Il problema del "fuori area" si lega al tema dei limiti geografici dell’Alleanza Atlantica come a quello della sua mission e dei suoi compiti. Esso sottende, fra l’altro, all’opzione politica e militare in favore di una difesa statica, concentrata lungo il fronte centroeuropeo e sostenuta dell’ombrello nucleare statunitense: il perno della diade deterrence & defence su cui si reggerà azione della NATO fino al Concetto Strategico del 1991. Il riallineamento geopolitico prodotto dalle crisi del 1989, lo scardinamento dei limiti del “gioco” bipolare e il venire meno dei tradizionali freni clausewitziani alla proliferazione della violenza alimentano, nella prima metà degli anni Novanta, un “revival della guerra” rappresentato in termini di transizione da un mondo di “pace impossibile e guerra improbabile”, a uno di “pace possibile e guerre probabili”. Alla logica “politica” che presiedeva i rapporti USA-URSS subentra una logica “extrapolitica”, in cui la “scomparsa collettiva per sterminio fisico” del nemico rappresenta un esito accettabile (se non auspicabile), del conflitto. Su questo sfondo, il Concetto Strategico del 1991 richiama esplicitamente la guerra del Golfo come esempio del modo in cui “la stabilità e la pace dei Paesi della periferia meridionale dell’Europa sono importanti per la sicurezza dell’Alleanza”. La questione del “fuori area” si aggancia così a una visione parzialmente inedita della “minaccia indiretta”, schiudendo le porte alla sfera del “rischio” come orizzonte di riferimento per l’azione NATO. In questa prospettiva, il Concetto Strategico del 1991 riflette in eguale misura la necessità di rispondere alle nuove sfide dello scenario internazionale e la fine della situazione di blocco prodotta dal permanere di un rapporto antagonistico con l’URSS. Lo stesso vale per la strategia d’inclusione prospettata nella Dichiarazione di Londra su un’Alleanza Atlantica trasformata (1990) e lanciata con l’iniziativa della Partnership for Peace (PfP) nel 1994. Fra questi due eventi, lo scioglimento dell’URSS (26 dicembre 1991) ha, però, scompaginato le carte. Da una parte, esso risolve il dilemma dell’out of area così come tradizionalmente formulato, permettendo la reintegrazione dello spazio di sicurezza euro-atlantico sotto l’egida di un’unica organizzazione “egemone”. Dall'altra, il mutato scenario internazionale finisce (già prima degli avvenimenti dell’11 settembre 2001) con lo spostare i termini del problema oltre i confini europei, proiettando la NATO in una dimensione “globale” all’inizio forse solo in parte voluta. In questa prospettiva, la dimensione del “fuori area” conserva – seppure in forma mutata – la sua centralità “di lungo periodo”, configurando l’espletamento della missione originaria dell’Alleanza sempre più chiaramente come un’azione “a braccio lungo”. Sostenuta dalle trasformazioni dello scenario internazionale, questa evoluzione corrisponde a una mutata percezione delle esigenze di sicurezza della NATO e dei suoi membri. A essa sembra, però, corrispondere anche una diffusa differenziazione delle posizioni comuni. Il difficile consenso coagulato intorno all’intervento in Kosovo nel 1999 ha rappresentato un primo segnale in tal senso. Lo stesso vale per i caveat cui è stata condizionata la partecipazione di vari contingenti nazionali alle operazioni in Afghanistan. D’altra parte, questa differenziazione è anch’essa una delle conseguenze di un sistema internazionale fattosi più complesso e del venire meno – anche all’interno della Alleanza Atlantica – dei tradizionali obiettivi condivisi. Il processo di rinazionalizzazione delle politiche di sicurezza avviato nel corso degli anni Novanta e proseguito durante il decennio successivo, non poteva non riflettersi anche in ambito NATO, soprattutto rispetto a una questione-chiave come quella del “fuori area”. Dopo i successi (parziali, ma difficilmente negabili) conseguiti nei Balcani, la presenza in Afghanistan ha finito con l’essere percepita non solo come banco di prova delle ambizioni operative della NATO, ma anche della credibilità del legame transatlantico e della sua sostenibilità a fronte di un aumento degli impegni e delle responsabilità e al divaricamento delle percezioni di sicurezza nazionali.

