Come abbia potuto la Lombardia sprofondare al 128° posto nella recente classifica delle regioni europee più competitive elaborata dalla Commissione Europea, i cui risultati sono stati anticipati qualche giorno fa, è pressoché impossibile da capire. Almeno in base a dati economici inoppugnabili come quelli forniti dallo stesso ufficio europeo di statistiche. Infatti, secondo l’Eurostat nel 2010 la Lombardia, se confrontata con analoghe realtà territoriali di pari livello di classificazione geografica (NUTS2), è chiaramente la seconda regione europea per valore aggiunto totale dopo l’Ile-de-France, la prima assoluta per valore aggiunto dell’industria, la seconda nel commercio, trasporti e turismo dopo l’Ile-de-France, la terza nella finanza e nei servizi alle imprese dopo l’Ile-de-France e la Londra “interna”, nonché la terza anche nell’agricoltura dopo l’Andalusia e Castiglia e Leon. Come è possibile, allora, essere caduti così in basso nella classifica europea della competitività? La ragione è semplice. Il concetto di competitività negli ultimi anni è stato viepiù bistrattato fino a venire completamente snaturato. Si è trasformato talora in un vago concetto di attrattività dei vari Paesi per gli investitori stranieri. In altri casi il concetto di competitività è addirittura sconfinato in una sorta di sinonimo di benessere includendo parametri a discrezione come gli ospedali o la salute, a loro volta pesati in modo discutibile. Ma allora perché non includere tra gli indicatori scelti per misurare la competitività delle nazioni o delle regioni anche il numero di pernottamenti di turisti stranieri, il numero di chiese o monumenti unici al mondo, il paesaggio, il clima, la ricchezza finanziaria netta ed immobiliare delle famiglie e l’alimentazione? Tutti indici dove l’Italia e le sue regioni primeggiano non solo in Europa ma nel mondo.
Fortis, M., La Lombardia batte la Ue, <<Quaderni di Approfondimenti Statistici della Fondazione Edison>>, 2013; (Agosto, n. 128): 1-4 [http://hdl.handle.net/10807/52347]
La Lombardia batte la Ue
Fortis, Marco
2013
Abstract
Come abbia potuto la Lombardia sprofondare al 128° posto nella recente classifica delle regioni europee più competitive elaborata dalla Commissione Europea, i cui risultati sono stati anticipati qualche giorno fa, è pressoché impossibile da capire. Almeno in base a dati economici inoppugnabili come quelli forniti dallo stesso ufficio europeo di statistiche. Infatti, secondo l’Eurostat nel 2010 la Lombardia, se confrontata con analoghe realtà territoriali di pari livello di classificazione geografica (NUTS2), è chiaramente la seconda regione europea per valore aggiunto totale dopo l’Ile-de-France, la prima assoluta per valore aggiunto dell’industria, la seconda nel commercio, trasporti e turismo dopo l’Ile-de-France, la terza nella finanza e nei servizi alle imprese dopo l’Ile-de-France e la Londra “interna”, nonché la terza anche nell’agricoltura dopo l’Andalusia e Castiglia e Leon. Come è possibile, allora, essere caduti così in basso nella classifica europea della competitività? La ragione è semplice. Il concetto di competitività negli ultimi anni è stato viepiù bistrattato fino a venire completamente snaturato. Si è trasformato talora in un vago concetto di attrattività dei vari Paesi per gli investitori stranieri. In altri casi il concetto di competitività è addirittura sconfinato in una sorta di sinonimo di benessere includendo parametri a discrezione come gli ospedali o la salute, a loro volta pesati in modo discutibile. Ma allora perché non includere tra gli indicatori scelti per misurare la competitività delle nazioni o delle regioni anche il numero di pernottamenti di turisti stranieri, il numero di chiese o monumenti unici al mondo, il paesaggio, il clima, la ricchezza finanziaria netta ed immobiliare delle famiglie e l’alimentazione? Tutti indici dove l’Italia e le sue regioni primeggiano non solo in Europa ma nel mondo.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.