In his lacrimis delectabar. Piangere e ridere in Ildegarda di Bingen

This article examines the meanings and functions of weeping and laughter in the work of Hildegard of Bingen through a multidisciplinary lens that includes lexical, medical, theological, and symbolic analysis. The twelfth-century Benedictine nun interprets these affective expressions as manifestations of the complex psychosomatic unity of the human being, positioned between fall and redemption, nature and grace. Weeping, addressed across her visionary, medical-scientific, and moral writings, assumes a wide range of meanings: from physiological symptom to sign of compunction, from ascetic tool to eschatological anticipation. Similarly, laughter is explored in its original ambivalence—as capable of expressing both Edenic joy and postlapsarian corruption—before being reconfigured as spiritual iucunditas, the fruit of a harmonious synergy between soul and body. Hildegard sharply distinguishes between excessive, animalistic, and harmful laughter and the true joy that arises from spiritual integrity. In this framework, the author demonstrates how Hildegard’s anthropology—integral and dynamic—assigns tears and laughter a therapeutic, moral, and salvific function, in continuity with monastic tradition and within the broader cosmic vision of creation.

L’articolo analizza, attraverso un’indagine lessicale, medica, teologica e simbolica, le forme e i significati del pianto e del riso nell’opera di Ildegarda di Bingen. La monaca benedettina, figura eminente del XII secolo, interpreta queste manifestazioni affettive come espressioni della complessa unità psicofisica dell’essere umano, situata tra caduta e redenzione, natura e grazia. Il pianto, oggetto di una riflessione articolata nei testi visionari, medico-scientifici e morali, assume valenze molteplici: da sintomo fisiologico a segno di compunzione, da strumento ascetico a prefigurazione escatologica. Similmente, il riso è considerato nella sua ambivalenza originaria, capace di esprimere sia la gioia edenica sia la corruzione postlapsaria, fino a trovare nella letizia spirituale una forma ricomposta e trasfigurata. Ildegarda distingue il riso smodato, animale e dannoso, dalla vera iucunditas, frutto della sinergia armonica tra anima e corpo. In tale prospettiva, l’autrice mostra come l’antropologia ildegardiana, fondata su una visione integrale e dinamica dell’essere umano, attribuisca a lacrime e sorriso un valore terapeutico, morale e salvifico, in consonanza con la tradizione monastica e la visione cosmica della creazione