INTRODUZIONE. Sembra quasi impossibile rimanere nei limiti delle proprie sicurezze disciplinari quando si mette a tema la questione della psicopatologia di coppia. I confini diagnostici si estendono ai temi della nosografia individuale, della psicologia della famiglia, della sociologia, dell’antropologia, solo per citare alcune fonti. Prosa, poesia e letteratura ne portano i segni e ne raccontano i drammi, per lo più enfatizzando l’idea di un amore che cattura il nostro immaginario nella forma dell’amore impossibile, narcisistico, o potremmo dire –seguendo de Rougemont (1939)– dell’“amore-passione”, dell’“amore dell’amore”. Detto in altri termini, quando si ha a che fare con il dolore psichico, è proprio la psicopatologia di coppia a svelare, esasperandolo, il nucleo del problema. In questo senso potremmo chiederci se non esista una matrice comune a tutto il campo della psicopatologia nelle sue diverse forme (transitive-transitorie-reattive, strutturali e di personalità, di deficit e di malattia). Tale matrice sembrerebbe invariabilmente connessa all’incapacità del sé di trattare con l’Altro, di tollerare la sua alterità e le pieghe che ne derivano, quali la differenza, l’ostilità, l’ambivalenza, la gelosia. Eloquente in questa di-rezione è l’avvertimento dispensato da Kernberg (1995): “Poter attaccare sadicamente il proprio partner e assistere alla sopravvivenza del suo amore, poter sperimentare in se stessi il passaggio dalla collera irrefrenabile e dalla svalutazione alla colpa, al lutto, alla riparazione, sono esperienze inestimabili per la coppia” (p. 107). Occorre ricordare come in questo ambito disciplinare –specie dal punto di vista della ricerca– è ancora forte la tentazione di perseguire la scorciatoia oltremodo battuta della diagnosi individuale. Così, il discorso ruota per lo più attorno a taluni quadri psicopato-logici e a come quest’ultimi possano interferire con lo sviluppo di relazioni d’amore “mature”, potremmo dire “intime”. Non è qui in discussione la rilevanza della psicopatologia nosografica tradizionale, anzi essa rappresenta il preambolo a questa monografia, costituendone il punto di origine e un discorso non aggirabile. Il rischio, piuttosto, è di guardare alla coppia attraverso un’operazione sommativa (la somma di due diagnosi) o, ancora più pericolosamente, di trasferire le categorie proprie della psicopatologia individuale al legame di coppia secondo uno stratagemma transitivo che ha come esito quello di qualificare la relazione come “fobica”, “abulica”, “depressa” e via dicendo. C’è un’altra scorciatoia, il cui presupposto –talora implicito– si esprime nella risoluta aderenza ad un ipotetico modello interpretativo della relazione, che non soltanto delinea la fisionomia e l’organizzazione della coppia, ma che ci ammonisce perfino ad assecondare un sotteso modello idealtipico, quasi che le relazioni potessero essere plasmate o rese immuni da quelli che sono comunemente definiti “fattori di rischio”, o “fattori di crisi”. Tra quest’ultimi, ad imporsi come urgenza, quasi alla stregua di un’epidemia sociale, è il conflitto coniugale; esserne esenti non sarebbe solo auspicabile ma anche raccomandabile, nonché, un po’ forzatamente, prescrivibile dal clinico. In realtà, come scrive pe-rentoriamente Dicks (1967), “il contrario dell’amore non è l’odio, odio e amore coesistono sempre fin quando vi è un rapporto vivo. Il contrario dell’amore è l’indifferenza” (p. 188). C’è infine una terza “via”, più difficile da percorrere, a cui s’ispira questo testo richiamando il lavoro pioneristico di autori quali Dicks (1967), Eiguer (1984), Kaës (1994) e, più nello specifico, le teorizzazioni di Hurni e Stoll (1996) in merito alla perversione di coppia, descritta dagli autori con minuzia clinica, senza compiacenza né moralismi. In questo terzo caso si tratta della possibilità di qualificare il legame di coppia in quanto tale, attraverso dimensioni che attengono al legame medesimo e non agli individui che lo istituiscono. Ciò può avvenire anche in senso categoriale, potremmo dire “discreto” nel senso di discontinuo, o per tipologie, ma pur sempre avendo in mente la dinamica