L’ascesa del sedicente Stato Islamico (IS) nell’estate 2014 ha rappresentato un momento di eccezionale importanza per l’intera galassia jihadista che, solo pochi anni prima era stata descritta come prossima al collasso. La lotta al terrorismo guidata dagli Stati Uniti, l’uccisione di Osama bin Laden e i successi elettorali registrati dai movimenti dell’«islam politico» durante la prima fase delle primavere arabe erano stati letti, infatti, come segnali evidenti di un declino irreversibile del jihad armato globale incarnato da al-Qa‘ida e dai movimenti a essa vicini . E invece, nel giugno 2014, il mondo si è svegliato con la notizia che i militanti dello Stato Islamico in Iraq e al-Sham (ISIS) avevano conquistato Mosul, la seconda più importante città irachena dopo Baghdad. Nell'indifferenza che aveva circondato l’Iraq dopo il ritiro delle truppe statunitensi (2011) e fra le tortuosità della guerra civile siriana, le forze di al-Baghdadi erano riuscite a infiltrarsi in un’area che dal nord-ovest della Siria si estendeva senza soluzione di continuità all’est dell’Iraq e – dato ancor più rilevante – a gettare le fondamenta di quello «Stato Islamico» che sarebbe divenuto l’emblema della terza ondata jihadista descritta da Fawaz Gerges. Una realtà che, nei piani dei suoi fondatori, era destinata a divenire un modello e un indiscusso punto di riferimento per l’intera umma . Non importa quale prezzo questo avrebbe comportato e quali immani sofferenze avrebbe scatenato, così come irrilevante era considerata la netta opposizione espressa dalla stragrande maggioranza della comunità islamica o le accuse di neokharijismo mosse al movimento. A prescindere da queste considerazioni, però, è indubbio come le forze del Da‘ish abbiano alterato profondamente i fragili equilibri della regione mediorientale, mettendo in discussione l’esistenza stessa degli Stati sorti sulle ceneri dell’Impero ottomano alla fine della prima guerra mondiale e diffondendo un retaggio di odio e instabilità destinato a segnare l’area per decenni a venire. Un retaggio da cui l’Occidente è tutt’altro che immune, come i tragici attacchi di Parigi dimostrano, anche a causa del cospicuo numero di foreign fighters che sono andati a ingrossare le fila del sedicente Stato Islamico. Com'è possibile, però, che un movimento dato per spacciato solo nel 2010 sia riuscito, appena qualche anno dopo, ad affermarsi in maniera così eclatante in Siria e in Iraq, sfidando addirittura la supremazia di al-Qa‘ida sulla galassia islamista radicale? Chi sono questi estremisti che terrorizzano intere regioni e su quali basi poggia la loro ideologia? E – ancor più importante – la loro presa è così salda che dovremo abituarci all'esistenza dello «Stato Islamico» e a una completa e duratura ridefinizione degli equilibri su cui si è basato per quasi un secolo il Medio Oriente moderno?
Plebani, A., Origini ed evoluzione dell’autoproclamato «Stato Islamico», in Andrea Pleban, A. P. (ed.), Jihad e terrorismo. Da al-Qa‘ida a ISIS. Storia di un nemico che cambia, Mondadori, Milano 2016: 45- 61 [http://hdl.handle.net/10807/93169]
Origini ed evoluzione dell’autoproclamato «Stato Islamico»
Plebani, Andrea
2016
Abstract
L’ascesa del sedicente Stato Islamico (IS) nell’estate 2014 ha rappresentato un momento di eccezionale importanza per l’intera galassia jihadista che, solo pochi anni prima era stata descritta come prossima al collasso. La lotta al terrorismo guidata dagli Stati Uniti, l’uccisione di Osama bin Laden e i successi elettorali registrati dai movimenti dell’«islam politico» durante la prima fase delle primavere arabe erano stati letti, infatti, come segnali evidenti di un declino irreversibile del jihad armato globale incarnato da al-Qa‘ida e dai movimenti a essa vicini . E invece, nel giugno 2014, il mondo si è svegliato con la notizia che i militanti dello Stato Islamico in Iraq e al-Sham (ISIS) avevano conquistato Mosul, la seconda più importante città irachena dopo Baghdad. Nell'indifferenza che aveva circondato l’Iraq dopo il ritiro delle truppe statunitensi (2011) e fra le tortuosità della guerra civile siriana, le forze di al-Baghdadi erano riuscite a infiltrarsi in un’area che dal nord-ovest della Siria si estendeva senza soluzione di continuità all’est dell’Iraq e – dato ancor più rilevante – a gettare le fondamenta di quello «Stato Islamico» che sarebbe divenuto l’emblema della terza ondata jihadista descritta da Fawaz Gerges. Una realtà che, nei piani dei suoi fondatori, era destinata a divenire un modello e un indiscusso punto di riferimento per l’intera umma . Non importa quale prezzo questo avrebbe comportato e quali immani sofferenze avrebbe scatenato, così come irrilevante era considerata la netta opposizione espressa dalla stragrande maggioranza della comunità islamica o le accuse di neokharijismo mosse al movimento. A prescindere da queste considerazioni, però, è indubbio come le forze del Da‘ish abbiano alterato profondamente i fragili equilibri della regione mediorientale, mettendo in discussione l’esistenza stessa degli Stati sorti sulle ceneri dell’Impero ottomano alla fine della prima guerra mondiale e diffondendo un retaggio di odio e instabilità destinato a segnare l’area per decenni a venire. Un retaggio da cui l’Occidente è tutt’altro che immune, come i tragici attacchi di Parigi dimostrano, anche a causa del cospicuo numero di foreign fighters che sono andati a ingrossare le fila del sedicente Stato Islamico. Com'è possibile, però, che un movimento dato per spacciato solo nel 2010 sia riuscito, appena qualche anno dopo, ad affermarsi in maniera così eclatante in Siria e in Iraq, sfidando addirittura la supremazia di al-Qa‘ida sulla galassia islamista radicale? Chi sono questi estremisti che terrorizzano intere regioni e su quali basi poggia la loro ideologia? E – ancor più importante – la loro presa è così salda che dovremo abituarci all'esistenza dello «Stato Islamico» e a una completa e duratura ridefinizione degli equilibri su cui si è basato per quasi un secolo il Medio Oriente moderno?I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.