L’indagine affronta il tema dell’imputabilità penale, che il Codice Rocco del 1930 all’art. 85 esprime con la formula della capacità di intendere e di volere, quale maturità psico-fisica normalmente presente nella persona adulta, che implica possibilità di discernimento e di scelta fra i molteplici motivi che sovraintendono di volta in volta all’agire umano. La definizione di imputabilità contenuta nell’art. 85 c.p., tuttavia, può essere intesa pienamente soltanto attraverso il riferimento alle cause che valgono ad escluderla oppure a diminuirla. Tra di esse, lo studio dedica speciale attenzione al vizio di mente, totale o parziale, secondo il diverso grado di incidenza del disturbo sulla psiche del soggetto agente. Il tema della malattia mentale è illustrato attraverso il richiamo del profondo ed articolato processo evolutivo che lo stesso ha attraversato ad opera della scienza psicopatologica, a partire dalla nozione tradizionale offerta dal c.d. paradigma medico e successivamente da quello psicologico, fino all’elaborazione dei più recenti paradigmi scientifici quali quelli diagnostico-sintomatologico e quello delle neuroscienze. Sul piano dell’accertamento in concreto, lo studio evidenzia come la natura dei disturbi psichici e la loro influenza sulle capacità intellettive e volitive del soggetto abbiano reso più problematica la collaborazione tra giudice ed esperto. Da un lato, la perizia psicopatologica, che rappresenta un insostituibile strumento di ausilio tecnico qualificato per il giudice, è al centro di un acceso dibattito fra gli psichiatri forensi circa i requisiti scientifici che ne determinano l’affidabilità. Il giudice, dall’altro lato, non può delegare al perito psichiatra la decisione sull’imputabilità, affidandosi acriticamente alle sue conclusioni, ma neppure può essere costretto a verificare nel merito la validità scientifica dei criteri e dei metodi di indagine utilizzati dal perito. L’indicazione di carattere metodologico che l’A. propone all’esito della propria indagine è quella per cui i giudici acquisiscano progressivamente la capacità di diventare “consumatori critici” della scienza esistente, avvalendosi del proprio potere discrezionale di valutazione delle prove, per arrivare ad una decisione “oltre il ragionevole dubbio”.
Bertolino, M., Elementi di neuropsicologia forense. Sezione II. Profili penali sostanzialistici, in Vallar Giusepp, V. G., Papagno Costanz, P. C. (ed.), Manuale di neuropsicologia, Il Mulino, Bologna 2011: 432- 443 [http://hdl.handle.net/10807/8205]
Elementi di neuropsicologia forense. Sezione II. Profili penali sostanzialistici
Bertolino, Marta
2011
Abstract
L’indagine affronta il tema dell’imputabilità penale, che il Codice Rocco del 1930 all’art. 85 esprime con la formula della capacità di intendere e di volere, quale maturità psico-fisica normalmente presente nella persona adulta, che implica possibilità di discernimento e di scelta fra i molteplici motivi che sovraintendono di volta in volta all’agire umano. La definizione di imputabilità contenuta nell’art. 85 c.p., tuttavia, può essere intesa pienamente soltanto attraverso il riferimento alle cause che valgono ad escluderla oppure a diminuirla. Tra di esse, lo studio dedica speciale attenzione al vizio di mente, totale o parziale, secondo il diverso grado di incidenza del disturbo sulla psiche del soggetto agente. Il tema della malattia mentale è illustrato attraverso il richiamo del profondo ed articolato processo evolutivo che lo stesso ha attraversato ad opera della scienza psicopatologica, a partire dalla nozione tradizionale offerta dal c.d. paradigma medico e successivamente da quello psicologico, fino all’elaborazione dei più recenti paradigmi scientifici quali quelli diagnostico-sintomatologico e quello delle neuroscienze. Sul piano dell’accertamento in concreto, lo studio evidenzia come la natura dei disturbi psichici e la loro influenza sulle capacità intellettive e volitive del soggetto abbiano reso più problematica la collaborazione tra giudice ed esperto. Da un lato, la perizia psicopatologica, che rappresenta un insostituibile strumento di ausilio tecnico qualificato per il giudice, è al centro di un acceso dibattito fra gli psichiatri forensi circa i requisiti scientifici che ne determinano l’affidabilità. Il giudice, dall’altro lato, non può delegare al perito psichiatra la decisione sull’imputabilità, affidandosi acriticamente alle sue conclusioni, ma neppure può essere costretto a verificare nel merito la validità scientifica dei criteri e dei metodi di indagine utilizzati dal perito. L’indicazione di carattere metodologico che l’A. propone all’esito della propria indagine è quella per cui i giudici acquisiscano progressivamente la capacità di diventare “consumatori critici” della scienza esistente, avvalendosi del proprio potere discrezionale di valutazione delle prove, per arrivare ad una decisione “oltre il ragionevole dubbio”.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.