Nel corso del Risorgimento, nell’opinione pubblica italiana, si formano attese consistenti intorno alla possibilità, per il nuovo Stato nazionale, di ritagliarsi una sfera d’influenza nell’Adriatico e nelle provincie balcaniche che su questo si affacciano. In modo ancora poco chiaro, le memorie dell’eredità latina e veneziana si fondono in questa visione che, sovente, assume la forma di una proiezione ‘a braccio lungo’ delle attese che riguardano i territori orientali della Penisola, ancora posti sotto il domino austriaco. Gli esiti deludenti della terza guerra d’indipendenza (1866) e l’accettazione della linea dello Iudrio come confine con l’Impero asburgico (austro-ungarico dal 1867), non pongono fine a queste attese, che nella seconda metà degli anni Settanta, si sarebbero coagulate nel complesso e multiforme fenomeno dell’irredentismo. Con la ‘cesura del 1866’ e in modo sempre più chiaro negli anni successivi, con la progressiva scomparsa dalla scena dei protagonisti del ‘Risorgimento storico’ e la ‘trasfigurazione mitica’ dei suoi avvenimenti, tuttavia, un solco sempre più profondo sarebbe emerso fra le posizioni dell’opinione pubblica e quelle della classe dirigente nazionale. La stipula, il 20 maggio 1882, della Triplice Alleanza con la Germania e l’Austria-Ungheria rappresenta il punto massimo di questo ‘scollamento’. Fortemente voluta dal Presidente del Consiglio, Francesco Crispi, e dalla fazione filo-tedesca a questi legata, la ‘Triplice’ nasce come una sorta di scelta obbligata a fronte dell’isolamento in cui il Regno si era venuto a trovare dopo il deterioramento delle relazioni con la Francia che aveva caratterizzato il decennio precedente e che era culminato nella crisi diplomatica seguita all’occupazione di Roma. Con il trascorrere degli anni (e il susseguirsi dei rinnovi), tuttavia, l’Alleanza aveva finito con il trasformarsi da strumento di portata, tutto sommato, limitata, nel vero e proprio perno dell’azione internazionale del Paese, contribuendo, pur nell’alternanza dei governi, a strutturare le sue scelte non solo sullo scacchiere europeo, ma sempre più chiaramente anche su quello coloniale. In questo senso, il progressivo abbandono della direttrice adriatica in favore dell’espansione in Africa e nel Mediterraneo costituisce un prodotto della Triplice e dei vincoli che la politica triplicista imponeva alle funzioni di scelta del Paese e delle sue élite. La fine della ‘centralità triplicista’ è il prodotto congiunto dell’evoluzione della vita pubblica italiana dopo la fine del ‘sistema crispino (1° marzo 1896) e delle trasformazioni della scena internazionale dopo la crisi di quello bismarckiano. La ‘cittadinanza politica’ riacquisita da un irredentismo sempre più aggressivo è solo l’aspetto più evidente dei cambiamenti che essa innesca. Parallelamente, l’azione del Paese mira a ritrovare – nella c.d. ‘politica dei giri di valzer’ – nuovi spazi di manovra. Il riavvicinamento alla Francia sancito dagli accordi Visconti Venosta-Barrère (1900) e Prinetti-Barrère (1902), se da una parte risponde a interessi di tipo coloniale, dall’altra spiana la strada a un depotenziamento del valore e della portata della Triplice e a un avvicinamento alla Russia, con cui un punto di convergenza sarà trovato – non a caso – sulle questioni balcaniche. Il trattato di Racconigi (1911) non rappresenta la fine delle oscillazioni della politica estera italiana. Esso, tuttavia, pone per la prima volta in modo chiaro le ambizioni del Paese in una prospettiva chiaramente antagonista rispetto a Vienna, come le vicende dell’agosto 1914/aprile 1915 avrebbero dimostrato.