dell’incontro di coppia e il prodotto (identità) che ne deriva. Non mancano in questa dire-zione appellativi specifici, come il “noi di coppia” (Norsa, Zavattini, 1997), il “noi-pelle” (Anzieu, 1993), il “sé coniugale” (Eiguer, 1984), il “super-io comune” (Kaës, 1994; Kernberg, 1995); e sulla stessa scia, la nozione di patto, di contratto, di alleanza, di vinco-lo, insieme ad alcuni slogan che ricorrono inseguendo la metafora matematica come nel caso dell’“uno più uno fa tre”, o da un altro punto di vista dell’“uno più uno fa uno”. Fatto sta che il legame “non farebbe mai semplicemente due” ed è proprio il legame in quan-to tale a “soffrire”. Eccoci quindi a riannodare il filo del discorso. Gli schemi riepilogativi presentati nelle pagine che seguono illustreranno dapprima l’idea di fondo alla base della psicopatologia, vale a dire l’idea di un continuum diagnostico. I punti di svolta attorno a cui tale continuum si articola potrebbero a loro volta essere considerati “continui”, sia nel senso delle molte varianti che ciascun punto origina, sia perché le stesse varianti altro non fanno che riflettere il continuum medesimo; quasi ci fosse una scansione di base che si ripete in una sequenza sempre triadica e decisamente più stringente. Mi riferisco alla scansione “nevrosi–perversione–psicosi” e alle sue possibili alternative, quali “masochismo–narcisismo–autismo”, “reazione–personalità–deficit” o, per dirla in termini fenomenologici, “stati–tratti–mondi altri”. Il continuum così delineato richiama esplicitamente l’ossatura dei principali sistemi diagnostici oggi in uso nella pratica clinica (ICD, DSM, OPD, PDM). Sistemi che verranno messi a confronto tra loro soprattutto dal punto di vista della nosografia e, nel caso specifico dei disturbi di personalità, dal punto di vista della struttura, del funzionamento e dei principali meccanismi di difesa sottostanti. Saranno proprio i disturbi (tipi) di personalità, quelli che Freud chiamava meno artificiosamente “nevrosi del carattere”, a fare da apripista al discorso sulla psicopatologia di coppia, con l’intento di procedere lungo quella terza “via” di cui si diceva più sopra. La distinzione tra coppie “normo-nevrotiche” e coppie a funzionamento “perverso-narcisistico” costituirà la base concettuale della seconda sezione di questo lavoro. Gli assunti e i concetti sviluppati in ambito psicoanalitico in merito al legame di coppia, costi-tuiranno invece la terza sezione. Un primo tentativo di enucleare gli esiti di specifici incastri coniugali in chiave intergenerazionale, ossia in termini di ricadute sui figli, rappresenterà, infine, la sezione che vuole chiudere il cerchio (Cigoli, 2000). Mi sia consentito un augurio finale, oltreché un chiarimento sulla necessità di un discorso relativo al legame amoroso e alle sue derive più o meno burrascose. L’augurio è che gli schemi e le sintesi concettuali presentati in questo lavoro possano costituire una sorta di mappatura (di bussola) per chi si avvicina all’ambito variegato, talora confusivo, della psicopatologia e in particolare della psicopatologia di coppia. L’uso didattico per il quale questo materiale è stato organizzato dovrebbe fornire la “sintassi” per orientarsi in questo campo di studio ed evitare talune insidie; prima fra tutte, l’insidia di ricorrere alle categorie del senso comune, o di usare impropriamente alcuni termini con la stessa noncuranza con cui vengono impiegati nel linguaggio ordinario. Si pensi, ad esempio, alla leggerezza con la quale parole come “depressione” o “ansia” sono entrate nei discorsi quotidiani, senza alcuna cautela né alcuna opportuna distinzione. Infine la necessità: allenare l’orecchio e la vista in merito a dinamiche anche scomode come è il caso della perversione, cogliendone i segni che proprio nella relazione di coppia si mettono maggiormente in mostra, è in linea con alcune constatazioni di fondo. Qui di seguito, a titolo esemplificativo, ne voglio ricordare alcune, almeno quelle più manifeste. Frequentemente, sono proprio le vicende di coppia a (s)muovere le persone e ad avvicinarle ai contesti di cura; così, anche nell’ambito dell’intervento