Il saggio, incluso nel catalogo della mostra tenutasi nel 2013 al Museo di Santa Giulia di Brescia, presenta una delle sezioni della mostra stessa, dedicata a quel fenomeno complesso e sfaccettato che fu l'Informale. Quelli che tradizionalmente erano i mezzi della pittura diventano fini: il segno, la materia e il gesto assumono un'autonoma pregnanza, ed esplorare le loro potenzialità espressive è una delle principali direttrici perseguite. Emilio Vedova, che sarà tra i primi a praticare in Italia una sorta di action painting, alla fine degli anni '40 si trova nella fase delle "geometrie nere", dove ravvisiamo echi del dinamismo futurista e vorticista, suggestioni neocubiste e una cupa foga espressionista, incanalate in un disegno astratto di calcolata intelaiatura. Mario Ballocco e Giuseppe Capogrossi invece sono entrambi esponenti del Gruppo Origine, nato a Milano nel 1950: il primo inventa i "reticoli", le "grate" e le "monadi" (figure irregolari fluttuanti nel vuoto), composizioni caratterizzate da un'"asimmetria istintiva" posta sotto il dominio dell'esigenza espressiva e comunicativa. Capogrossi, dal canto suo, è uno dei più autentici esponenti dell'Informale segnico: nella serie delle "superfici" una misteriosa presenza pittorica archetipica si dispone in tessiture grafiche variabili e ritmicamente cadenzate. La tendenza materica è impersonata da Ennio Morlotti: in lui si manifesta il felice paradosso di un Informale "figurativo": grumi di colore si addensano sulla tela come un magma, ma i titoli rimandano ancora a oggetti o personaggi riconoscibili e definiti. Più rarefatti sono gli esiti della pittura di Enzo Brunori: l'immagine è costruita per zone cromatiche sfumate accostate le une alle altre, in una tessitura preziosa e ben calibrata, di intima vibrazione. Con Alfredo Chighine, infine, ci si sposta verso un ambito gestuale: l'opera non è più spazio da pensare e costruire, bensì il risultato dei segni, delle pennellate e delle macchie prodotte dall'artista, quindi testimonianza diretta del suo io, che si esplica nel lasciar traccia sulla tela.

Bolpagni, P., Segno, materia, gesto, in Lucchesi Ragni, E. (ed.), Novecento mai visto. Opere dalle col­­lezioni bresciane. Da de Chirico a Cattelan e oltre, Grafo, San Zeno Naviglio 2013: 43- 50 [http://hdl.handle.net/10807/41708]

Segno, materia, gesto

Bolpagni, Paolo
2013

Abstract

Il saggio, incluso nel catalogo della mostra tenutasi nel 2013 al Museo di Santa Giulia di Brescia, presenta una delle sezioni della mostra stessa, dedicata a quel fenomeno complesso e sfaccettato che fu l'Informale. Quelli che tradizionalmente erano i mezzi della pittura diventano fini: il segno, la materia e il gesto assumono un'autonoma pregnanza, ed esplorare le loro potenzialità espressive è una delle principali direttrici perseguite. Emilio Vedova, che sarà tra i primi a praticare in Italia una sorta di action painting, alla fine degli anni '40 si trova nella fase delle "geometrie nere", dove ravvisiamo echi del dinamismo futurista e vorticista, suggestioni neocubiste e una cupa foga espressionista, incanalate in un disegno astratto di calcolata intelaiatura. Mario Ballocco e Giuseppe Capogrossi invece sono entrambi esponenti del Gruppo Origine, nato a Milano nel 1950: il primo inventa i "reticoli", le "grate" e le "monadi" (figure irregolari fluttuanti nel vuoto), composizioni caratterizzate da un'"asimmetria istintiva" posta sotto il dominio dell'esigenza espressiva e comunicativa. Capogrossi, dal canto suo, è uno dei più autentici esponenti dell'Informale segnico: nella serie delle "superfici" una misteriosa presenza pittorica archetipica si dispone in tessiture grafiche variabili e ritmicamente cadenzate. La tendenza materica è impersonata da Ennio Morlotti: in lui si manifesta il felice paradosso di un Informale "figurativo": grumi di colore si addensano sulla tela come un magma, ma i titoli rimandano ancora a oggetti o personaggi riconoscibili e definiti. Più rarefatti sono gli esiti della pittura di Enzo Brunori: l'immagine è costruita per zone cromatiche sfumate accostate le une alle altre, in una tessitura preziosa e ben calibrata, di intima vibrazione. Con Alfredo Chighine, infine, ci si sposta verso un ambito gestuale: l'opera non è più spazio da pensare e costruire, bensì il risultato dei segni, delle pennellate e delle macchie prodotte dall'artista, quindi testimonianza diretta del suo io, che si esplica nel lasciar traccia sulla tela.
2013
Italiano
Novecento mai visto. Opere dalle col­­lezioni bresciane. Da de Chirico a Cattelan e oltre
9788873858836
Bolpagni, P., Segno, materia, gesto, in Lucchesi Ragni, E. (ed.), Novecento mai visto. Opere dalle col­­lezioni bresciane. Da de Chirico a Cattelan e oltre, Grafo, San Zeno Naviglio 2013: 43- 50 [http://hdl.handle.net/10807/41708]
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