Il tema della giustizia è centrale nella riflessione manzoniana: basti pensare alla Storia della Colonna infame. Esso compare anche nei Promessi sposi, dove addirittura percorre l’intero libro: dall’Introduzione, in cui l’anonimo si domanda come sia possibile che in un mondo retto dal “Re Cattolico nostro Signore” siano possibili tanti “atti tenebrosi, malvagità e sevitie”, alla conclusione, che sembra sanare tutte le ingiustizie patite da Renzo e Lucia, ma apre in realtà alla consapevolezza che le vicende del mondo si ripeteranno, sotto altra veste e con altri personaggi, come aveva appena ricordato frate Cristoforo ai due promessi: i vostri figli, dice loro, “verranno in un tristo mondo, e in tristi tempi, in mezzo a’ superbi e a’ provocatori”. Non sorprende, quindi, che il personaggio principale, Renzo, sia guidato da un’ansia di giustizia – lui, che subisce una prepotenza contro la quale pare non esservi rimedio – che si manifesta fin da subto e che trova sfogo in una famosa battuta: “A questo mondo c’è giustizia, finalmente!”. Ma questo desiderio di giustizia è ancora troppo simile alla vendetta, quella che Renzo desidera di prendersi contro don Rodrigo, quando sogna di ammazzarlo a tradimento. Molta strada – per le vie della Lombardia secentesca e per quelle dell’esperienza personale – dovrà fare il povero Renzo per restituire alla parola ‘giustizia’ il suo significato più vero: fino all’incontro con don Rodrigo moribondo e alla decisiva mediazione di padre Cristoforo (che a sua volta, fin da quando si chiamava Lodovico, era un assetato di giustizia), che nel lazzaretto riesce a trasformare la volontà di vendetta di Renzo in offerta di perdono. Si tocca qui un punto essenziale: perché il perdono di Renzo non è solo una conquista interiore, ma un gesto che rimette in moto la macchina narrativa. Se Renzo sfogasse il proprio desiderio di vendetta, uccidendo don Rodrigo, sarebbe nuovamente perseguito dalla legge e dovrebbe rinunciare per sempre a Lucia; dopo aver perdonato, invece, egli riuscirà a ritrovare Lucia e a sposarla. Il perdono, allora, rimette in moto la storia: la storia narrata nel romanzo, ma forse anche la storia dell’uomo in generale, come parrebbero dimostrare casi recenti quali la commissione di riconciliazione in Sudafrica. Anche traguardati da questo punto di vista particolare, I promessi sposi confermano la loro straordinaria attualità, offrendoci un punto di vista inedito e sempre valido anche sulle vicende terribili di un presente in cui la logica della vendetta sembra di nuovo sul punto di diventare la chiave regolatrice dei rapporti tra gli uomini e tra i popoli.
Frare, P., La via stretta. Vendetta, giustizia e perdono nei «Promessi sposi», in Forti, G., Mazzucato, C., Visconti, A. (ed.), Giustizia e letteratura. II, Vita e Pensiero, Milano 2014: 38- 54 [http://hdl.handle.net/10807/55599]
La via stretta. Vendetta, giustizia e perdono nei «Promessi sposi»
Frare, Pierantonio
2014
Abstract
Il tema della giustizia è centrale nella riflessione manzoniana: basti pensare alla Storia della Colonna infame. Esso compare anche nei Promessi sposi, dove addirittura percorre l’intero libro: dall’Introduzione, in cui l’anonimo si domanda come sia possibile che in un mondo retto dal “Re Cattolico nostro Signore” siano possibili tanti “atti tenebrosi, malvagità e sevitie”, alla conclusione, che sembra sanare tutte le ingiustizie patite da Renzo e Lucia, ma apre in realtà alla consapevolezza che le vicende del mondo si ripeteranno, sotto altra veste e con altri personaggi, come aveva appena ricordato frate Cristoforo ai due promessi: i vostri figli, dice loro, “verranno in un tristo mondo, e in tristi tempi, in mezzo a’ superbi e a’ provocatori”. Non sorprende, quindi, che il personaggio principale, Renzo, sia guidato da un’ansia di giustizia – lui, che subisce una prepotenza contro la quale pare non esservi rimedio – che si manifesta fin da subto e che trova sfogo in una famosa battuta: “A questo mondo c’è giustizia, finalmente!”. Ma questo desiderio di giustizia è ancora troppo simile alla vendetta, quella che Renzo desidera di prendersi contro don Rodrigo, quando sogna di ammazzarlo a tradimento. Molta strada – per le vie della Lombardia secentesca e per quelle dell’esperienza personale – dovrà fare il povero Renzo per restituire alla parola ‘giustizia’ il suo significato più vero: fino all’incontro con don Rodrigo moribondo e alla decisiva mediazione di padre Cristoforo (che a sua volta, fin da quando si chiamava Lodovico, era un assetato di giustizia), che nel lazzaretto riesce a trasformare la volontà di vendetta di Renzo in offerta di perdono. Si tocca qui un punto essenziale: perché il perdono di Renzo non è solo una conquista interiore, ma un gesto che rimette in moto la macchina narrativa. Se Renzo sfogasse il proprio desiderio di vendetta, uccidendo don Rodrigo, sarebbe nuovamente perseguito dalla legge e dovrebbe rinunciare per sempre a Lucia; dopo aver perdonato, invece, egli riuscirà a ritrovare Lucia e a sposarla. Il perdono, allora, rimette in moto la storia: la storia narrata nel romanzo, ma forse anche la storia dell’uomo in generale, come parrebbero dimostrare casi recenti quali la commissione di riconciliazione in Sudafrica. Anche traguardati da questo punto di vista particolare, I promessi sposi confermano la loro straordinaria attualità, offrendoci un punto di vista inedito e sempre valido anche sulle vicende terribili di un presente in cui la logica della vendetta sembra di nuovo sul punto di diventare la chiave regolatrice dei rapporti tra gli uomini e tra i popoli.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.