Pastori, G., Dal trattato di Racconigi al Patto di Londra: Le ambizioni balcaniche dell'Italia e l’Austria-Ungheria, in Nemeth, G., Papo, A., Pastori, G. (ed.), La via della guerra. Eserciti e fortificazioni alla vigilia della Grande Guerra, Luglio, San Dorligo della Valle 2014: 28- 44 [http://hdl.handle.net/10807/62843]

Dal trattato di Racconigi al Patto di Londra: Le ambizioni balcaniche dell'Italia e l’Austria-Ungheria

Pastori, Gianluca
2014

Abstract

Nel corso del Risorgimento, nell’opinione pubblica italiana, si formano attese consistenti intorno alla possibilità, per il nuovo Stato nazionale, di ritagliarsi una sfera d’influenza nell’Adriatico e nelle provincie balcaniche che su questo si affacciano. In modo ancora poco chiaro, le memorie dell’eredità latina e veneziana si fondono in questa visione che, sovente, assume la forma di una proiezione ‘a braccio lungo’ delle attese che riguardano i territori orientali della Penisola, ancora posti sotto il domino austriaco. Gli esiti deludenti della terza guerra d’indipendenza (1866) e l’accettazione della linea dello Iudrio come confine con l’Impero asburgico (austro-ungarico dal 1867), non pongono fine a queste attese, che nella seconda metà degli anni Settanta, si sarebbero coagulate nel complesso e multiforme fenomeno dell’irredentismo. Con la ‘cesura del 1866’ e in modo sempre più chiaro negli anni successivi, con la progressiva scomparsa dalla scena dei protagonisti del ‘Risorgimento storico’ e la ‘trasfigurazione mitica’ dei suoi avvenimenti, tuttavia, un solco sempre più profondo sarebbe emerso fra le posizioni dell’opinione pubblica e quelle della classe dirigente nazionale. La stipula, il 20 maggio 1882, della Triplice Alleanza con la Germania e l’Austria-Ungheria rappresenta il punto massimo di questo ‘scollamento’. Fortemente voluta dal Presidente del Consiglio, Francesco Crispi, e dalla fazione filo-tedesca a questi legata, la ‘Triplice’ nasce come una sorta di scelta obbligata a fronte dell’isolamento in cui il Regno si era venuto a trovare dopo il deterioramento delle relazioni con la Francia che aveva caratterizzato il decennio precedente e che era culminato nella crisi diplomatica seguita all’occupazione di Roma. Con il trascorrere degli anni (e il susseguirsi dei rinnovi), tuttavia, l’Alleanza aveva finito con il trasformarsi da strumento di portata, tutto sommato, limitata, nel vero e proprio perno dell’azione internazionale del Paese, contribuendo, pur nell’alternanza dei governi, a strutturare le sue scelte non solo sullo scacchiere europeo, ma sempre più chiaramente anche su quello coloniale. In questo senso, il progressivo abbandono della direttrice adriatica in favore dell’espansione in Africa e nel Mediterraneo costituisce un prodotto della Triplice e dei vincoli che la politica triplicista imponeva alle funzioni di scelta del Paese e delle sue élite. La fine della ‘centralità triplicista’ è il prodotto congiunto dell’evoluzione della vita pubblica italiana dopo la fine del ‘sistema crispino (1° marzo 1896) e delle trasformazioni della scena internazionale dopo la crisi di quello bismarckiano. La ‘cittadinanza politica’ riacquisita da un irredentismo sempre più aggressivo è solo l’aspetto più evidente dei cambiamenti che essa innesca. Parallelamente, l’azione del Paese mira a ritrovare – nella c.d. ‘politica dei giri di valzer’ – nuovi spazi di manovra. Il riavvicinamento alla Francia sancito dagli accordi Visconti Venosta-Barrère (1900) e Prinetti-Barrère (1902), se da una parte risponde a interessi di tipo coloniale, dall’altra spiana la strada a un depotenziamento del valore e della portata della Triplice e a un avvicinamento alla Russia, con cui un punto di convergenza sarà trovato – non a caso – sulle questioni balcaniche. Il trattato di Racconigi (1911) non rappresenta la fine delle oscillazioni della politica estera italiana. Esso, tuttavia, pone per la prima volta in modo chiaro le ambizioni del Paese in una prospettiva chiaramente antagonista rispetto a Vienna, come le vicende dell’agosto 1914/aprile 1915 avrebbero dimostrato.
2014
Italiano
La via della guerra. Eserciti e fortificazioni alla vigilia della Grande Guerra
9788868030872
Pastori, G., Dal trattato di Racconigi al Patto di Londra: Le ambizioni balcaniche dell'Italia e l’Austria-Ungheria, in Nemeth, G., Papo, A., Pastori, G. (ed.), La via della guerra. Eserciti e fortificazioni alla vigilia della Grande Guerra, Luglio, San Dorligo della Valle 2014: 28- 44 [http://hdl.handle.net/10807/62843]
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