individuale, i nostri pazienti finiranno invariabilmente per mettere a tema esiti e dilemmi delle loro vicende amorose. Peraltro, sono sempre più spesso le coppie in quanto tali ad avanzare una richiesta di aiuto ai servizi e ai professionisti della salute mentale; questo in virtù di un cambio di rotta sul fronte culturale, nel quale è proprio la coppia ad essere al centro dell’attenzione, diventando “cibo” quotidiano di discussione e coinvolgimento sociale, nonché garantendo –assai spesso miseramente– spettacolo e audience. Da un altro punto di vista, è importante prendere atto come alla presenza dell’Altro si attivino aree di dolore e d’inquietudine specifiche, organizzandosi proprio attorno al legame di coppia che diversamente, in assenza di quest’ultimo, potrebbero invece rimanere silenti. Per esempio, a fronte della dissoluzione del legame, così come ci ricorda Lemaire (1971), “tutto avviene come se nella vita amorosa le tendenze regressive fino allora mascherate, vi fossero trattenute a lungo per esplodere nel resto dell’esistenza in forma patologica […]. La frattura della coppia è spesso l’occasione per uno scatenarsi di manifestazioni patologiche fino a quel momento latenti o incistate quasi naturalmente in seno alla vita coniugale” (p. 34). Tragedie e drammi a parte, la questione “coppia” riguarda inevitabilmente ciascuno di noi, anche qualora non ci si trovasse concretamente impegnati in una relazione. La “coppia interna” che ci portiamo dietro (dentro), il prototipo della coppia dei nostri genitori, il modello che ne consegue, così come il “bambino” che reagisce al “genitore” sono sempre in azione, insieme alla fantasia che talora sviluppiamo proprio a partire da quel modello: lo spettro di non essere amati, di essere incompresi o abbandonati, così come il suo rovescio, vale a dire l’angoscia altrettanto violenta di essere amati e desiderati, in una parola riconosciuti.
Margola, D., Introduzione alla psicopatologia. Dalla nosografia individuale al legame di coppia, EDUCatt, Milano 2013: 66 [http://hdl.handle.net/10807/42811]
Introduzione alla psicopatologia. Dalla nosografia individuale al legame di coppia
Margola, Davide
2013
Abstract
INTRODUZIONE. Sembra quasi impossibile rimanere nei limiti delle proprie sicurezze disciplinari quando si mette a tema la questione della psicopatologia di coppia. I confini diagnostici si estendono ai temi della nosografia individuale, della psicologia della famiglia, della sociologia, dell’antropologia, solo per citare alcune fonti. Prosa, poesia e letteratura ne portano i segni e ne raccontano i drammi, per lo più enfatizzando l’idea di un amore che cattura il nostro immaginario nella forma dell’amore impossibile, narcisistico, o potremmo dire –seguendo de Rougemont (1939)– dell’“amore-passione”, dell’“amore dell’amore”. Detto in altri termini, quando si ha a che fare con il dolore psichico, è proprio la psicopatologia di coppia a svelare, esasperandolo, il nucleo del problema. In questo senso potremmo chiederci se non esista una matrice comune a tutto il campo della psicopatologia nelle sue diverse forme (transitive-transitorie-reattive, strutturali e di personalità, di deficit e di malattia). Tale matrice sembrerebbe invariabilmente connessa all’incapacità del sé di trattare con l’Altro, di tollerare la sua alterità e le pieghe che ne derivano, quali la differenza, l’ostilità, l’ambivalenza, la gelosia. Eloquente in questa di-rezione è l’avvertimento dispensato da Kernberg (1995): “Poter attaccare sadicamente il proprio partner e assistere alla sopravvivenza del suo amore, poter sperimentare in se stessi il passaggio dalla collera irrefrenabile e dalla svalutazione alla colpa, al lutto, alla riparazione, sono esperienze inestimabili per la coppia” (p. 107). Occorre ricordare come in questo ambito disciplinare –specie dal punto di vista della ricerca– è ancora forte la tentazione di perseguire la scorciatoia oltremodo battuta della diagnosi individuale. Così, il discorso ruota per lo più attorno a taluni quadri psicopato-logici e a come quest’ultimi possano interferire con lo sviluppo di relazioni d’amore “mature”, potremmo dire “intime”. Non è qui in discussione la rilevanza della psicopatologia nosografica tradizionale, anzi essa rappresenta il preambolo a questa monografia, costituendone il punto di origine e un discorso non aggirabile. Il rischio, piuttosto, è di guardare alla coppia attraverso un’operazione sommativa (la somma di due diagnosi) o, ancora più pericolosamente, di trasferire le categorie proprie della psicopatologia individuale al legame di coppia secondo uno stratagemma transitivo che ha come esito quello di qualificare la relazione come “fobica”, “abulica”, “depressa” e via dicendo. C’è un’altra scorciatoia, il cui presupposto –talora implicito– si esprime nella risoluta aderenza ad un ipotetico modello interpretativo della relazione, che non soltanto delinea la fisionomia e l’organizzazione della coppia, ma che ci ammonisce perfino ad assecondare un sotteso modello idealtipico, quasi che le relazioni potessero essere plasmate o rese immuni da quelli che sono comunemente definiti “fattori di rischio”, o “fattori di crisi”. Tra quest’ultimi, ad imporsi come urgenza, quasi alla stregua di un’epidemia sociale, è il conflitto coniugale; esserne esenti non sarebbe solo auspicabile ma anche raccomandabile, nonché, un po’ forzatamente, prescrivibile dal clinico. In realtà, come scrive pe-rentoriamente Dicks (1967), “il contrario dell’amore non è l’odio, odio e amore coesistono sempre fin quando vi è un rapporto vivo. Il contrario dell’amore è l’indifferenza” (p. 188). C’è infine una terza “via”, più difficile da percorrere, a cui s’ispira questo testo richiamando il lavoro pioneristico di autori quali Dicks (1967), Eiguer (1984), Kaës (1994) e, più nello specifico, le teorizzazioni di Hurni e Stoll (1996) in merito alla perversione di coppia, descritta dagli autori con minuzia clinica, senza compiacenza né moralismi. In questo terzo caso si tratta della possibilità di qualificare il legame di coppia in quanto tale, attraverso dimensioni che attengono al legame medesimo e non agli individui che lo istituiscono. Ciò può avvenire anche in senso categoriale, potremmo dire “discreto” nel senso di discontinuo, o per tipologie, ma pur sempre avendo in mente la dinamica dell’incontro di coppia e il prodotto (identità) che ne deriva. Non mancano in questa dire-zione appellativi specifici, come il “noi di coppia” (Norsa, Zavattini, 1997), il “noi-pelle” (Anzieu, 1993), il “sé coniugale” (Eiguer, 1984), il “super-io comune” (Kaës, 1994; Kernberg, 1995); e sulla stessa scia, la nozione di patto, di contratto, di alleanza, di vinco-lo, insieme ad alcuni slogan che ricorrono inseguendo la metafora matematica come nel caso dell’“uno più uno fa tre”, o da un altro punto di vista dell’“uno più uno fa uno”. Fatto sta che il legame “non farebbe mai semplicemente due” ed è proprio il legame in quan-to tale a “soffrire”. Eccoci quindi a riannodare il filo del discorso. Gli schemi riepilogativi presentati nelle pagine che seguono illustreranno dapprima l’idea di fondo alla base della psicopatologia, vale a dire l’idea di un continuum diagnostico. I punti di svolta attorno a cui tale continuum si articola potrebbero a loro volta essere considerati “continui”, sia nel senso delle molte varianti che ciascun punto origina, sia perché le stesse varianti altro non fanno che riflettere il continuum medesimo; quasi ci fosse una scansione di base che si ripete in una sequenza sempre triadica e decisamente più stringente. Mi riferisco alla scansione “nevrosi–perversione–psicosi” e alle sue possibili alternative, quali “masochismo–narcisismo–autismo”, “reazione–personalità–deficit” o, per dirla in termini fenomenologici, “stati–tratti–mondi altri”. Il continuum così delineato richiama esplicitamente l’ossatura dei principali sistemi diagnostici oggi in uso nella pratica clinica (ICD, DSM, OPD, PDM). Sistemi che verranno messi a confronto tra loro soprattutto dal punto di vista della nosografia e, nel caso specifico dei disturbi di personalità, dal punto di vista della struttura, del funzionamento e dei principali meccanismi di difesa sottostanti. Saranno proprio i disturbi (tipi) di personalità, quelli che Freud chiamava