Partendo non tanto da una riflessione traduttologica, bensì da una prospettiva drammaturgica, nonché da una pratica stilistica della traduzione di una pièce teatrale, il contributo si propone di confrontare alcuni risultati traduttivi di due versioni italiane di un’opera ‘canonica’ quale il Tartuffe di Molière (la traduzione di Cesare Garboli e quella di Vittorio Sermonti: Molière 1976 e Molière 1979). Nella prima parte del lavoro, i riferimenti teorici citati (Pavis 1990; Rynagert 1991; Ubersfeld 1996; Cascetta, Peja 2003) insistono nel porre in primo piano non tanto il testo drammatico quanto quei ‘nodi di teatralità’ che consentono di proiettare il testo teatrale verso il performing text. Le questioni traduttive relative a Tartuffe vengono dunque messe in relazione con quella rappresentazione ‘virtuale’ che il testo teatrale evoca costantemente attraverso i suoi ‘buchi’, dai nomi dei personaggi al ritmo della punteggiatura, dagli effetti polifonici del singolo énoncé all’iscrizione del dinamismo corporale nelle sequenze ritmiche. Vengono in particolare segnalate alcune strategie per rendere in un’altra lingua il legame tra parola e gesto (il verbo-corps, secondo Pavis 1990). Nella seconda parte si confrontano le due traduzioni di Garboli e Sermonti (una quindicina di versi tratti dall’Atto I). Vengono dettagliatamente analizzate nonché discusse quelle soluzioni che consentono l’iscrizione dell’oralità nel testo tradotto: le scelte relative al ritmo, l’uso delle incise, l’attenzione ai tratti fonetico-prosodici di una parola destinata a ‘incarnarsi’ sul palcoscenico. Il contributo vuole anche far riflettere sui rapporti tra l’oralità e la ‘voce’ di ogni personaggio, rilevando come la resa in italiano delle metafore che costituiscono l’idioletto di un personaggio possa essere fonte di definizione non solo del suo bagaglio lessicale ma anche della sua personalità. In conclusione viene proposta una possibile analogia tra testo teatrale e oralità, basata sull’instabilità e sulla labilità della parola pronunciata a teatro: istanze che il traduttore non dovrebbe trascurare.
Vago, D., Traduire le Tartuffe de Molière. L’inscription de l’oralité, Alma Mater Digital Library, Bologna 2013:<<QUADERNI DEL CESLIC. OCCASIONAL PAPERS>>,2013;2013(Marzo) 17. 10.6092/unibo/amsacta/3652 [http://hdl.handle.net/10807/41601]
Traduire le Tartuffe de Molière. L’inscription de l’oralité
Vago, Davide
2013
Abstract
Partendo non tanto da una riflessione traduttologica, bensì da una prospettiva drammaturgica, nonché da una pratica stilistica della traduzione di una pièce teatrale, il contributo si propone di confrontare alcuni risultati traduttivi di due versioni italiane di un’opera ‘canonica’ quale il Tartuffe di Molière (la traduzione di Cesare Garboli e quella di Vittorio Sermonti: Molière 1976 e Molière 1979). Nella prima parte del lavoro, i riferimenti teorici citati (Pavis 1990; Rynagert 1991; Ubersfeld 1996; Cascetta, Peja 2003) insistono nel porre in primo piano non tanto il testo drammatico quanto quei ‘nodi di teatralità’ che consentono di proiettare il testo teatrale verso il performing text. Le questioni traduttive relative a Tartuffe vengono dunque messe in relazione con quella rappresentazione ‘virtuale’ che il testo teatrale evoca costantemente attraverso i suoi ‘buchi’, dai nomi dei personaggi al ritmo della punteggiatura, dagli effetti polifonici del singolo énoncé all’iscrizione del dinamismo corporale nelle sequenze ritmiche. Vengono in particolare segnalate alcune strategie per rendere in un’altra lingua il legame tra parola e gesto (il verbo-corps, secondo Pavis 1990). Nella seconda parte si confrontano le due traduzioni di Garboli e Sermonti (una quindicina di versi tratti dall’Atto I). Vengono dettagliatamente analizzate nonché discusse quelle soluzioni che consentono l’iscrizione dell’oralità nel testo tradotto: le scelte relative al ritmo, l’uso delle incise, l’attenzione ai tratti fonetico-prosodici di una parola destinata a ‘incarnarsi’ sul palcoscenico. Il contributo vuole anche far riflettere sui rapporti tra l’oralità e la ‘voce’ di ogni personaggio, rilevando come la resa in italiano delle metafore che costituiscono l’idioletto di un personaggio possa essere fonte di definizione non solo del suo bagaglio lessicale ma anche della sua personalità. In conclusione viene proposta una possibile analogia tra testo teatrale e oralità, basata sull’instabilità e sulla labilità della parola pronunciata a teatro: istanze che il traduttore non dovrebbe trascurare.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.