Un confronto di alcuni casi giurisprudenziali e riferimenti legislativi nazionali ed internazionali, in tema di tecnologie riproduttive/famiglia, mette in luce un implicito relativismo etico-giuridico che condiziona la soluzione delle singole fattispecie: il “desiderio” di avere un figlio sembra fungere da “trascendentale”, fondamento di ogni realtà lecita e da “intessitore” di una “nuova rete” del diritto di famiglia le cui “maglie” sono ora “dilatate”, ora “ristrette” (modelli monoparentali), conformemente ad una disciplina che non offre un’unica risposta, ma tende a modularla in relazione alle parti coinvolte. Potrebbe emergere, dunque, il dubbio di poter prescindere dall’idea di unico modello familiare con cui confrontare la prassi, per promuovere, invece, un diritto aperto a varie forme di strutture familiari che siano rispettose degli interessi del nascituro, posto che sarebbe da dimostrare che il modello di famiglia “tradizionale” (stabile, bigenitoriale ed eterosessuale) sia da preferire a quello monogenitoriale o omosessuale. In tale, contesto, il saggio, servendosi dei contributi della psicologia, si propone di affrontare la rilevanza della differenza sessuale per il diritto considerando come se da una parte è vero che non esiste una correlazione diretta tra la doppia presenza eterosessuale dei genitori e la loro attitudine educativa; dall’altra, bisogna ammettere che ciò che è in gioco è molto più di alcune attitudini soggettive: si tratta di riconoscere il carattere imprenscindibile di strutture relazionali costitutive della differenza sessuale, strutture relazionali determinate dall’eterosessuazione (il “sessuato” rimanda al maschile e al femminile) e dall’eterosessualità dei genitori (il “sessuale” rimanda a un comportamento, la sessualità). In questo senso, la famiglia bigenitoriale ed eterosessuale costituisce «il luogo generativo e rigenerativo fondamentale della differenza sessuale» e, dunque, anche il luogo costitutivo di quel codice simbolico duale su cui si fonda il pensiero umano e la relazione di piena reciprocità intersoggettiva. Al diritto compete l’onere di mediare tra quanto è tecnicamente possibile e quanto è giuridicamente lecito, valutando la consistenza delle situazioni soggettive in conflitto mediante un’analisi del loro contenuto relazionale. Nel momento in cui, come si è mostrato, vengono a mancare le condizioni per uno sviluppo integro dell’identità del nascituro la conseguenza rilevante. Ad un esame attento del problema emerge come l’erosione della famiglia tradizionale appare come un aspetto di un più ampio fenomeno, proposto dai gender studies, corrispondente allo “sganciamento” della natura dalla cultura, del corpo dalla mente, della differenza sessuale dal “genere” e corrispondente, dunque, all’erosione del concetto stesso d’identità personale. L’ “ossessiva pretesa di rifiutare qualsiasi limite, qualsiasi cosa sia altro da sé” – il rifiuto dell’alterità del corpo, del genere e del generare – «nasconde una forma sottile di nichilismo. E’ un nichilismo psicoanalitico, la dissoluzione narcisistica di tutto ciò che non sia riconducibile all’io, che tende a divenire nichilismo giuridico, quando i diritti dell’uomo sembrano costruiti in funzione di questo potenziamento illimitato della volontà» (AMATO S., “Biogiurisprudenza. Dal mercato genetico al self-service normativo”, Giappichelli, Torino, 2006, pp. 153-4).
Cristofari, F., Diritto e differenza sessuale, Ideología de género, Martha Miranda y Dolores López, Madrid 2011: 15-33 [http://hdl.handle.net/10807/55961]
Diritto e differenza sessuale
Cristofari, Fabiana
2011
Abstract
Un confronto di alcuni casi giurisprudenziali e riferimenti legislativi nazionali ed internazionali, in tema di tecnologie riproduttive/famiglia, mette in luce un implicito relativismo etico-giuridico che condiziona la soluzione delle singole fattispecie: il “desiderio” di avere un figlio sembra fungere da “trascendentale”, fondamento di ogni realtà lecita e da “intessitore” di una “nuova rete” del diritto di famiglia le cui “maglie” sono ora “dilatate”, ora “ristrette” (modelli monoparentali), conformemente ad una disciplina che non offre un’unica risposta, ma tende a modularla in relazione alle parti coinvolte. Potrebbe emergere, dunque, il dubbio di poter prescindere dall’idea di unico modello familiare con cui confrontare la prassi, per promuovere, invece, un diritto aperto a varie forme di strutture familiari che siano rispettose degli interessi del nascituro, posto che sarebbe da dimostrare che il modello di famiglia “tradizionale” (stabile, bigenitoriale ed eterosessuale) sia da preferire a quello monogenitoriale o omosessuale. In tale, contesto, il saggio, servendosi dei contributi della psicologia, si propone di affrontare la rilevanza della differenza sessuale per il diritto considerando come se da una parte è vero che non esiste una correlazione diretta tra la doppia presenza eterosessuale dei genitori e la loro attitudine educativa; dall’altra, bisogna ammettere che ciò che è in gioco è molto più di alcune attitudini soggettive: si tratta di riconoscere il carattere imprenscindibile di strutture relazionali costitutive della differenza sessuale, strutture relazionali determinate dall’eterosessuazione (il “sessuato” rimanda al maschile e al femminile) e dall’eterosessualità dei genitori (il “sessuale” rimanda a un comportamento, la sessualità). In questo senso, la famiglia bigenitoriale ed eterosessuale costituisce «il luogo generativo e rigenerativo fondamentale della differenza sessuale» e, dunque, anche il luogo costitutivo di quel codice simbolico duale su cui si fonda il pensiero umano e la relazione di piena reciprocità intersoggettiva. Al diritto compete l’onere di mediare tra quanto è tecnicamente possibile e quanto è giuridicamente lecito, valutando la consistenza delle situazioni soggettive in conflitto mediante un’analisi del loro contenuto relazionale. Nel momento in cui, come si è mostrato, vengono a mancare le condizioni per uno sviluppo integro dell’identità del nascituro la conseguenza rilevante. Ad un esame attento del problema emerge come l’erosione della famiglia tradizionale appare come un aspetto di un più ampio fenomeno, proposto dai gender studies, corrispondente allo “sganciamento” della natura dalla cultura, del corpo dalla mente, della differenza sessuale dal “genere” e corrispondente, dunque, all’erosione del concetto stesso d’identità personale. L’ “ossessiva pretesa di rifiutare qualsiasi limite, qualsiasi cosa sia altro da sé” – il rifiuto dell’alterità del corpo, del genere e del generare – «nasconde una forma sottile di nichilismo. E’ un nichilismo psicoanalitico, la dissoluzione narcisistica di tutto ciò che non sia riconducibile all’io, che tende a divenire nichilismo giuridico, quando i diritti dell’uomo sembrano costruiti in funzione di questo potenziamento illimitato della volontà» (AMATO S., “Biogiurisprudenza. Dal mercato genetico al self-service normativo”, Giappichelli, Torino, 2006, pp. 153-4).I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.