Pastori, G., Genesi della "NATO globale". La frontiere dell'Alleanza prima del 1999, American Legacy. La SISM ricorda Raimondo Luraghi, Società Italiana di Storia Militare, Roma 2013: 597-611 [http://hdl.handle.net/10807/52171]

Genesi della "NATO globale". La frontiere dell'Alleanza prima del 1999

Pastori, Gianluca
2013

Abstract

Il problema del "fuori area" si lega al tema dei limiti geografici dell’Alleanza Atlantica come a quello della sua mission e dei suoi compiti. Esso sottende, fra l’altro, all’opzione politica e militare in favore di una difesa statica, concentrata lungo il fronte centroeuropeo e sostenuta dell’ombrello nucleare statunitense: il perno della diade deterrence & defence su cui si reggerà azione della NATO fino al Concetto Strategico del 1991. Il riallineamento geopolitico prodotto dalle crisi del 1989, lo scardinamento dei limiti del “gioco” bipolare e il venire meno dei tradizionali freni clausewitziani alla proliferazione della violenza alimentano, nella prima metà degli anni Novanta, un “revival della guerra” rappresentato in termini di transizione da un mondo di “pace impossibile e guerra improbabile”, a uno di “pace possibile e guerre probabili”. Alla logica “politica” che presiedeva i rapporti USA-URSS subentra una logica “extrapolitica”, in cui la “scomparsa collettiva per sterminio fisico” del nemico rappresenta un esito accettabile (se non auspicabile), del conflitto. Su questo sfondo, il Concetto Strategico del 1991 richiama esplicitamente la guerra del Golfo come esempio del modo in cui “la stabilità e la pace dei Paesi della periferia meridionale dell’Europa sono importanti per la sicurezza dell’Alleanza”. La questione del “fuori area” si aggancia così a una visione parzialmente inedita della “minaccia indiretta”, schiudendo le porte alla sfera del “rischio” come orizzonte di riferimento per l’azione NATO. In questa prospettiva, il Concetto Strategico del 1991 riflette in eguale misura la necessità di rispondere alle nuove sfide dello scenario internazionale e la fine della situazione di blocco prodotta dal permanere di un rapporto antagonistico con l’URSS. Lo stesso vale per la strategia d’inclusione prospettata nella Dichiarazione di Londra su un’Alleanza Atlantica trasformata (1990) e lanciata con l’iniziativa della Partnership for Peace (PfP) nel 1994. Fra questi due eventi, lo scioglimento dell’URSS (26 dicembre 1991) ha, però, scompaginato le carte. Da una parte, esso risolve il dilemma dell’out of area così come tradizionalmente formulato, permettendo la reintegrazione dello spazio di sicurezza euro-atlantico sotto l’egida di un’unica organizzazione “egemone”. Dall'altra, il mutato scenario internazionale finisce (già prima degli avvenimenti dell’11 settembre 2001) con lo spostare i termini del problema oltre i confini europei, proiettando la NATO in una dimensione “globale” all’inizio forse solo in parte voluta. In questa prospettiva, la dimensione del “fuori area” conserva – seppure in forma mutata – la sua centralità “di lungo periodo”, configurando l’espletamento della missione originaria dell’Alleanza sempre più chiaramente come un’azione “a braccio lungo”. Sostenuta dalle trasformazioni dello scenario internazionale, questa evoluzione corrisponde a una mutata percezione delle esigenze di sicurezza della NATO e dei suoi membri. A essa sembra, però, corrispondere anche una diffusa differenziazione delle posizioni comuni. Il difficile consenso coagulato intorno all’intervento in Kosovo nel 1999 ha rappresentato un primo segnale in tal senso. Lo stesso vale per i caveat cui è stata condizionata la partecipazione di vari contingenti nazionali alle operazioni in Afghanistan. D’altra parte, questa differenziazione è anch’essa una delle conseguenze di un sistema internazionale fattosi più complesso e del venire meno – anche all’interno della Alleanza Atlantica – dei tradizionali obiettivi condivisi. Il processo di rinazionalizzazione delle politiche di sicurezza avviato nel corso degli anni Novanta e proseguito durante il decennio successivo, non poteva non riflettersi anche in ambito NATO, soprattutto rispetto a una questione-chiave come quella del “fuori area”. Dopo i successi (parziali, ma difficilmente negabili) conseguiti nei Balcani, la presenza in Afghanistan ha finito con l’essere percepita non solo come banco di prova delle ambizioni operative della NATO, ma anche della credibilità del legame transatlantico e della sua sostenibilità a fronte di un aumento degli impegni e delle responsabilità e al divaricamento delle percezioni di sicurezza nazionali.
2013
Italiano
9788890851018
Pastori, G., Genesi della "NATO globale". La frontiere dell'Alleanza prima del 1999, American Legacy. La SISM ricorda Raimondo Luraghi, Società Italiana di Storia Militare, Roma 2013: 597-611 [http://hdl.handle.net/10807/52171]
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