meno artificiosamente “nevrosi del carattere”, a fare da apripista al discorso sulla psicopatologia di coppia, con l’intento di procedere lungo quella terza “via” di cui si diceva più sopra. La distinzione tra coppie “normo-nevrotiche” e coppie a funzionamento “perverso-narcisistico” costituirà la base concettuale della seconda sezione di questo lavoro. Gli assunti e i concetti sviluppati in ambito psicoanalitico in merito al legame di coppia, costi-tuiranno invece la terza sezione. Un primo tentativo di enucleare gli esiti di specifici incastri coniugali in chiave intergenerazionale, ossia in termini di ricadute sui figli, rappresenterà, infine, la sezione che vuole chiudere il cerchio (Cigoli, 2000). Mi sia consentito un augurio finale, oltreché un chiarimento sulla necessità di un discorso relativo al legame amoroso e alle sue derive più o meno burrascose. L’augurio è che gli schemi e le sintesi concettuali presentati in questo lavoro possano costituire una sorta di mappatura (di bussola) per chi si avvicina all’ambito variegato, talora confusivo, della psicopatologia e in particolare della psicopatologia di coppia. L’uso didattico per il quale questo materiale è stato organizzato dovrebbe fornire la “sintassi” per orientarsi in questo campo di studio ed evitare talune insidie; prima fra tutte, l’insidia di ricorrere alle categorie del senso comune, o di usare impropriamente alcuni termini con la stessa noncuranza con cui vengono impiegati nel linguaggio ordinario. Si pensi, ad esempio, alla leggerezza con la quale parole come “depressione” o “ansia” sono entrate nei discorsi quotidiani, senza alcuna cautela né alcuna opportuna distinzione. Infine la necessità: allenare l’orecchio e la vista in merito a dinamiche anche scomode come è il caso della perversione, cogliendone i segni che proprio nella relazione di coppia si mettono maggiormente in mostra, è in linea con alcune constatazioni di fondo. Qui di seguito, a titolo esemplificativo, ne voglio ricordare alcune, almeno quelle più manifeste. Frequentemente, sono proprio le vicende di coppia a (s)muovere le persone e ad avvicinarle ai contesti di cura; così, anche nell’ambito dell’intervento individuale, i nostri pazienti finiranno invariabilmente per mettere a tema esiti e dilemmi delle loro vicende amorose. Peraltro, sono sempre più spesso le coppie in quanto tali ad avanzare una richiesta di aiuto ai servizi e ai professionisti della salute mentale; questo in virtù di un cambio di rotta sul fronte culturale, nel quale è proprio la coppia ad essere al centro dell’attenzione, diventando “cibo” quotidiano di discussione e coinvolgimento sociale, nonché garantendo –assai spesso miseramente– spettacolo e audience. Da un altro punto di vista, è importante prendere atto come alla presenza dell’Altro si attivino aree di dolore e d’inquietudine specifiche, organizzandosi proprio attorno al legame di coppia che diversamente, in assenza di quest’ultimo, potrebbero invece rimanere silenti. Per esempio, a fronte della dissoluzione del legame, così come ci ricorda Lemaire (1971), “tutto avviene come se nella vita amorosa le tendenze regressive fino allora mascherate, vi fossero trattenute a lungo per esplodere nel resto dell’esistenza in forma patologica […]. La frattura della coppia è spesso l’occasione per uno scatenarsi di manifestazioni patologiche fino a quel momento latenti o incistate quasi naturalmente in seno alla vita coniugale” (p. 34). Tragedie e drammi a parte, la questione “coppia” riguarda inevitabilmente ciascuno di noi, anche qualora non ci si trovasse concretamente impegnati in una relazione. La “coppia interna” che ci portiamo dietro (dentro), il prototipo della coppia dei nostri genitori, il modello che ne consegue, così come il “bambino” che reagisce al “genitore” sono sempre in azione, insieme alla fantasia che talora sviluppiamo proprio a partire da quel modello: lo spettro di non essere amati, di essere incompresi o abbandonati, così come il suo rovescio, vale a dire l’angoscia altrettanto violenta di essere amati e desiderati, in una parola riconosciuti.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.