La sofferenza del minore che non può restare nella sua famiglia è conosciuta da tempo e si è cercato di affrontarla ragionando su come possano essere ridisegnati dei luoghi adatti in cui crescere, quando non è possibile stare con i propri genitori. Si è rischiato però di lasciar sfumare la consapevolezza che, anche riuscendo a chiudere gli istituti e a collocare il minore in affido o in comunità, l’allontanamento genera comunque sofferenza. Tale sofferenza riguarda i familiari (genitori, fratelli, ecc.), che si trovano a dover sospendere la loro vita quotidiana con il minore, e il minore stesso, sia rispetto alle prospettive di riunificazione alla famiglia, sia anche quando fin dall’inizio dell’affido non sia realistico pensare a un rientro, se non nel lungo periodo. Infatti, è soprattutto nei casi in cui sembra ci siano poche possibilità che il figlio ritorni a casa che è importante chiedersi come fare in modo che i genitori non si scoraggino e chiudano ogni contatto. Quando l’approccio degli operatori è quello della partecipazione e della collaborazione il più possibile paritaria (pur all’interno dei confini tracciati dall’eventuale provvedimento giudiziario), allora si può creare un contesto adatto ad ascoltare, ad accogliere le sofferenze e la rabbia dei familiari, a prendere rispettosamente sul serio ogni aspettativa, a ragionarci sopra e a cercare assieme il modo di soddisfarla, o almeno di avvicinarvisi, se appena possibile.
Raineri, M. L., Prefazione, in Calcaterra, V., L’affido partecipato. Come coinvolgere la famiglia d’origine, Erickson, Trento 2014: 7-20 [http://hdl.handle.net/10807/61981]
Prefazione
Raineri, Maria Luisa
2014
Abstract
La sofferenza del minore che non può restare nella sua famiglia è conosciuta da tempo e si è cercato di affrontarla ragionando su come possano essere ridisegnati dei luoghi adatti in cui crescere, quando non è possibile stare con i propri genitori. Si è rischiato però di lasciar sfumare la consapevolezza che, anche riuscendo a chiudere gli istituti e a collocare il minore in affido o in comunità, l’allontanamento genera comunque sofferenza. Tale sofferenza riguarda i familiari (genitori, fratelli, ecc.), che si trovano a dover sospendere la loro vita quotidiana con il minore, e il minore stesso, sia rispetto alle prospettive di riunificazione alla famiglia, sia anche quando fin dall’inizio dell’affido non sia realistico pensare a un rientro, se non nel lungo periodo. Infatti, è soprattutto nei casi in cui sembra ci siano poche possibilità che il figlio ritorni a casa che è importante chiedersi come fare in modo che i genitori non si scoraggino e chiudano ogni contatto. Quando l’approccio degli operatori è quello della partecipazione e della collaborazione il più possibile paritaria (pur all’interno dei confini tracciati dall’eventuale provvedimento giudiziario), allora si può creare un contesto adatto ad ascoltare, ad accogliere le sofferenze e la rabbia dei familiari, a prendere rispettosamente sul serio ogni aspettativa, a ragionarci sopra e a cercare assieme il modo di soddisfarla, o almeno di avvicinarvisi, se appena possibile.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.