Il processo di “femminilizzazione” tra i migranti presenti nel territorio bresciano è lento ma continuo, come già nel 2003 abbiamo avuto modo di notare. La donna proveniente dai Paesi in via di sviluppo si dimostra sempre più attiva non solo nella scelta di emigrare ma anche nelle seguenti scelte lavorative, riproduttive, formative e infine nell’uso dei servizi. Si tratta di una presenza discreta (46,6% sul totale dei migranti presenti: Brescia è la provincia meno femminilizzata in Lombardia) ma solida: le donne sono meno irregolari, più legate alla presenza di figli minori a carico e hanno un capitale umano più elevato rispetto al gruppo maschile, tanto che le giovani risultano frequentare la scuola più dei coetanei di sesso maschile. Se è vero che frequentano di più i servizi socio-sanitari di base, tuttavia risultano “invisibili” nella città: ritrovi all’aperto, luoghi di culto e negozi etnici, luoghi di svago e servizi di telecomunicazione sembrano appannaggio di una frequentazione più maschile. Anche nei luoghi di lavoro non è facile intravedere la presenza femminile (1/4 delle immigrate è casalinga) poiché la gran parte svolge un lavoro di tipo domestico o come addetta a pulizie senza un contatto diretto con il pubblico. Non è corretto tuttavia lo stereotipo che vede la donna immigrata come compagna “reclusa” all’interno di mura domestiche e divieti imposti dalla tradizione. Sono molte, anche nel bresciano, a essersi messe (anche a seguito della crisi) in cerca di un lavoro per poter assicurare a sé o alla famiglia un introito sicuro in aggiunta o in alternativa a quello maschile, con uno sforzo notevole di adattamento al contesto di arrivo e una forte motivazione a rimanere in Italia. L’integrazione che esse riescono a realizzare qui dipende non solo dalla domanda di lavoro, ma anche da fattori biografici e sociali: se hanno avuto un lavoro in patria, se hanno un titolo di studio già acquisito, se hanno capacità di muoversi autonomamente (anche avere la patente può fare la differenza). Il rapporto coi servizi, come testimoniano le mamme straniere intervistate, rappresenta comunque una tappa indispensabile a conseguire un’autonomia personale nella gestione di problemi quotidiani complessi e anche un veicolo per allargare la propria rete relazionale e di sostegno. L’aspetto che più denota la ricerca di una effettiva emancipazione da parte di molte donne migranti è la “domanda di lingua italiana”: ad es. nei corsi regionali attuati nei CTP in provincia di Brescia, la presenza femminile ai corsi supera quella maschile ed è associata ad un più elevato capitale culturale di partenza; nell’ultimo anno è aumentata la capacità dei corsi regionali di attrarre un’utenza straniera priva di istruzione formale, spesso anche analfabeta (anche qui più donne che uomini). Si può dire che la formazione e l’acculturazione nel paese di accoglienza fanno parte della funzione di intermediazione culturale molto spesso assegnata alla figura femminile che emigra, con la quale essa si fa “traduttrice”, anche in senso letterale e non solo simbolicamente, della migrazione per sé e per gli altri.

Colombo, M., Madri, mogli, badanti, studentesse: la presenza femminile tra gli stranieri a Brescia, in Colombo, M., Besozzi, E. (ed.), Immigrazione e contesti locali, Annuario CirmiB 2011-12, Vita e Pensiero, Milano 2012: 93- 126 [http://hdl.handle.net/10807/37689]

Madri, mogli, badanti, studentesse: la presenza femminile tra gli stranieri a Brescia

Colombo, Maddalena
2012

Abstract

Il processo di “femminilizzazione” tra i migranti presenti nel territorio bresciano è lento ma continuo, come già nel 2003 abbiamo avuto modo di notare. La donna proveniente dai Paesi in via di sviluppo si dimostra sempre più attiva non solo nella scelta di emigrare ma anche nelle seguenti scelte lavorative, riproduttive, formative e infine nell’uso dei servizi. Si tratta di una presenza discreta (46,6% sul totale dei migranti presenti: Brescia è la provincia meno femminilizzata in Lombardia) ma solida: le donne sono meno irregolari, più legate alla presenza di figli minori a carico e hanno un capitale umano più elevato rispetto al gruppo maschile, tanto che le giovani risultano frequentare la scuola più dei coetanei di sesso maschile. Se è vero che frequentano di più i servizi socio-sanitari di base, tuttavia risultano “invisibili” nella città: ritrovi all’aperto, luoghi di culto e negozi etnici, luoghi di svago e servizi di telecomunicazione sembrano appannaggio di una frequentazione più maschile. Anche nei luoghi di lavoro non è facile intravedere la presenza femminile (1/4 delle immigrate è casalinga) poiché la gran parte svolge un lavoro di tipo domestico o come addetta a pulizie senza un contatto diretto con il pubblico. Non è corretto tuttavia lo stereotipo che vede la donna immigrata come compagna “reclusa” all’interno di mura domestiche e divieti imposti dalla tradizione. Sono molte, anche nel bresciano, a essersi messe (anche a seguito della crisi) in cerca di un lavoro per poter assicurare a sé o alla famiglia un introito sicuro in aggiunta o in alternativa a quello maschile, con uno sforzo notevole di adattamento al contesto di arrivo e una forte motivazione a rimanere in Italia. L’integrazione che esse riescono a realizzare qui dipende non solo dalla domanda di lavoro, ma anche da fattori biografici e sociali: se hanno avuto un lavoro in patria, se hanno un titolo di studio già acquisito, se hanno capacità di muoversi autonomamente (anche avere la patente può fare la differenza). Il rapporto coi servizi, come testimoniano le mamme straniere intervistate, rappresenta comunque una tappa indispensabile a conseguire un’autonomia personale nella gestione di problemi quotidiani complessi e anche un veicolo per allargare la propria rete relazionale e di sostegno. L’aspetto che più denota la ricerca di una effettiva emancipazione da parte di molte donne migranti è la “domanda di lingua italiana”: ad es. nei corsi regionali attuati nei CTP in provincia di Brescia, la presenza femminile ai corsi supera quella maschile ed è associata ad un più elevato capitale culturale di partenza; nell’ultimo anno è aumentata la capacità dei corsi regionali di attrarre un’utenza straniera priva di istruzione formale, spesso anche analfabeta (anche qui più donne che uomini). Si può dire che la formazione e l’acculturazione nel paese di accoglienza fanno parte della funzione di intermediazione culturale molto spesso assegnata alla figura femminile che emigra, con la quale essa si fa “traduttrice”, anche in senso letterale e non solo simbolicamente, della migrazione per sé e per gli altri.
2012
Italiano
Immigrazione e contesti locali, Annuario CirmiB 2011-12
9788834322604
Colombo, M., Madri, mogli, badanti, studentesse: la presenza femminile tra gli stranieri a Brescia, in Colombo, M., Besozzi, E. (ed.), Immigrazione e contesti locali, Annuario CirmiB 2011-12, Vita e Pensiero, Milano 2012: 93- 126 [http://hdl.handle.net/10807/37689]
File in questo prodotto:
Non ci sono file associati a questo prodotto.

I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.

Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/10807/37689
Citazioni
  • ???jsp.display-item.citation.pmc??? ND
  • Scopus ND
  • ???jsp.display-item.citation.isi??? ND
social impact