In economia esistono concetti che vengono sistematicamente presentati come neutri, tecnici, universali. Sono parole che sembrano descrivere il mondo “così com’è”, e proprio per questo godono di una straordinaria autorità: produttività, efficienza, competitività. Ma dietro questa patina di oggettività si nasconde un contenuto ideologico ben preciso. La produttività – intesa in teoria come rapporto tra quantità fisiche di output e input, in realtà misurata come valore aggiunto reale (a prezzi costanti) per ora lavorata – viene spesso proposta come misura dell’efficienza di un sistema economico. Ma questa apparente neutralità si regge su fondamenta teoriche e politiche tutt’altro che innocenti. La sua costruzione concettuale deriva da una visione dell’economia fondata sull’allocazione ottima dei fattori produttivi, finalizzata alla massimizzazione del profitto. La competitività, a sua volta, è un derivato diretto della produttivitè. Se un paese, un’impresa o un lavoratore non sono competitivi, devono essere resi più efficienti, per poter sconfiggere la competizione internazionale e collocarsi nei segmenti a maggior valore aggiunto. Il risultato è un’ideologia che giustifica compressione salariale, precarizzazione, delocalizzazioni, iper-sfruttamento del sud del mondo – e che addossa al lavoro, non al capitale, la responsabilità degli squilibri economici.
Gaddi, M., Garbellini, N., Oro, G., Produttività e competitività: una critica dei concetti dominanti, in Halevi, J. (ed.), Tornare alla pianificazione. Politiche industriali dopo la globalizzazione, Punto Rosso, Milano 2025: 2025 3- 23 [https://hdl.handle.net/10807/324223]
Produttività e competitività: una critica dei concetti dominanti
Garbellini, Nadia
;Oro, Gianmarco
2025
Abstract
In economia esistono concetti che vengono sistematicamente presentati come neutri, tecnici, universali. Sono parole che sembrano descrivere il mondo “così com’è”, e proprio per questo godono di una straordinaria autorità: produttività, efficienza, competitività. Ma dietro questa patina di oggettività si nasconde un contenuto ideologico ben preciso. La produttività – intesa in teoria come rapporto tra quantità fisiche di output e input, in realtà misurata come valore aggiunto reale (a prezzi costanti) per ora lavorata – viene spesso proposta come misura dell’efficienza di un sistema economico. Ma questa apparente neutralità si regge su fondamenta teoriche e politiche tutt’altro che innocenti. La sua costruzione concettuale deriva da una visione dell’economia fondata sull’allocazione ottima dei fattori produttivi, finalizzata alla massimizzazione del profitto. La competitività, a sua volta, è un derivato diretto della produttivitè. Se un paese, un’impresa o un lavoratore non sono competitivi, devono essere resi più efficienti, per poter sconfiggere la competizione internazionale e collocarsi nei segmenti a maggior valore aggiunto. Il risultato è un’ideologia che giustifica compressione salariale, precarizzazione, delocalizzazioni, iper-sfruttamento del sud del mondo – e che addossa al lavoro, non al capitale, la responsabilità degli squilibri economici.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.



