografico significa interrogarsi sulla particolare geometria che il medium dispone tra soggetti e oggetti dello sguardo, cioè sul suo modo di conferire loro significato e valore. In quest’ottica la geografia non va più considerata semplicemente come la descrizione della superficie terrestre, ma come un modo di restituire il senso più profondo del mondo – cioè di quel complesso di relazioni sociali, economiche, culturali al cui interno si svolge la vita umana (Farinelli 2003). È in questa prospettiva che si può davvero considerare “geografico” anche il concetto di “mappatura cognitiva” proposto da Fredric Jameson, la cui pregnanza estetica e (geo)politica è certamente preziosa anche per i film studies. E una simile prospettiva permette anche di osservare l’adeguatezza dei più classici meccanismi cinematografici di rappresentazione, di narrazione del mondo, di costruzione di uno spazio diegetico abitabileI documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.