Il Lago Maggiore, i paesini lungo le sponde o arroccati sulle montagne, le valli e le strade che si perdono verso l’interno, le ville, gli alberghetti, i bar, le bische e i tavoli da biliardo sono lo sfondo prediletto della produzione narrativa di Piero Chiara, nato a Luino nel 1913. La posizione del lago, diviso fra due regioni e due stati, lo rendono un luogo ideale, di passaggio, di frontiera e di intersezione, dove l’autore raccoglie, con spirito salace e al tempo stesso nostalgico, le storie di chi fugge e di chi parte in cerca di una vita migliore, di chi resta o di chi ritorna vittorioso o sconfitto. Storie di guerra, racconti di viaggi e avventure nei paesi d’oltralpe, piccole storie di amore e di adulteri si incontrano e si scambiano fra gli avventori del bar Clerici, interrompono la routine di quei giorni umidi e tutti uguali, e poi svaniscono nella foschia autunnale. La stanza del vescovo, pubblicato nel 1976, è un romanzo che gioca sull’ambiguità retorica, passando dai toni comici a quelli grotteschi e infine drammatici del noir e nel quale, per la prima volta, l’autore si mette in scena. Nel primo dopoguerra, i personaggi e le loro storie si intersecano casualmente, assumono funzioni che cambiano imprevedibilmente sotto gli occhi del lettore, e mancano apparentemente di una progettualità e di un senso unico e coerente nell’economia degli eventi. Il narratore inizia la storia nell’intraprendere un viaggio sul lago, un viaggio senza meta e senza scopo che tuttavia porterà al compimento del racconto, alla rivelazione di un piano e di un coerente progetto che, seppur inizialmente nascosto e sconosciuto anche alla voce narrante, fin dagli inizi lo aveva sostenuto. Questo viaggio segue il delinearsi del processo creativo dell’autore, quel manifestarsi casuale della vita nella mente del narratore, che raccoglie le esperienze esterne, che collega i fatti e le persone e le loro storie, che cerca di dare loro un senso, se non universale, almeno utile al compimento del racconto e alla conclusione del viaggio. Il tema metanarrativo ne La stanza del vescovo è dunque centrale, espresso dalla metafora del viaggio attraverso il lago e dalla chiara funzione metanarrativa dei due personaggi principali: il narratore da una parte e il suo antagonista, Temistocle Mario Orimbelli, dall’altra, ovvero il racconto stesso che fin dalle prime pagine cattura il narratore e gli fa gettare l’ancora in un nuovo porto.
Belloni, L., Da una all'altra del Lago Maggiore: autobiografismo, identità e scrittura ne La Stanza del Vescovo di Piero Chiara, in Kuon, P. (ed.), Narrarsi per ritrovarsi. Pratiche autobiografiche nelle esperienze di migrazione, esilio, deportazione, Franco Cesati Editore, Firenze 2016: <<CIVILTÀ ITALIANA. NUOVA SERIE>>, 161- 170 [http://hdl.handle.net/10807/90691]
Da una all'altra del Lago Maggiore: autobiografismo, identità e scrittura ne La Stanza del Vescovo di Piero Chiara
Belloni, Laura
2016
Abstract
Il Lago Maggiore, i paesini lungo le sponde o arroccati sulle montagne, le valli e le strade che si perdono verso l’interno, le ville, gli alberghetti, i bar, le bische e i tavoli da biliardo sono lo sfondo prediletto della produzione narrativa di Piero Chiara, nato a Luino nel 1913. La posizione del lago, diviso fra due regioni e due stati, lo rendono un luogo ideale, di passaggio, di frontiera e di intersezione, dove l’autore raccoglie, con spirito salace e al tempo stesso nostalgico, le storie di chi fugge e di chi parte in cerca di una vita migliore, di chi resta o di chi ritorna vittorioso o sconfitto. Storie di guerra, racconti di viaggi e avventure nei paesi d’oltralpe, piccole storie di amore e di adulteri si incontrano e si scambiano fra gli avventori del bar Clerici, interrompono la routine di quei giorni umidi e tutti uguali, e poi svaniscono nella foschia autunnale. La stanza del vescovo, pubblicato nel 1976, è un romanzo che gioca sull’ambiguità retorica, passando dai toni comici a quelli grotteschi e infine drammatici del noir e nel quale, per la prima volta, l’autore si mette in scena. Nel primo dopoguerra, i personaggi e le loro storie si intersecano casualmente, assumono funzioni che cambiano imprevedibilmente sotto gli occhi del lettore, e mancano apparentemente di una progettualità e di un senso unico e coerente nell’economia degli eventi. Il narratore inizia la storia nell’intraprendere un viaggio sul lago, un viaggio senza meta e senza scopo che tuttavia porterà al compimento del racconto, alla rivelazione di un piano e di un coerente progetto che, seppur inizialmente nascosto e sconosciuto anche alla voce narrante, fin dagli inizi lo aveva sostenuto. Questo viaggio segue il delinearsi del processo creativo dell’autore, quel manifestarsi casuale della vita nella mente del narratore, che raccoglie le esperienze esterne, che collega i fatti e le persone e le loro storie, che cerca di dare loro un senso, se non universale, almeno utile al compimento del racconto e alla conclusione del viaggio. Il tema metanarrativo ne La stanza del vescovo è dunque centrale, espresso dalla metafora del viaggio attraverso il lago e dalla chiara funzione metanarrativa dei due personaggi principali: il narratore da una parte e il suo antagonista, Temistocle Mario Orimbelli, dall’altra, ovvero il racconto stesso che fin dalle prime pagine cattura il narratore e gli fa gettare l’ancora in un nuovo porto.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.