La famiglia italiana è stata travolta da numerosi e profondi cambiamenti che ne mettono in luce contestualmente la resilienza, la capacità, cioè, pur modificandosi, di fare fronte a compiti e sfide che le sono proprie. Le generazioni continuano a prendersi cura le une delle altre, come i dati sugli scambi nella rete primaria ed informale mostrano, a livello italiano ed europeo. Il tema della cura rappresenta il codice simbolico che guida la relazione familiare: esso può esprimersi, senza esaurirsi, nel comportamento di aiuto, ma non si attiva solo in caso di pericolo. Prendersi cura di qualcuno significa innanzitutto garantire la possibilità del legame attraverso la presa in carico dei bisogni dell’altro, significa, cioè, realizzare una relazione sociale donativa. Come mostrano le ricerche nei sistemi di welfare avanzati, gli scambi interni ed esterni alla famiglia aumentano quanto più esiste una relazione sinergica tra i diversi attori sociali. L’ambiente domestico ha sempre svolto un ruolo fondamentale nella cura. In Occidente, il concetto di «domicilio» si è sviluppato sulla base del riconoscimento della casa come «luogo sociale». La casa è un luogo primigenio, una sorta di magna mater, in cui si sono ricevuti i primi alimenti, anche psicologici, la prima educazione e i primi strumenti per affrontare le difficoltà dell’esistenza. La casa è per antonomasia il luogo della sicurezza fisica e sociale. A partire dagli anni ’80 del secolo scorso, anche in seguito all’incremento della popolazione anziana e alla diffusione di malattie croniche, si è assistito a un recupero del valore e della cultura della domiciliarità attraverso l’attuazione di programmi di domiciliarizzazione delle cure. La possibilità di permanere all’interno di un contesto significativo per l’esistenza promuove la diffusione di benessere, inteso non solo come salute fisica, ma come un complesso sistemico di elementi che riguardano la persona e le relazioni con il suo ambiente. In questo senso, attraverso il riconoscimento del diritto di scelta, la domiciliarità restituisce all’individuo la sua dignità. Eppure la domiciliarità non è esente da rischi: Il maggiore è che lo spazio abitativo e familiare si trasformi in chiusura e auto-referenzialità, conducendo verso un progressivo isolamento nella casa. Pertanto i servizi/programmi domus oriented che si focalizzano sulla casa, devono misurarsi con nuovi criteri e, precisamente la familiarizzazione, la personalizzazione e la co-produzione che consentono oggi di promuovere interventi più attenti alle nuove esigenze delle persone fragili, in una prospettiva di maggior benessere personale e relazionale
Bramanti, D., Pavesi, N., Dare e ricevere cura in famiglia, il caso dei progetti di Home Care: alcuni dati italiani ed europei, in Bramanti, D. (ed.), Percorsi innovativi di assistenza domiciliare. Il progetto nazionale home care premium, Erickson, Trento 2015: 15- 42 [http://hdl.handle.net/10807/67360]
Dare e ricevere cura in famiglia, il caso dei progetti di Home Care: alcuni dati italiani ed europei
Bramanti, Donatella;Pavesi, Nicoletta
2015
Abstract
La famiglia italiana è stata travolta da numerosi e profondi cambiamenti che ne mettono in luce contestualmente la resilienza, la capacità, cioè, pur modificandosi, di fare fronte a compiti e sfide che le sono proprie. Le generazioni continuano a prendersi cura le une delle altre, come i dati sugli scambi nella rete primaria ed informale mostrano, a livello italiano ed europeo. Il tema della cura rappresenta il codice simbolico che guida la relazione familiare: esso può esprimersi, senza esaurirsi, nel comportamento di aiuto, ma non si attiva solo in caso di pericolo. Prendersi cura di qualcuno significa innanzitutto garantire la possibilità del legame attraverso la presa in carico dei bisogni dell’altro, significa, cioè, realizzare una relazione sociale donativa. Come mostrano le ricerche nei sistemi di welfare avanzati, gli scambi interni ed esterni alla famiglia aumentano quanto più esiste una relazione sinergica tra i diversi attori sociali. L’ambiente domestico ha sempre svolto un ruolo fondamentale nella cura. In Occidente, il concetto di «domicilio» si è sviluppato sulla base del riconoscimento della casa come «luogo sociale». La casa è un luogo primigenio, una sorta di magna mater, in cui si sono ricevuti i primi alimenti, anche psicologici, la prima educazione e i primi strumenti per affrontare le difficoltà dell’esistenza. La casa è per antonomasia il luogo della sicurezza fisica e sociale. A partire dagli anni ’80 del secolo scorso, anche in seguito all’incremento della popolazione anziana e alla diffusione di malattie croniche, si è assistito a un recupero del valore e della cultura della domiciliarità attraverso l’attuazione di programmi di domiciliarizzazione delle cure. La possibilità di permanere all’interno di un contesto significativo per l’esistenza promuove la diffusione di benessere, inteso non solo come salute fisica, ma come un complesso sistemico di elementi che riguardano la persona e le relazioni con il suo ambiente. In questo senso, attraverso il riconoscimento del diritto di scelta, la domiciliarità restituisce all’individuo la sua dignità. Eppure la domiciliarità non è esente da rischi: Il maggiore è che lo spazio abitativo e familiare si trasformi in chiusura e auto-referenzialità, conducendo verso un progressivo isolamento nella casa. Pertanto i servizi/programmi domus oriented che si focalizzano sulla casa, devono misurarsi con nuovi criteri e, precisamente la familiarizzazione, la personalizzazione e la co-produzione che consentono oggi di promuovere interventi più attenti alle nuove esigenze delle persone fragili, in una prospettiva di maggior benessere personale e relazionaleI documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.